zorrogatto
, 51 y.o.
Male
Genoa, Italy
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- 1 year ago A spasso con la Padrona «Ma che bel cane...» La guardo e taccio; avevamo appena girato l'angolo e il maltese era lì, accoccolato su uno sgabello.«Posso accarezzarlo?» chiede, mentre io ho cominciato già a fargli i grattini sulla testa di riccioli bianchi.«Ti piace il cane???»La guardo e annuisco, senza capire bene.«Allora: ti piace, il cane? E' bello, vero??»Poi capisco: non osavo sperare e quindi ero spiazzato; ma se insiste così, allora forse... Ma no, dai! Non ci credo!!! Ma eppure, quel tono, quell'insistenza, quel modo di guardarmi tenendo la testa leggermente piegata da una parte, una piega beffarda sulle labbra...Inghiotto saliva, per inumidirmi la gola, diventata secca di colpo: «Sì, mi piace...»Mi fissa con “quello” sguardo, insiste, mi incalza: «Ti piace davvero? Ti piace MOLTO?E' davvero molto bello, non trovi?»Ho capito, alla fine e mi arrendo, con timore di sbagliare ed intima gioia: «Sì... Signora!» La giornata è bella, la luce pulita, potente. Sono felice di accompagnare la Signora a conoscere la mia cittàn così diversa dalla Sua e che riesce ad affascinarLa. L'ho portata nei luoghi più panoramici, Le ho mostrato le cose che so interessarLa di più ma oggi, con questa luce, la mia città dà il meglio di sé per far innamorare: riesce quasi a far diventare suggestivo perfino un cassonetto dei rifiuti! L'ho portata a visitare i palazzi del potere e poi, ad una manciata di passi da lì, una strada fitta di prostitute e Lei mi ha detto, ridendo, che ama questo mix di “Sacro & profano”. Per un tacito accordo, durante queste esplorazioni, accetta che io Le dia del “Tu” e forse sembriamo una coppia di sereni turisti, sullo stesso piano. Si ferma a osservare le merci esposte nella miriade di negozi qui, in quella che ricordo -nella remota epoca in cui ero un bambino- fosse “La strada delle compere”, nella città vecchia. «Sai -mi dice, serena- adoro girare così, guardare le vetrine, curiosare senza che nessuno sbuffi, mi dica di andare via...» Sorrido, contento di vederla così rilassata ed annuisco: non è un grandissimo sacrificio, in fondo e la mia anima cortese è ben lieta di vedere questa donna dinamica perdersi mollemente tra le mille distrazioni che questa mia antica, affascinante, contraddittoria città le sa offrire. Poco prima le avevo donato un libro, appena uscito, che parlava di un mio illustre concittadino mancato da un anno e avevo avuto il piacere intellettuale di raccontarle l'uomo, le sue parole e le sue gesta per farle capire quanta stima abbia per questa persona che lei aveva forse solo distrattamente sentito citare. Mentre si diverte a guardare un'altra vetrina, io rifletto furiosamente considerando la nostra attuale posizione e cosa ci possa essere nei paraggi da mostrarle. E mi viene in mente: «Sai, tra meno di due mesi intitoleranno una piazzetta a quella persona; è qui vicino, in una delle zone dove svolgeva la sua opera: la vuoi vedere?» E' rilassata, si fida di me, della mia conoscenza della città e si accomoda pigramente come una gatta sulle mie proposte. Venti metri per arrivare in fondo a quella via, poi l'altra a destra per una trentina di metri e subito un vicoletto a sinistra e dopo poco la piazzetta; declamo -tra l'orgoglioso ed il divertito- cosa ci sarà scritto sulla targa toponomastica e spiego perché proprio quella piazzetta, ricavata dove sorgeva un casamento distrutto dalla guerra, è importante per ricordarlo. Ho sempre avuto l'idiosincrasia di arrivare in un posto e poi tornare indietro facendo lo stesso percorso; per cui, anche questa volta, anziché ritornare nella