Ofelia_e Cassio
, 41/45 anni
Coppia
Messina, Italia
Ultima visita: 9 anni fa
- 9 anni fa Una Storia Breve I due pullman si fermarono davanti all’albergo. Era una costruzione invecchiata male, palazzone nato anonimo; ora gli insulti del tempo mettevano in risalto la sua natura di casermone suburbano. Un modesto albergo di periferia insomma, buono per tasche leggere, per gente poco esigente, per studenti in gita scolastica appunto. Da quei due pullman, una sera di maggio inoltrato, gli studenti dell’ultimo anno di un liceo di M e alcuni dei loro insegnanti, sciamarono accaldati e stanchi, dirigendosi al bar dell’albergo. Una volta che la giovane masnada fu ristorata cominciò per la professoressa di matematica l’ingrato compito di organizzare le pratiche di registrazione alla reception, aiutata in questo da un vinto ma poco convinto annoiato collega. La prof. di matematica era una donna dall’apparenza anonima; non si poteva di lei dire che fosse brutta, ma non promanava da essa alcun segnale che non fosse convenzionale e prevedibile. Sembrava in realtà possedere tutte quelle doti che rendono una persona gradevole, ma a queste qualità mancava quel lievito che la gente chiama fascino. Era piuttosto alta, snella, un viso pallido incorniciato da capelli neri di media lunghezza, appena mossi. Gli occhi erano bellissimi, con un disegno squisito di sopracciglia che sarebbero potute diventare impertinenti o sbarazzine se una risata vera avesse tentato le sue labbra. Di lei nessuno della scuola sapeva niente. È vero pure che non era del posto, veniva infatti da un paesino del nord, e 4 anni di permanenza nella sonnolenta cittadina di M non erano bastati a tirare fuori nulla da lei. Nemmeno le più intrepide ficcanaso del paese erano potute andare oltre banali congetture. Viveva totalmente immersa nella visibilità che in genere ha un’insegnante che lavora in un piccolo centro, ma appena oltre il cono di luce tracciato dal suo ruolo professionale, era come se ci fosse il nulla. Quando, finalmente, tutti ebbero le stanze assegnate, vi fu un accenno di tregua, accompagnato da un sentore di frescura portato dall’imbrunire. Durò poco la pace. Meno di un’ora dopo gli studenti andavano per i corridoi , chi per visitare e curiosare nelle stanze degli altri, chi per il solo piacere di fare confusione. Alla fine, come Dio volle, fu l’ora della cena; gli insegnanti cercavano di spalmare i più turbolenti nei tavoli dove i buoni fossero maggioranza qualificata. Le femmine per lo più si gingillavano con i cellulari . Finirono verso le 23. L’indomani c’era la visita al sito archeologico dove “quello di storia dell’arte”, quello mezzo sordo, avrebbe, con il suo charme, finito l’opera del sole cocente e della stanchezza. “Sveglia alle 6,45 dunque”, ripeteva il corpo insegnanti ai più ostinati che ancora cincischiavano tra la hall e il bar. Venne poi il momento della nanna; tutti gli studenti erano nelle camere; si sentiva di tanto in tanto qualche tonfo e qualche risatina soffocata, ma, in sostanza, la giornata sembrava conclusasi bene. Verso mezzanotte, a controllare che tutto fosse a posto, a girare per i corridoi era la prof. di matematica. Dopo cena si era cambiata d’abito e adesso priva dell’ “uniforme”, sembrava una delle tante pensionanti dell’albergo. Passando dalla camera “12” sentiva voci di giovani donne evidentemente allegre. La prof sorrise lievemente e andò oltre per completare il giro. Al ritorno, quando era sul punto di ritirarsi, la sua attenzione fu attratta dalla “12” dove francamente si cominciava ad esagerare. La chiacchiera si era fatta ora alta e le risa erano perfettamente udibili per tutto il corridoio. Decise d’intervenire e bussò con discrezione alla porta. Ad aprirle