soniaslave
, 41 y.o.
Female
Milan, Italy
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- 10 years ago Una schiava in campagna - seconda parte Il ragazzo mi palpa le tette e con aria di sfottimento mi dice: "Qui da noi le donne hanno le tette molto più grandi delle tue. Speriamo che la tua figa non sia una delusione!" e ridendo in modo sfacciato, accompagna le sue parole ad uno sputo che finisce dritto dritto nella mia bocca aperta. "Ed ora ingoia, puttana", mi dice in modo insolente. Io non reagisco e ubbidisco agli ordini del giovane. Nicola invita tutti i presenti a togliersi le scarpe e poi mi fa mettere a quattro zampe, dicendo: "Cagna, lecca i piedi preziosi dei nostri cari amici. Renditi utile una volta tanto!". Io eseguo l'ordine, mi metto a quattro zampe, ma gli faccio capire che non posso leccare i piedi con la lingua bloccata e la bocca spalancata! Nicola, bontà sua, mi toglie il fermo dalla bocca e io faccio un po' di ginnastica con la lingua, intorpidita dalla posizione e dal caldo opprimente. Poi inizio a leccare i piedi dei presenti: giovani, meno giovani, puzzolenti, puliti, callosi e anche... sporchi di terra! Alla fine del giro, mi fanno alzare e mi tolgono la gonna. Ora solo le mutandine mi separano dalla nudità completa. Poco dopo mi sfilano anche quelle e io rimango nuda, come mamma mi ha fatto (molto tempo fa!). Tutti gli uomini si alzano, si fanno intorno a me in un ipotetico cerchio e mi fanno andare verso la stalla. Lì Nicola mi ordina di salire su un'asse di legno molto ruvida, che subito mi ricorda di aver ricevuto una bella quantità di frustate su tutte le parti del corpo. Vengo bendata, poi le mie gambe vengono reclinate all'indietro sul seno, così come la mia testa che penzola all'indietro senza sostegno alcuno. Sento le corde che si avventano sul mio corpo provocandomi dolore e poco dopo sono completamente immobilizzata. Dalla posizione in cui vengo legata intuisco che cosa mi aspetta: una bella scopata generale, come usa fare Nicola con i suoi amici, quando a fine sessione mi offre ad "uso gratuito". Le parole di Nicola non tardano ad arricvare: "Ora questa troia è tutta vostra, fatene quello che volete. Scopatela nella figa, spaccatele il culo, infilatele il vostro braccio nelle sue cavità. E non abbiate paura di farle male... anzi, più male le farete, e più lei godrà!". E subito mi arriva un grosso uccello nella figa, non ancora completamente dilatata. Ma l'uomo sa come farsi largo all'interno della vagina di una donna e con pochi colpi mi spalanca la figa. Ora sono bagnata, completamente bagnata. Mi scopa per un bel dieci minuti e poi sento le sue mani sul buco del mio ano. Spinge con le dita, si fa largo in modo rude e il mio buco inizia a cedere: dopo poco si allarga completamente e la sua mano ruvida e dura mi fa urlare di dolore. Dolore? Forse piacere, o forse tutti e due. Poi mi introduce il suo uccello nel culo e sento qualcosa che mi invade lo sfintere: penso che sia venuto, ma quella non è sborra... mi sta pisciando dentro il culo! "Sei un porco fottuto", grido io e in cambio ricevo un tremendo schiaffo, che mi fa sbattere la testa contro l'asse, provocandomi un lancinante dolore al collo. Subito dopo una tempesta di sputi invade il mio viso. Gli uomini si susseguono in un susseguirsi frenetico: figa, culo e poi bocca o viso, dove finiscono tutte le loro sborrate. Ad un certo punto sento un uccello "tremolante" pervadermi la figa: chi sarà? Nicola mi sbenda e io vedo un anziano, non il più anziano però, che se la ride mentre mi scopa con ritmo e impegno. Ormai il tempo è passato, ma manca ancora uno all'appuntamento con