via che avevamo a cinquanta metri dietro di noi, proseguiamo per il vicolo e poi svoltiamo da una parte e, all'incrocio successivo, dall'altra. Giusto dietro l'angolo, il cane, il maltese, sul suo cuscino, in cima ad uno sgabello. E accanto la sua padrona: una trans di aspetto stupendo: alta, abbronzatissima, lunghi capelli neri, un cardigan scuro sopra a calze di fitta rete color castoro e sandaletti dorati. La Signora mi chiede, stavolta in modo più esplicito: «Lo vuoi?» Deglutisco, a disagio: «Se Lei lo vuole, Signora...» Cerco di prendere tempo, di capire quanto la Signora lo voglia davvero. «Chiamami Padrona, testadicazzo!» Capisco che ormai ci siamo: o mi tiro indietro -come un cavallo che rifiuta di saltare l'ostacolo- giocandomi ogni possibilità futura, oppure accetto: salto quella fitta siepe senza sapere cosa c'è oltre e... sarà quel che sarà, ma comunque piacevole! La trans ci fa entrare (un ambiente davvero raffinato, di gusto, che ti dà subito un'impressione di pulito, di accogliente), ma appena oltre la porta si chiarisce con la Signora: «Devo però dire una cosa: io NON vado con le donne!» Ha una bella voce, bassa, senza alcun accento. La mia Padrona, dietro di me, la rassicura, con un sorriso complice: «Nessun problema, io voglio solo guardare!» Sally, la trans, si rilassa: la sua intelligenza le ha permesso subito di capire il “gioco” tra me e la Signora e si sintonizza perfettamente, in un istante «Tu, spogliati e mettiti sul letto; svelto, cazzo!» Mi levo il panciotto “milletasche”, in un attimo faccio scattare gli automatici della camicia di jeans, mentre slaccio la cintura, abbasso i jeans, scalcio con discrezione i mocassini e poi capisco che... che non è abbastanza divertente, spogliarmi così in fretta; resto curvo a torso nudo, scalzo, coi jeans che tengo alle ginocchia ed i boxer ancora a posto. Guardo Sally e, come se fossi molto imbarazzato, chiedo stupidamente: «Ma.... Tuuuutto?» Sally mi fulmina con un perentorio «Tutto!» e poi si rivolge a entrambi; sembra un po' a disagio mentre dice: «Scusatemi, ma devo toccare un argomento un po'... volgare...» Delizioso il modo con cui ci ha portato a parlare della sua mercede! Lei ha indicato la sua richiesta e noi abbiamo subito accettato e “per festeggiare” si è tolta il sandaletto dorato, ha appoggiato il piede inguainato nell'autoreggente sul letto e mi ha ordinato di baciarle i piedi. Così ho cominciato, sentendo la presenza sprezzante della mia Padrona dietro di me, a contemplare divertita il mio estremo umiliarmi davanti ad una "sconosciuta". Mi son fermato un istante a contemplarmi “con l'occhio della mente” (come se io fossi una terza persona che mi guardasse!) e lei mi ha dato uno schiaffo; perfetto, lo schiaffo: abbastanza forte da sentirlo, da essere “vero”, ma non così tanto da farmi davvero male! Sally si è aperta in cardigan ed ho potuto vedere due seni fatti magnificamente -almeno una quarta- ed ho incrociato il suo sguardo. Altro schiaffo. «Non guardarmi mai negli occhi o ti massacro!» Oddio... Cosa è giusto fare in quella situazione? Guardarla per autorizzarla a darmi (chiederle!) altri schiaffi od obbedire?? Ho deciso di obbedire. Nel frattempo, aveva preso un flogger col quale mi sferzava la schiena ed il culo. Poi mi ha detto: «Succhiami i seni» ed io ho obbedito, ma -prigioniero dell'abitudine!