fu una biondina, Silvana, sua alunna, secondo tentativo all’esame di Stato. La prof. fece un metro dentro la stanza e non aveva ancora cominciato con la paternale come da protocollo, che un odore pungente d’alcol leticò le sue narici: Silvana comprese di essere stata scoperta, tanto più che le due compagne di stanza sguaiatamente chiedevano chi fosse a disturbare a quell’ora. La prof, a quel punto, entrò con decisione nella stanza; le altre due, Giulia e Maria, erano nello stesso lettino mezze nude. Una bottiglia di spumante toglieva alla prof. ogni dubbio sulle cause dell’alito di Silvana. La prof. non fece in tempo a partire con la rampogna di prammatica che le risatine andavano e venivano da quei tre volti maliziosi ed ebbri. Giulia, una mora la cui pelle ambrata parlava piuttosto che di studi e di ansie da vigilia degli esami, di mare e tintarelle, disse con voce fintamente piagnucolosa:” prof, ha tutte le ragioni del mondo ma oggi faccio diciotto anni e stiamo festeggiando. Sono anch’io nel club delle maggiorenni e sarei felice se lei si unisse a noi per un brindisi. Non mi dica di no la prego; siamo in gita e vorremmo vederla un po’ rilassata”. Cosi’ dicendo porse all’insegnante la bottiglia con aria fintamente supplichevole. “Ti faccio tanti auguri e….. d’accordo, vediamo che spumante avete rimediato”. Chiese poi un bicchiere ma Giulia disse che direttamente dalla bottiglia sarebbe stato più cameratesco.” Noi tre siamo molto intime e condividiamo tutto”, fece la ragazza con un largo sorriso. La prof annui’ cercando con un sorriso forzato di nascondere l’imbarazzo che provava davanti a quella che le sembrava una sfida; portò quindi alle labbra la bottiglia e ne cavò un lungo sorso di freddo liquido giallo. “E lei dove ha festeggiato i suoi diciotto anni?” chiese all’improvviso Maria. “Ero in collegio, un collegio di suore, grande disciplina. Ricevetti quel giorno solo una telefonata dai miei e da una suora un paio di babucce da notte”. Ricordo che quel giorno fui anche punita per avere rotto la regola del silenzio al refettorio”, rispose la prof. “Essere puniti”, continuò Giulia, “è la condanna e il privilegio di quando si è ragazzini e il mio tempo per queste cose scade proprio oggi”. “E’ vero ,” disse la prof quasi parlando tra sé, ”da ragazzina sei controllata, comandata, se sbagli paghi ma questo ti protegge ; sono gli adulti, alla fine, a prendersi tutti i carichi “. “Senta,” disse Giulia, “d’ora in poi sarò responsabile di tutto ciò che farò, ma stanotte voglio essere la ragazzina che ero fino a ieri; poi lei mi deve un regalo e a una diciottenne non si rifiuta nulla”. “Cosa posso fare per te”? chiese la prof. “Lei mi deve punire” prosegui’ la ragazza. “Stanotte sono, voglio essere ancora una ragazzina da correggere, da proteggere e lei ora è qui, l’insegnante piu’ severa e dura della scuola”. La prof arrossi’ violentemente e sforzandosi di sorridere le chiese di cosa dovesse essere punita. “Ma perché le ho rotto le balle tutto l’anno e gli altri passati, perché nessuno in casa mi ha mai raddrizzata, perché tutti i ragazzi che ho avuto mi hanno viziata e…..perchè stasera qui c’era alcol” disse Giulia . “E che punizione dovrei darti”? chiese la prof con voce roca. “Lei mi deve dare una punizione corporale, un’esemplare punizione vecchio stile, devo essere raddrizzata per tante cose e voglio che lo faccia lei. Mi dia una lunga, vera, seria, autoritaria sculacciata.” La prof impallidì, si alzò e fece per uscire dalla stanza ma fu bloccata sulla porta dalle altre due ragazze che, ormai ubriache, sghignazzavano senza ritegno. Quando fu riportata in stanza l’attendeva il corpo nudo di Giulia raccolto a gomitolo, la testa incassata fra le spalle, le ginocchia