la mia figa: è il diciottenne, che baldanzoso avanza con un grosso uccello tra le mani. Io mi sento davvero imbarazzata, perchè lui potrebbe essere mio figlio, visto che ho quarantadue anni. "Dai non farlo, non farmi sentire una puttana. Potrei essere tua madre", dico io con voce supplichevole. Lui non si cura delle mie parole e non mi risponde. Inizia a stantuffarmi nella figa, poi nel culo e lo fa con grande maestria. Non ci crederete, ma io con lui ho goduto come una pazza! Alla fine mi inonda il seno di sborra. Nicola mi slega dall'incomoda posizione, mi fa rivestire con camicetta, gonna e scarpe e lascia i pezzi del mio reggiseno distrutto e le mie mutandine di pizzo ai "villici". Per loro un trofeo, per me un'umiliazione ritornare in città senza biancheria intima. Ma sono o non sono una schiava? 19354 0 12 years ago
- 10 years ago Una schiava in campagna - prima parte Era una calda domenica di luglio e il mio Padrone, Nicola, aveva deciso di portarmi in campagna nei pressi di Reggio Emilia. Lì c'erano ad attenderci diversi uomini, di età compresa tra i diciotto e i novantadue anni. Partenza da Milano alle sette e dopo poco più di due ore di viaggio in auto raggiungiamo la mèta: una sperduta casa di campagna con annessa stalla nella verde campagna emiliana. Io mi ero vestita in modo elegante, più adatto allo shopping in città, che ad una gita in campagna: camicetta bianca, gonna azzurra, scarpe nere con tacchi alti e raffinata biancheria intima di pizzo. Appena giungiamo alla casa colonica veniamo accolti calorosamente dai dieci amici che erano stati avvisati del nostro arrivo da Nicola. Inutile dirsi che al centro dell'attenzione c'ero io e di conseguenza quello che il mio Padrone mi avrebbe fatto fare. Ci sediamo sotto al portico e li rimaniamo seduti comodamente all'ombra fino a mezzogiorno. Allo scoccare delle dodici il padrone di casa ci fa entrare ed accomodare a tavola. Mangiamo e conversiamo allegramente, ma al dolce l'idillio si "rompe". Nicola interviene dicendo che io non avrei mangiato la squisita crostata di frutta e avrei preferito andare fuori. Mi prende per mano e mi fa uscire, mi conduce alla macchina e dopo aver aperto il bagagliaio estrae un collare e me lo mette al collo. Mi trascina fino ad una colonna e lì mi lega, dopodichè rientra in casa a mangiarsi il suo agognato dolce. Il caldo è insopportabile, ma per fortuna io sono all'ombra. Dopo quasi un'ora tutti gli amici escono dalla casa e si sistemano nuovamente sotto al portico. Uno di loro va a prendere il trattore e si posiziona davanti alla casa. Nicola mi presenta come una schiava, alla quale si può chiedere tutto o quasi... Poi con voce decisa sottolinea che ogni azione che mi faranno compiere, dovrà essere avallata dal suo benestare, in quanto "io sono sua"! Mi slega dalla colonna e mi fa togliere la camicetta. Poi mi spalma sul decollete e sulle spalle una specie di miele, mi fa aprire la bocca e tirare fuori la lingua, che mi blocca con un aggeggio che mi impedisce di ritirare la lingua e di chiudere la bocca. A quel punto mi ordina di alzare le braccia e mi lega i polsi con una corda, che assicura alla forca anteriore del trattore. Fa un cenno all'uomo che guida il trattore e la forca si alza... in pochi istanti il mio corpo penzola nel vuoto. Non capisco subito perchè mi ha bloccato la bocca in posizione aperta... L'uomo sul trattore ingrana la prima e mi porta fino nei pressi della stalla, dove "troneggiano" due bei mucchi di escrementi di cavallo. Lì le mosche la fanno da padrone e svolazzano allegramente sulle merde, incuranti del caldo soffocante. Poi qualcuna di loro si accorge