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Giuditta

GIUDITTA

di peppe

allego questa storia vera che rimarrà unica ed indelebile nella mia memoria .

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I miei passi stropicciavano lenti sull’asfalto reso umido dalla pioggia appena caduta ed i miei sospiri si nebulizzavano nella fredda aria invernale. Un venerdì sera di inizio dicembre, un fine settimana come tanti, apparentemente noioso, con il pensiero della spesa nel week-end ed in quale ristorante mangiare il sabato sera. Mi trascinavo verso casa e forse non volevo neanche entrarci, da quando lei se n’era andata sbattendo la porta, l’euforia per la mia costosa ma ritrovata libertà aveva lasciato spazio alla malinconia. Uscivo poco anche con gli amici, con quei pochi rimasti, scapoli o separati.



L’unico motivo di piacere me lo dava lei, Giuditta, con quel nome un po’ retrò che io prendevo in giro, una mia collega assai più cresciuta di me, intorno alla cinquantina, divorziata per scelta e single per convinzione, senza figli, con tanti amici sparsi per il mondo che spesso ospitava od andava a trovare. Agli inizi l’avevo giudicata male, un po’ troia, un po’ lesbica, non capivo chi fosse e cosa fosse. Capitata nel mio ufficio per caso, assunta come interprete a tempo determinato, poi con carica definitiva, dopo il grande aumento di esportazioni della nostra ditta.



Agli inizi era strana, scontrosa, con un abbigliamento da femminista nostalgica. La evitavo, poi l’hanno trasferita nel mio ufficio, di fianco alla mia scrivania. Abbiamo cominciato a parlare, prima timidamente poi sempre con maggiore confidenza. La consideravo quasi come una zia e lei stava cambiando atteggiamento nei confronti di tutti. Anche il suo look era modificato, dalle gonne larghe con scarponi a quelle fascianti con tacchi a spillo e calze nere, velate, che lasciavano trasparire un fisico intatto e degno di una ventenne.



Fu con lei, spinto da questo rapporto che si era trasformato involontariamente dentro di me un mix di amicizia ed attrazione, che un giorno decisi di confidare il mio segreto di essere sottomesso e sculacciato da una donna. Lo feci comunque senza secondi fini, volevo solo sentire un parere, che mi incoraggiasse della mia normalità e sentire se dall'’alto della sua esperienza di donna già sposata e grande viaggiatrice e conoscitrice di culture diverse si era mai imbattuta in personaggi con le mie stesse aspirazioni. Ero arrivato a fidarmi ciecamente di lei e mi rispose proprio come una zia, rassicurandomi e confidandomi che ha numerosi amici molto più bizzarri di me e che praticano con le proprie partner tantissimi giochi particolari. Per quanto riguardava lei, trovava assolutamente normale qualsiasi pratica svolta con partner consenzienti e quindi ben vengano la sottomissione e le sculacciate.



Forse un po’ mi vergognavo ad avere raccontato queste cose, ma alla mia “zietta” come avevo cominciato a chiamarla non riuscivo più a nascondere nulla. Il trillo del cellulare mi sorprese nel silenzio, davanti alla porta di casa, la voce fu diretta e forte senza alcun saluto, non ebbi neanche modo di rispondere, “per realizzare i tuoi sogni pensi di scrivere una letterina a babbo natale o di venire qui subito?”. Era lei, balbettai qualcosa ma la chiamata si interruppe. Sapevo dove abitava ma ero timoroso a presentarmi e poi cosa mai voleva dire quella frase? Uno scherzo, una presa i giro?