puntate sul letto: l’abbronzatura non era completa, le sue natiche si ergevano bianche come una luna di latte. Un’ombra di seta nera e lucida si intuiva tra le cosce sode, appena disegnate da lievi e guizzanti muscoli. La figura si chiudeva coi suoi talloni che sembravano due picchetti d’ambra sulla neve del lenzuolo. L’insegnante era come svuotata, sembrava perduta davanti a quella vista. Lei si sentiva più nuda di Giulia e sentiva che “la professoressa”, il suo personaggio, la stava abbandonando, lasciandola in balia di quei sei occhi che avevano comunque capito di lei qualcosa , e lei, la parte più intima di lei, si liberava con vergogna e con sollievo della parte più inutile di sé stessa, del suo involucro, come serpente che fa la muta. Era calato un silenzio irreale e la prof. si avvicinava alla luna inevitabilmente, dolorosamente, e la sua mano destra scaricava tremante dei colpi , dei meteoriti che la luna, quella luna assorbiva indifferente. I colpi si fecero duri, cattivi ma Giulia non emetteva un gemito; la sua reattività era in quel culo che sempre più spavaldamente si offriva al dolore sempre più caldo e feroce, e nei suoi alluci che lei puntava sempre più convulsamente nel materasso. I colpi a un tratto si attenuarono, divennero più stanchi; la tensione era calata e l’insegnante ora consolava la luna ,la luna divenuta ora rossa. I colpi divennero benefico massaggio, perdono, pace, e in quel silenzio si udi’ Giulia mugolare sordamente. La prof, molto lentamente, molto deliberatamente cominciò a spogliarsi e quando rimase nuda le tre ragazzine restarono senza fiato. Davanti a loro la bellezza, libera da infingimenti e da maschere diventò la bellezza, verità, disvelarsi completo di un’anima, dei suoi desideri. Giulia fu di colpo investita da dietro da una bocca, da due labbra aride assetate di umori, e gli umori arrivarono e lei li assaporò tutti passando dalla stillante vagina bagnata di chiari e trasparenti dolcezze all’aspro sapore amarognolo che quel culo le offriva. Una lingua può muoversi agile e spietata come un serpente, e quel piccolo rettile imperversava sopra, sotto, dentro Giulia; era una serata umida e gli umori della ragazza, spremuti a forza, si mescolavano con la pesantezza dell’aria e i corpi, la pelle, diventarono scivolosi, sfuggenti, e a quel punto Giulia si senti’ arpionata, catturata dai morsi di lei che non se la voleva fare sfuggire, come il pesce grosso fa col pesce piccolo. Una lotta, una sorpresa per Giulia che non aveva immaginato chi, cosa fosse quella donna, pur avendo di lei vagamente intuito qualcosa. Una liberazione folle, dionisiaca, era quella dell’insegnante, trasformata in una divinità antica, oscura, terribile. Le Furie della passione imperversavano in quella piccola stanza come tromba d’aria che tutto risucchia al suo passaggio, e quello fu anche il destino delle altre due, Silvana e Maria. Avevano esse evocato qualcosa e ora questo demone le torturava con quella sapienza che si alimenta di silenzi, di dissimulazione, dell’ombra in cui lei si era relegata, in cui era stata relegata . I loro corpi divennero fragili strumenti di chi sapeva tanto desiderare e tanto bene nascondere. Raggiunsero Giulia e l’insegnante il climax, con le due gregarie messe a leccare davanti e dietro la padrona mentre questa baciava Giulia. Si baciavano e si guardavano negli occhi dicendosi tutto con quegli sguardi. Poi la tensione scese e le due gregarie, le due comparse, sparirono distrutte, in un sonno pesante, nero d’inchiostro. Rimasero la prof e Giulia abbracciate a guardarsi in silenzio. A un tratto nella stanza si udi’ una voce nuova che fece trasalire Giulia. Era lei, la vera lei che ora parlava. “ Volevi sapere dei miei diciotto anni