della mia presenza e trova delizioso il miele che ho sulla parte superiore del corpo... e così le mosche trovano interessante fare la spola tra me, le mie spalle, la mia lingua e gli escrementi! Una situazione orribile, imbarazzante e molto, molto sgradevole. Sento le mosche sulla mia lingua e cerco di non pensare a dove avevano posato prima le loro preziose zampette. Poi Nicola afferra una frusta e mi dà qualche colpo ben assestato che fa oscillare nel vuoto il mio corpo, tra le risate e i commenti dei presenti divertiti. Il mio Padrone invita poi il ragazzo più giovane a prendere la frusta al posto suo e a frustarmi con decisione. Il giovane non se lo fa ripetere due volte e inizia a frustarmi violentemente.Io mi lamento, ma dalla mia bocca aperta escono suoni incomprensibili. Il ragazzo sfoga su di me una specie di "rabbia giovanile" e il mio corpo, seppure parzialmente coperto, comincia a mostrare i segni rossi lasciati dalla frusta. Il sudore cola dalla mia fronte e mi sento un giocattolo nelle mani di quel ragazzo, che poi decide di dare la caccia alle mie scarpe. Ora mi colpisce le gambe e le caviglie, nel tentativo di togliermi le scarpe a colpi di frusta. Dopo qualche colpo andato a vuoto, riesce a sfilarmi una scarpa, che ruzziola qualche metro più in là per la veemenza della frustata. "E ora toglile l'altra scarpa", lo incita uno dei più anziani. Il ragazzo si accanisce con le frustate, ma sembra aver perso la concentrazione e l'altra scarpa non se ne vuole andare dal mio piede. E intanto le mie gambe si ricoprono di segni rossi per le frustate. Dopo vari tentativi, la frusta colpisce il mio tacco e la scarpa si sfila dal mio piede. "Bravo, hai vinto il reggiseno", dice Nicola al ragazzo e fa cenno all'uomo del trattore di abbassare la forca. Io sono stremata dal caldo e dalle frustate, ma di parere diverso sembra il giovane, che mi si avvicina e appena metto piede a terra con un coltello mi taglia le spalline e la parte centrale del reggiseno. Ora i miei seni sono lì indifesi, davanti a ventidue occhi che mi fanno sentire una nullità. 22750 0 12 years ago
- 10 years ago In mezzo agli operai Tutto potevo immaginarmi, ma quello che mi è successo martedì 29 maggio è davvero incredibile. Alla mattina raggiungo uno dei miei attuali Padroni per passare qualche ora con lui. Il motivo della mia visita non era il solito incontro punitivo, ma l'occasione per discutere delle sue prossime vacanze, visto che ho un'amica che gestisce un'agenzia di viaggi. Quando vado da lui in incognita per qualche incontro di carattere "sessuale", scendo direttamente in box con la macchina (ho l'apricancello e un box a me riservato) e poi da lì raggiungo la sua abitazione. Ma quella mattina non c'era nulla da nascondere agli occhi indiscreti e curiosi dei vicini. Ho quindi parcheggiato fuori e ho citofonato, come una qualsiasi amica. Lui mi ha aperto e io sono salita, recando sotto il braccio una montagna di depliant; lui li ha guardati con attenzione e poi mi ha indicato le sue preferenze circa i luoghi in cui vorrebbe trascorrere le vacanze di agosto. Abbiamo conversato, bevuto un buon caffè e poi è arrivata la sua proposta del tutto inaspettata: "Ho parlato di te ad alcuni amici che vorrebbero conoscerti. Vuoi che te li presenti?". "Sì, va bene, ma questa mattina non ho voglia di giochi sado e non ho voglia di essere sottomessa, d'accordo?", dissi io. Lui mi rispose che io potevo scegliere e che lui non mi avrebbe mai obbligato a fare qualcosa contro la mia volontà. Accettai di conoscere questi nuovi amici e partimmo con la sua auto. Si diresse alla periferia della città e poco dopo