- ho anche appena saggiato, molto delicatamente!, il capezzolo con i denti e quello mi ha fruttato un'altra sberla, oltre alla precisazione: «Ti ho detto di succhiarli, coglione, non di morderli! Se lo rifai, ti disfo!» E, subito dopo, l'ordine imperioso: «Dai segati quel cazzetto ridicolo! Voglio vederti sborrare!» ed io ho obbedito, anche se “lui” era poco collaborativo e faceva fatica ad ergersi, travolto com'ero dalle sensazioni, dalla voglia di rendermi conto e poter memorizzare e godere mentalmente di tutto... Poi è tata deliziosamente stronza: mi ha messo due dita sotto il mento e mi ha obbligato ad alzare lo sguardo fino ad incrociare il suo e lo schiaffo che aspettavo è arrivato subito. «Dai: adesso succhiami per bene il cazzo» Fino a quel momento pensavo quasi che avesse fatto l'operazione completa, perché sotto il minuscolo perizoma di pizzo nero non intuivo ingombri sospetti, ma quando mi sono avvicinato con la bocca al suo pube ed ho visto... Oddiomio!!! Solo nelle mie più sfrenate fantasie erotiche, probabilmente avevo immaginato un cazzo del genere! Pur essendo ancora mollo -ma i miei sforzi son riusciti a portarlo in una apprezzabile fase di erezione- l'ho valutato non meno di cinque centimetri di diametro e, nella migliore erezione, doveva essere lungo non meno di venticinque centimetri buoni! Ero assolutamente affascinato dal quel... mostro col quale stavo devotamente giocando! La mia padrona, comunque, non si era disinteressata a me: anche lei, come Sally, mi colpiva ogni tanto con una single-tail, giusto per farmi sentire il suo interesse alle mie vicende. Sally mi ha anche sputato addosso ed ho sentito le goccioline fredde sulla pelle della mia pancia e del petto (Peccato! Avrei trovato più deliziosamente umiliante se me lo avesse fatto sul viso, ma d'altra parte in quei momenti -come diceva quell'antica pubblicità- ero “un uomo che non deve chiedere mai!”) Quando mi ha sfiorato le natiche con la mano, mi sono mosso in modo che capisse che non mi dispiaceva, ma che anzi ero disponibile ed il suo commento sprezzante è stato: «Ah! Vorresti anche che te lo mettessi nel culo, eh?» Con la bocca occupata da un così delizioso fardello, non ho potuto far altro che annuire più volte. Continuava ad incitarmi a masturbarmi, a sborrarmi sulla pancia (se avessi sporcato il letto, me ne avrebbe fatto pentire!), ma a quel punto hanno congiurato troppe cose: oltre al fatto che sono... a lenta combustione (anche quando avevo vent'anni, a fare una 'sveltina' non ci mettevo mai meno di venti minuti, con grande gioia delle amiche...), mi stavano succedendo troppe, mirabolanti cose da vedere, sentire, assaporare, memorizzare!- perché riuscissi ad avere la giusta concentrazione mentale per sentire l'onda dell'eiaculazione alzarsi, incresparsi ed infine esplodere in un vortice di spuma, come un cavallone sulla spiaggia; infine, ho pensato che sarebbe stato ancora più umiliante per me il dover dichiarare che non ce la facevo e che mi arrendevo... Per un attimo, è stato un momento deliziosamente vanilla: Sally ha fatto (o detto?) un qualcosa di amichevole, incoraggiante ed ho percepito sulla guancia accaldata una breve ma struggentemente piacevole carezza dei polpastrelli della mia Padrona. Tra noi tre, comunque, era scattata una sorta di simpatia e quando, mentre mi rivestivo, Sally mi ha detto: «Dai, la prossima volta che venite te lo metto nel culo», lo ha detto col tono di chi promette un regalo gradito ad un amico, non la minaccia ad uno schiavo: ci siamo tutti scambiati sorrisi complici. Alla fine, un momento davvero imbarazzante: quando Sally aveva affrontato la “questione volgare”, avevo ricordato con quanti soldi fossi uscito di casa ed avevo chiesto alla mia Signora di imprestarmi la differenza; però tirando fuori il contante, ho subito visto che la cifra era inferiore! Occavolo! Avevo dimenticato di aver pagato in contanti il pranzo ad entrambi! La mia Padrona aveva anche lei bisogno di rifornirsi di banconote al bancomat, per