e della mia festa? Ti ho detto la verità. Io dico sempre la verità. Una ragazza, un piccolo regalo, le babucce, una monaca, una punizione. Vero, tutto vero, ma indovina ora chi fosse cosa. Vediamo: c’è una ragazza attraente, molto attraente che compie gli anni, i suoi diciotto anni in un collegio femminile. C’è una suora molto rigida, molto osservante, tutta d’un pezzo che ha una crepa nel suo muro di certezze, un tarlo che scombicchera tutto, Lei, Lei, Lei. E io, io con le mie stesse mani feci queste babucce per Lei e Lei quando le vide Lei rise a questo regalo inaspettato, inconsueto. Quella notte volli fargliele provare, gliele infilai io, io poi accarezzai quei piedini che mi avevano fatto impazzire quando la vedevo in giardino correre scalza, io la baciai tutta cominciando proprio da quei piedi e mi feci baciare tutta, io profanai il suo candore come, esattamente come voi tre pensavate di fare con me”, e qui la prof si mise a ridere sommessamente, beffarda, amara. “qualcuno però vide e parlò. Io fui cacciata, cacciata con molta discrezione ma cacciata e per mantenermi agli studi feci l’operaia, la baby sitter, la bracciante stagionale. Da allora nessuno più, uomo o donna che fosse, nessuno. “Posso dire che sono una donna che si è fatta da sé,” e qui tacque mentre lacrime calde lasciavano i suoi occhi disperdendosi in dolorosi rivoli. Poi incontrai te e ti ho amata, ti amo da tre anni e ho immaginato tante volte di fare l’amore con te e tu e queste sceme mi provocate, mi tormentate, volete vedere cosa cela la vostra rigida, intransigente insegnante di matematica.” Giulia piangeva come una bambina, tremava, cercava il calore di lei. “Ti amo, ti ho sempre amata anch’io, ma come facevo a dirtelo, a fartelo capire? La faccenda di stasera era uno scherzo per queste due cretine e per me una sfida, era dirti che esisto, magari per fare la stupida, ma esisto.” Fecero l’amore e quello fu amore: entrare nell’altra con delicatezza, sommessamente, per poi portare la passione trattenuta e compressa da queste sfibranti dolcezze a esplodere in raptus di piacere, in follia di gesti, in simboli di possesso, di sottomissione e poi…. poi un sonno, poi un profondo sonno, una tomba buia che di colpo le inghiotti’. “Cara Giulia, amato amore mio, mia meravigliosa donna di diciotto anni e un giorno; stanotte hai scoperchiato due anime, la mia ma soprattutto la tua. Volevi ieri in regalo una punizione, ti ho accontentata. Hai scoperto l’amore ora scoprirai l’abbandono. Vado via e tu sei grande, o meglio, sarai grande se saprai leggere tra le pieghe di tutti gli amori che avrai, la precarietà dell’amore che è poi l’essenza della vita stessa, perenne tensione verso la felicità che si risolve sempre in dolore. Hai perso l’innocenza perché l’amore fa diventare adulti e nessuno se non te stessa ti può salvare dalle sofferenze, dalle sconfitte, dagli abbandoni. Benvenuta nel mondo dei grandi, dove la vita non ti fa sconti e dove, dopo una sculacciata, non ti sentirai assolta e libera dalle colpe, ma solo un poco più stanca, un poco più disperata, forse un poco più sporca. Il tempo dei giochi è finito, infinito amore mio ” Questo biglietto trovò Giulia il mattino seguente. Si seppe a colazione che l’insegnante di matematica era “rientrata a casa richiamata da gravi problemi familiari.” La scolaresca non fu troppo afflitta dalla notizia; un guardiano in meno. Quella sera Silvana e Maria si ubriacarono e fecero sesso ancora più sfrenatamente. Giulia passò la sua prima notte da maggiorenne bagnando di lacrime un biglietto ormai diventato azzurrino e molle come una banconota finita per sbaglio in lavatrice. L’anno seguente all’ istituto di M arrivò la nuova prof di matematica. 3243 5 10 anni fa