varcò la soglia di un cantiere. "Nicola, ma dove stai andando?", dissi un po' preoccupata. Lui mi rassicurò dicendo che i suoi amici lavoravano in quel cantiere e che erano operai, ma persone a modo. Io non ho mai avuto preconcetti verso gli operai, anzi talvolta sono persone decisamente migliori di coloro che hanno studiato a lungo, ma vivono solo di apparenze. Scendemmo dall'auto e lui mi presentò a una decina di amici. "Ciao ragazzi, questa è Sonia, una grande amica con la quale a volte si può anche trasgredire un po', ma questa mattina non ne ha proprio voglia", disse il mio Padrone. Dopo le solite presentazioni, qualcuno azzardò qualche commento un po' pesante. Si avvicinò a me un uomo barbuto dall'aria poco rassicurante, di corporatura massiccia e con una canottiera intrisa di sudore. Mi disse con voce roca: "Ma guarda che bella porcellina. Nicola ci ha detto che sei brava a fare certe cose. Dai, facci vedere le tettine... almeno quelle". Si avvicinò a me con la sua mano grassoccia e tozza. "Senti bello, questa mattina non ho voglia di fare spogliarelli e quindi non osare a toccarmi", ribadii io in modo fermo e deciso. "Eppure Nicola ha detto che sei una puttana e che vai con tutti, senza chiedere soldi, ma solo per il tuo gusto... Ora ti facciamo divertire noi, lurida sgualdrinella!", disse un altro. "Nicola sei un bastardo, i patti sono patti", dissi io intuendo le intenzioni di quegli uomini. Poi mi voltai e iniziai a correre verso l'uscita del cantiere. Nel cantiere c'era una casa in costruzione e dall'alto un operaio, che aveva assistito alla scena, mi invitò a fuggire. Io correvo e sentivo di essere inseguita da alcuni uomini. Stavo guadagnando terreno rispetto ai miei inseguitori, quando un tacco di una scarpa rimase infilato nel terreno cedevole e io capii di averla persa. Continuai a correre con un piede scalzo, ma la cosa diventava sempre più difficile e poco dopo venni raggiunta dai miei inseguitori. Mi bloccarono e mi riportarono sui miei passi, dicendomi: "Ma brava, hai cambiato idea. Vuoi conoscerci meglio!". Quando fummo davanti a Nicola mi denudarono completamente, tra gli sghignazzi di tutti e mi legarono le braccia dietro alla schiena. "Sai che sei proprio una bella fighetta? Non sei più giovanissima, ma te la cavi ancora bene! Peccato che sei così superba...", disse un operaio divertito. "A lei piacciono i camion... facciamogli vedere il cassone del nostro. Salvatore vieni qui con l'escavatore, così mettiamo questa troia sul camion", disse l'operaio barbuto. Poco dopo l'escavatore si avvicinò e mi misero legata dentro la benna, con modi alquanto ruvidi. Praticamente mi sbatterono dentro! L'uomo in cabina alzò il braccio dell'escavatore e io venni sollevata ad alcuni metri da terra, dentro a quella specie di cucchiaio bollente per il sole caldo e splendente di quella giornata. Mi depositarono, anzi mi fecero rotolare per l'esattezza, nel cassone dell'autocarro dove c'era un mucchio di sabbia e quattro operai salirono sul camion. "Ti piace la sabbia? E' come essere al mare... Speriamo non dia fastidio alla tua candida schiena...", mi apostrofò un operaio in tono ironico. Mi slegarono e mi buttarono sul mucchio di sabbia. Poi uno tiro fuori l'uccello già duro e rigido e mi allargò le gambe. Invitò altri due a tenermi ferme le gambe e loro strinsero le loro mani forzute sulle mie caviglie. Uno, ridendo, mi sfottò dicendo: "Ma lavati i piedi, zoccola. Hai un piede pulito e uno sporco... sei una lurida troia!". E' chiaro che la cosa era dovuta al pezzo di strada che avevo percorso in cantiere senza una scarpa, ma qualsiasi occasione era buona per