cui siamo riusciti, con grande imbarazzo, a mettere insieme solo il novanta per cento della cifra pattuita. Sally, da vera signora, ci ha sorriso e ci ha detto: «Dai, va bene così...», ma non andava bene a me: se quelli erano i patti, dovevo onorarli! Così le ho promesso che appena usciti da lì, avremmo raggiunto un bancomat, avrei ritirato e poi sarei tornato (subito, non prima-o-poi!) a portargli il denaro mancante. Lei sorrideva e ripeteva che andava bene così, ma alla fine, ho messo una mano in tasca ed ho trovato -non nel portafogli: mischiata con gli scontrini e le monete per la fretta di un acquisto al volo!- una banconota dell'esatto importo mancante e così ho potuto onorare la mia parte della transazione. Ci siamo salutati, ripromettendoci di rivederci ed abbiamo lasciato il suo quartierino succhiando le caramelle che ci aveva squisitamente offerto prima che cominciassimo a tirar fuori i soldi. Fatti pochi passi, proseguendo lungo il vicolo da cui avevamo svoltato incontrando Sally, avevo “il cuore nelle rose” per la piacevolissima esperienza e gonfio di gratitudine; ho detto alla mia Signora, chiamandola per nome come avevo fatto per tutto il giorno: «... Grazie! E' stato bellissimo!» Lei mi ha guardato con “quello” sguardo e mi ha sibilato, ancora deliziosamente sprezzante. «Grazie??? Se mi vuoi davvero mostrare la tua gratitudine, baciami i piedi!» Lì??? In mezzo al vicolo? Con altri trans che davanti alle loro porte ci guardano? Con i pur rari passanti? Nella MIA città? Mi sono inginocchiato e lei mi ha offerto prima il suo piede destro e poi il sinistro per essere debitamente ringraziata. Il ticchettio di tacchi sottili sul selciato mi ha fatto alzare lo sguardo ed ho visto Sally che si avvicinava con passo regale ed anche lei ha voluto essere ringraziata come la mia Padrona, entrambe molto divertite. Alla fine, soddisfatte, mi hanno concesso di alzarmi e dopo aver ancora salutato quella deliziosa persona, abbiamo continuato i nostri giri urbani, soffermandoci ogni tanto a ricordare qualche momento od a scambiarci ridendo commenti scherzosi, come due buoni amici. 6554 0 10 years ago
- 1 year ago Neve in autostrada Accidenti a me! Accidenti ai clienti da visitare, ben fuori città! Accidenti anche a questa cazzo di neve! E accidentaccio a quel coglione di camionista che si è intraversato là in fondo, facendosi scontrare anche da un suo degno collega! Ed ora sono qui, in macchina, bloccata con poca benzina -visto che contavo di fare il pieno all’area di servizio trenta chilometri più avanti!- la neve che continua a cadere fitta, con fiocchi che sembrano lenzuoli ed il termometro che mi parla di un meno otto, fuori! La radio continua a dirmi che l’autostrada è bloccata, come se no lo sapessi!, e che continua a nevicare forte, mentre sta rapidamente diventando buio. Getto un’occhiata alla lancetta della benzina ed in quella la spia gialla della riserva si accende; so che ho ancora una cinquantina di chilometri di autonomia… ma andando! Non restando bloccati col motore acceso per non congelare, in mezzo ad una tormenta siberiana come non se ne vedevano da trent’anni! Valuto la situazione: sembra che nevicherà fino a domattina e, a giudicare da quello che vedo dai finestrini, in questa ultima ora ne è caduta non meno di quindici centimetri; cazzo! Se continua così, le probabilità di essere soccorsi prima di domanii sono meno di zero… Valuto che, ammesso che riesca a ripartire prima o poi, potrei arrivare al distributore con… uhm… metà della riserva, se viaggio in quinta a sessanta all’ora? Devo economizzare il carburante: spengo! Dopo soli dieci minuti, comincio a sentire sgradevolmente freddo: molto più caldo che fuori, d’accordo, ma il mio abbigliamento è adatto ad uffici riscaldati, non ad auto gelate, sepolte sotto la neve! Indosso il parka e poi, per scaldarmi, accendo il motore… ma quanto mi durerà il carburante? Se in un quarto d’ora la temperatura è così scesa, quante volte dovrò accenderlo? E per quanto tempo tenerlo acceso? E se ‘i nostri’ non ce la fanno a soccorrerci prima di domattina presto –eventualità probabilissima!