Non capivo ma mi feci coraggio e mi presentai. Arrivai dopo circa una mezz’oretta, la salutai cordialmente ma lei glaciale mi accolse con un “ce ne hai messo del tempo”. Mi fece accomodare sul divano e nel silenzio mi offrì da bere poi ruppe gli indugi “non chiedermi niente e nessun perché, vivi la situazione e basta. Non feci in tempo a capire che si alzò di scatto, mi alzò una gamba all’altezza del petto comprimendomi sul divano, “da questo momento per un po’ sarò la tua padrona, e mi devi obbedire”. La fissavo quasi vuoto, guardavo il suo sguardo severo e la sua bella gamba, le calze nere ed intravedevo la pelle bianca sulle cosce ed il gancio del reggicalze. Fu un attimo ma subito risposi “sì padrona”. “Bene cominciamo, puliscimi le scarpe con la lingua. Eseguii subito l’ordine, mentre dentro me avveniva una tempesta. Poi mi fece spogliare completamente nudo, non mi vergognavo, mi ordinò di levarle le scarpe e di baciare e leccare per bene i suoi piedi avvolti dalle velatissime calze nere.



Lei era seduta mentre io completamente nudo in ginocchio avidamente leccavo e baciavo. Poi mi fece stendere a pancia in su, mentre lei spalmava i suoi piedi sulla faccia ,e dovevano essere ben leccati. Me li imboccò, prima uno poi l’altro. Poi mi ordinò di mettermi carponi e di seguirla come un cane senza mai alzare la testa. Feci il giro dell’appartamento, ma non era finita, mi montò in groppa e dovetti portarla, sempre più in fretta, sollecitato dai suoi tacchi a spillo che mi stringevano le cosce ogni qualvolta il mio ritmo diminuiva. Ero stanco, affannato, ansimante. Giuditta si rialzò e si ricompose, andò in un'altra stanza senza dire nulla. Tornò con in mano una spazzola per capelli. “Sei un pessimo schiavo ti devo punire e molto forte” disse. Prese una sedia e si sedette, alzò la sua gonna mostrandomi finalmente l’orlo delle sue calze. “Ti devo sculacciare per bene, così imparerai l’educazione e ad essere un bravo schiavo”.



Mi ordinò di avvicinarmi e di stendermi sulle sue ginocchia, io obbedì mentre mi stavo abbassando cambiò la mia posizione, mi fece abbassare sulla sua coscia sinistra, chiudendo a forbice le mie gambe con la sua coscia destra, “così starai più fermo e ti colpirò meglio” precisò. Ero lì pronto, a novanta gradi con il mio sedere nudo ed indifeso e lo sguardo sul pavimento, “adesso cominciamo” disse ed il primo colpo del dorso della spazzola si abbatté sulla mia natica destra, poi un secondo su quella sinistra e così via prima una poi l’altra, i colpi si susseguivano forti e precisi e la mia resistenza prima vacillò poi crollò. Sentivo il sedere che si scaldava sempre più. Cominciai prima a lamentarmi poi a lacrimare a dirotto, ma lei implacabile continuava nella sua punizione. Inflessibile e severa. Al contempo la mia eccitazione era al culmine. Finalmente smise, ne presi tante, il mio sedere era rosso fuoco, piangevo come un bambino e cercavo disperatamente di calmare il bruciore massaggiandomi. “Così impari ad essere cattivo” commentò ridendo e adesso vai in bagno a masturbarti prima che mi sporchi il pavimento.



Così feci, quando uscì il suo atteggiamento era quello di sempre dolce e comprensivo. Mi fece rivestire e si assicurò sulla mia salute che era perfetta, “mai stato meglio”. Sorridevo anch’io, l’ambiente era disteso quello solito, “vedi mi disse, non ho voglia di innamorarmi di nessuno ne di illudere me o qualche altra persona, se anche non abbiamo fatto l’amore, questo era un modo per dimostrarti che ti voglio bene, ma qui è cominciata e qui finisce, torneremo ad essere i colleghi di sempre. La abbracciai forte e la ringraziai. Mi chiusi la porta dietro rientrando nella notte invernale, guardavo il cielo stellato, respiravo a pieni polmoni, le natiche erano ancora caldissime. Grazie Giuditta sei tu babbo natale.

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