- cosa faccio senza un goccio di carburante? Che alternativa ho, a parte la morte per assideramento? Mi viene un’idea e guardo nello specchietto esterno, a vedere se ricordavo bene; è coperto di neve e perciò abbasso il finestrino per pulirlo con la mano: diochefredddoooo! Sì, ricordavo bene: dietro all’auto accodata a me è fermo un tir: i tir hanno enormi serbatoi e quindi probabilmente chi è là sopra non morirà dal freddo, stanotte. In fondo si tratta di scendere, fare dieci metri, bussare alla portiera, chiedere di salire anch’io e… Ma no: chi sa che tipo è, il camionista! Accendo il quadro e avvio il motorino: gira, ma stancamente e solo dopo un pochino, il motore si accende, anche se con poca convinzione. Accidenti: anche la batteria mi sta lasciando a piedi! Mi cade l’occhio sul termometro: adesso da meno otto virgola due, la temperatura è scesa a meno nove virgola otto! No! Solo quella cabina di tir mi può salvare… ed alla svelta, prima che altri abbiano la mia stessa idea! Valuto il mio abbigliamento: decisamente poco adatto a quel clima polare, ma in fondo son solo una decina di metri! Indosso già il parka: rialzo il cappuccio bordato di pelliccetta sulla testa e contemplo con autocommiserazione le scarpe con le quali dovrò affrontare dieci metri di neve ghiacciata: le mie decolté con tacco a spillo sono quasi più inadatte di un paio di infradito! Mi metto la borsetta a tracolla e mi incoraggio: tiro la levetta d’apertura e spingo la portiera; si apre di forse trenta centimetri, frusciando col bordo inferiore sulla neve, mentre il gelo si impadronisce del mio ancora tiepido abitacolo! Occazzo! Vorrei rinunciare e richiudere, ma la portiera è bloccata. Mi incoraggio: sprofondo il piede nella neve, mi alzo dal sedile e spingo con la spalla; si apre abbastanza da lasciarmi sgusciare fuori, mentre il vento mi sbatacchia e i fiocchi di neve gelata mi crepitano sul parka come pallini da caccia. Riesco fortunosamente a richiudere la portiera e mi avvio, con le gambe che mi bruciano dal freddo e dalla mitragliata della neve. Incespicando, quasi accecata dalla tormenta che adesso limita la visuale a forse cinque metri, mi avventuro: l’auto dietro la mia è piena, ci sono quattro tizi con l’aria torva e comunque non era quella la mia destinazione. Ormai gelata, arrivo accanto alla cabina del tir e picchio con la mano sulla portiera; intuisco dei movimenti dietro al finestrino gelato e poi la portiera si apre ed una manona pelosa si protende, a cercare la mia. Sarebbe stato impossibile salire fin lì sopra da sola, ma anche con l’aiuto del camionista son stati lunghi, pietosi momenti. Il tepore della cabina è quasi ubriacante; riprendo fiato qualche minuto e poi realizzo che sono, in pratica, a pancia sotto, sulle cosce del camionista, come se dovessi essere sculacciata… Lo guardo: parecchi fili bianchi tra i capelli corti, qualche pelo bianco sulle guance non rasate da giorni, grassoccio ma con un sorriso, appena accennato, benevolo. Lo ringrazio, e lui risponde… in un’altra lingua, sconosciuta. Poi ride e mostra una bella dentatura; indica se stesso e dice solo “Jamal, Turkie” Occavolo: proprio un turco! E va beh, chissenefrega! Con quella cabina calda può venire anche da Marte! Poi indica l’occupante dell’altro sedile (e chi lo aveva visto?) e dice: “Ahmed”, mentre gli da un affettuoso buffetto. Guardo l’altro e noto una vaga rassomiglianza col camionista; dico “tuo figlio?” e sorrido. Lui ride, tutto contento che ho capito. Mi indico: “Mara!” Sorride, prende una fiaschetta e versa in un bicchiere di plastica un liquore trasparente; lo ringrazio con un sorriso e lo bevo: è forte da farmi tossire, ma cazzo se scalda! Adesso sorridiamo tutti, fatte le presentazioni, ma io sono scossa da brividi: mi abbraccio ed esagero i brividi, ma hanno già capito; Jamal ha allungato una mano sulla cuccetta dietro di sé e mi porge un asciugamano, poi mi indica le gambe ed i piedi, appena coperte dai collant e da quelle maledette decolté. Dovrei levarmi calze e scarpe, ma come faccio con loro due lì? Mi viene da battere i denti e capisco che… al diavolo il pudore! Levo le scarpe, faccio per alzare la gonna ma la manona del camionista mi si appoggia sull’avambraccio. Oddio! Cosa vorrà, adesso? Mi sorride e mi indica la cuccetta, dietro di loro. Gentile! Io chissà cosa pensavo, già… Lo ringrazio con un sorriso e scivolo sulla cuccetta; poi mi alzo la gonna fino alla vita, afferro l’orlo dei collant e me li tolgo: sono fradici e gelati!!! Mi asciugo e friziono i piedi gelati; poi passo alle gambe e l’asciugamano è già inzuppato di acqua fredda. Una mano mi appare davanti al viso, con un asciugamano che tiepido perché era sulle bocchette dell’aria calda! Gli porgo quello bagnato e mi godo il tepore del tessuto sulla pelle, mentre la circolazione sanguigna che ritorna normale mi fa bruciare i piedi come se fossero nel fuoco. Dopo un quarto d’ora, mi sento meglio: passo nuovamente tra loro e do un’occhiata attraverso il parabrezza: tutte le auto sono ormai sepolte dalla neve e faccio fatica a capire che il secondo cumulo di neve davanti contiene la mia auto. Mi giro verso Ahmed e lo guardo finalmente: un bel ragazzo, sotto i venticinque anni; alto snello, spalle larghe, riccioli neri, occhi nerissimi e lunghe ciglia ad addolcirne lo sguardo, con il bel sorriso ereditato dal padre. Mi sorride, gli sorrido. Il padre sbadiglia, poi da uno sportellino tira fuori una formaggetta, una grossa pagnotta, un bottiglione di vino rosso e delle arance. Con un grosso coltello a serramanico, taglia le fette di pane e di formaggio; Hamed versa il vino, nei bicchieriappoggiati sull’ampio cruscotto . Con un gesto cordiale mi invitano a servirmi; ringrazio con un sorriso e comincio a mangiare, rendendomi conto solo in quel momento di quanto fossi affamata. Il formaggio ha un sapore forte ed il vino è ottimo, anche se un po’ troppo pesante per i miei gusti, ma Ahmed mi riempie il bicchiere almeno altre due volte, mentre loro due chiacchierano e scherzano. Dopo una mezz’ora, Jamal mi fa segno che si corica per dormire; passa nella cuccetta e tira la tendina. Resto in cabina, seduta al posto del passeggero; il tepore ed il vino mi fanno scivolare nell’assopimento, nonostante la cabina sia squassata dalle potenti raffiche di vento. Per cercare una posizione migliore sul pur comodo sedile, devo essermi mossa in modo scomposto: mi ha svegliata il lievissimo tocco del giovane sulla coscia e mi rendo conto che la gonna è risalita fino a far vedere nitidamente il perizoma. Lui mi sta accarezzando la gamba e spia le mie reazioni, sorridendomi. Cosa posso fare, in quella situazione, con la testa leggera come un palloncino? Sorrido anch’io, guardandolo: ha stranamente tirato giù l’ampio maglione fino al pube, ma indovino… qualcosa. Oddio! Se è davvero ciò che penso è… enorme! Ne sono come ipnotizzata e quasi non mi rendo conto del giovane, che mi prende la mano e me la pilota fino ad appoggiarla su quell’ingombro… Mentre le sue dita si fanno timidamente strada verso la mia natura, non voglio credere a ciò che sto tastando: alzo il maglione e… Ohhhh! In quarantadue anni, non avevo mai visto –dal vivo!- una tale meraviglia! Provo ad impugnarlo, ma la mia manina non basta a circondarlo: col pollice e l’indice riesco a malapena a coprire metà della sua circonferenza! Sento le sue dita che, scostato il pizzo del perizoma, sondano la cedevolezza della mia fichetta, che è già inumidita e poi colmata da uno suo dito… e poi da due… da tre che si muovono con calma, con la sicurezza del padrone dentro di me, mentre l’altra sua mano mi si appoggia sulla nuca e mi attira a se: un bacio, dolcissimo, sensuale, con le nostre lingue che esplorano la bocca dell’altro e poi la sua che esce e guizza sul profilo delle mie labbra… dio, che bello! La sua mano, frugandomi, mi ha fatto cambiare posizione: ora sono inginocchiata sul sedile ed è… normale che mi abbassi, che cominci a baciare quel trionfo di carne dura, che gli dia qualche leccata sempre meno timida, sempre più sfacciata, che lo percorra in tutta la sua smisurata lunghezza tra lo scroto peloso e la cappella congestionata, godendo dell’asperità di ogni turgida vena in rilievo, del filetto teso una corda di violino, del buchino sulla sommità che sembra un occhietto che mi guarda, sfidandomi! Ed io accetto la sfida, facendolo sparire all’interno della mia bocca e poi, con risoluta calma, massaggio il glande con le mie labbra e lo accolgo sempre più nel profondo della mia bocca, fino a quando lo sento in gola… e ce n’è ancora metà fuori!!!! Lo coccolo con la lingua, lo stringo con le labbra, lo aspiro… è stupendo! Le sue dita sono diventate quattro, dentro di me e le sento sciaguattare nel mio più intimo umidore: sono bagnatissima! Sento che anche il suo pollice entra in me, ma solo per poco: dopo un pochino lo sfila e ne sento la mancanza quasi dolorosa, ma lui lo usa per massaggiarmi la rosellina posteriore e, inumidito, lo spinge delicatamente dentro, allargandomi… Oddio! Mi vorrà anche inculare? Sono torbidamente attratta dall’idea: davanti penso di poterlo accogliere con un minimo di sforzi, ma dietro… è troppo! L’altra sua mano mi ha fatto risalire il pullover, la maglietta, mi ha sfilato i seni dalle coppe del reggiseno ed adesso gioca delicatamente coi miei capezzolini turgidi, ritti come chiodi, provocandomi lampi di piacere. Sento le sue mani che mi accarezzano le cosce, che mi palpano –un po’ ruvidamente- le natiche, che mi percorrono la spina dorsale , mentre ormai le sue dita sono padrone della mia micetta zuppa , del mio buchino e dei miei capezzolini congestionati… Aspetta! Ma quante cazzo di mani ha, questo turco? Getto uno sguardo di lato: anche Jamal mi sta toccando… non me ne frega nulla, ormai. Anche fossero in sei, mi farei fare tutto da tutti loro! L’uomo mi fa staccare dal membro del figlio, mi fa alzare le braccia e mi sfila tutto di dosso, lasciandomi con solo la gonna attorno alla vita. Poi mi prende per una mano e delicatamente mi attira sulla brandina e mi trovo così davanti al viso il suo membro; una bella dotazione, anche se ovviamente sfigura, accanto a quella del figlio. Mi inginocchio sulla brandina e comincio a dedicarmi anche a lui, anche se la mia natura pulsa dalla voglia di essere riempita, ora che è rimasta orfana delle sapienti dita del giovane. Pensavo (speravo, quasi!) che si mettesse dietro di me e che mi riempisse in quella posizione, ma invece anche sui si è mezzo seduto sulla branda e mi guarda, con un vago sorriso sulle labbra, mentre pigramente si tocca la proboscide. Devo averlo! Dopo aver ben spompinato Jamal, insalivandogli lo scroto e tutta l’asta, fino alla cappella turgida, dopo averlo accolto fino alla radice in bocca, dopo aver usato tutta la mia capacità in quel tipo di prestazione, sono ossessionata dal prendere Ahmed dentro di me, sentirlo riempirmi, allargarmi, impazzire dal piacere! Lascio Jamal, mi giro, fronteggio il giovane e poi piegandomi sulle ginocchia, mi appoggio la sua trionfale cappella sulle labbrine; lui mi guarda, sorridente. Gli sorrido, lo bacio e provo a scendere, piaaaaaaano! Dio com’èggrosso!!! Sta fermo, lo tiene alla base, fermo ed apprezzo: devo fare da sola, è meglio! Do un leggero affondo ed il mostro si fa un pochino strada dentro di me… Altro affondo, più profondo, anche se di poco. Terzo affondo: adesso lo sento bene dentro… Provo ancora a scendere…. Ohhhhhhhh… Dio, chebbello…. E’ gigantesco, non ne ho mai sentito di così grossi, ma adesso c’è… comincio a danzarci sopra ed alla fine mi sento completamente riempita, invasa, allargata, dilatata, rotta, donna completa e completata; gli bacio la bocca sensuale e…. esplodo!!!!!! Dio, che orgasmo! Il padre e la madre di tutti gli orgasmi! Sono inginocchiata ai lati dei suoi fianchi, il suo palo solidamente infisso in me, le sue mani a stuzzicarmi i capezzoli e Jamal, dietro di me, che mi fa girare due dita nel buchio, divaricandole, allargandomi, preparandomi… Dopo poco, sento la sua cappella turgida bussare a quella porticina; lo accolgo, rilassandomi e…. Ohhhhh! I due turchi mi hanno colmata ed Ahmed, che era restato immobile mentre il padre prendeva posizione dentro di me, ora ricomincia a muoversi, a darsi e darmi piacere, a… fottermi! Sì, fottermi come una cagna, una troia, una porca, col suo colossale cazzone che mi sfonda la fica e mentre quel maiale di suo padre mi incula ed io, riempita dai loro due bei cazzi, che godo, godo, godo… La mattina dopo, mi sveglio abbracciata ad Ahmed, mentre sento Jamal russare dalla brandina superiore. Siamo nudi e mi sento impiastricciata del loro sperma, colato fuori dai miei deliziosamente martoriati buchini. Sono lurida, spettinata ed ho ancora in bocca il sapore dei loro membri, del seme che dopo mi hanno offerto da bere e che ho accettato con gioia. Guardo fuori: ha smesso di nevicare e anzi un pallido sole cerca di farsi largo tra la nuvolaglia; il termometro racconta di una temperatura esterna di ‘solo’ due gradi sotto lo zero ed il vento è caduto: la tormenta è finita. Guardando davanti, vedo il camion intraversato muoversi; penso ad un’illusione ottica ma no: viene davvero tolto da un grosso mezzo e poi uno spazzaneve libera man mano i mezzi bloccati, che possono ripartire. I due turchi si vestono, mi sorridono, mi baciano mentre finisco di rivestirmi, poi mi chiedono a gesti qual è la mia auto; quando lo hanno capito, scendono, armeggiano in una stiva sotto il rimorchio e poi arrivano, nel mezzo metro di neve, fino alla mia auto e con una vanghetta liberano la portiera e poi davanti. Con una paletta da spazzatura, poi, sgombrano i finestrini ed infine tornano alla motrice. Non mi alletta l’idea di tornare a sprofondare nella neve con collant e decolté, ma loro hanno la soluzione: a gesti mi fanno capire di salire sulle robuste spalle di Ahmed e mi depositano delicatamente al posto di guida della mia auto. Provo ad accendere il motore ed al terzo tentativo, parte. Loro adesso sono tranquilli: mi abbracciano, mi baciano e tornano al loro bestione. Ripenso con languore alle dolci sensazioni provate, mentre l’auto davanti alla mia viene liberata e… il primo che parla male dei turchi, lo PICCHIO! 3886 0 10 years ago