loro per sfottermi. Ormai non avevo più dubbi: Nicola mi aveva tradito ancora una volta. Lui era rimasto giù dal camion, ma esortava gli altri a farmi qualsiasi cosa avessero voluto, tanto a suo dire ero solo una cagna in calore. Io non ero per niente eccitata e la mia parte intima credo non fosse assolutamente bagnata. Ma ai quattro quello poco importava. A turno mi scoparono, aprendomi con colpi decisi la figa. Io vedevo altri operai che dall'alto della casa assistevano alla scena divertiti e commentavano in modi scurrili la mia sottomissione. La mia schiena si strofinava sulla sabbia, che faceva quasi da carta vetrata sulla mia pelle. Poi uno prese un grosso ramo di ortica e me la strofinò sui seni e sulla pancia. Che bruciore provai in quei momenti! Poi mi voltarono e io capii che era venuta la fine anche per il mio culetto. Mi sfondarono in quattro o cinque, io non riuscivo più a contare gli uomini che mi sodomizzavano... solo un gran bruciore all'ano mi faceva capire che gli energumeni dovevano essere tanti! Ad ogni colpo che ricevevo le mie tette sbattevano sulla sabbia ruvida, provocandomi dolore. Io urlavo, ma più alzavo la voce, più loro si accanivano su di me. Quando furono soddisfatti, mi rigirarono a pancia in su e mi legarono con le braccia aperte e le gambe divaricate alle sponde del cassone del camion. Mi ricoprirono di insulti e si sputi e quelli che non erano venuti nel mio culetto, mi sborrarono addosso. Rimasi nuda e legata, sotto al sole cocente del mezzogiorno, mentre gli operai andarono a mangiare. La mia pelle bruciava per l'ortica, lo strofinamento contro la sabbia e il sole che mi stava cuocendo a fuoco lento. Rimasi lì fino alle cinque del pomeriggio, con le gambe atrofizzate e la pelle ormai rossa e dolente. Alla fine mi slegarono e Nicola mi disse con aria di rimprovero: "Sonia, sei sempre la solita... una lurida cagna in calore, che mi fa fare figure ovunque la porto. Domani riceverai cinquanta frustate a casa mia per il comportamento da puttana che hai tenuto oggi! Intesi?". Vita da schiava... 16212 2 12 years ago
- 10 years ago Umiliazioni di schiava Nicola, uno dei miei attuali Padroni, mi aveva "ceduta" temporaneamente a James, che mi aveva invitato a casa sua per una prima lezione di umiliazione davanti a dieci uomini. Doveva essere una lezione di sottomissione a livello cerebrale, in cui non era prevista una sottomissione a carattere fisico. E proprio per questo mi ero vestita in modo decisamente carino con un bell'abitino di un pallido color azzurro (graditissimo regalo di mio marito) e scarpe laccate blu con il tacco alto. Sotto avevo reggiseno e mutandine di colore blu di una nota Casa di intimo. Quando arrivai venni subito presentata da James ai dieci uomini presenti, di cui notai subito la differenza di età: cinque erano in giovane età, mentre gli altri cinque si avvicinavano alla settantina. Mi aspettavo di essere investita da un fiume di parole, che mi avrebbe fatto sentire la loro schiava inutile e disprezzata; chiaramente non mi aspettavo minimamente che il mio corpo fosse protagonista della serata. Uno degli anziani si avvicinò a me e, mettendomi una mano sul seno, disse a James: "Questo vestitino è proprio brutto, insignificante e da educanda". James rispose con tono fermo: "Se non ti piace... distruggilo!". E mentre diceva così porse al vecchio un paio di forbici, che il vecchio afferrò con destrezza; l'uomo infilò la punta della forbice in una manica del mio abito perforandola e da lì tagliò la manica all'altezza della cucitura. "Ehi, che fai! Smettila con quella forbice... quest'abito è un regalo di compleanno dii mio marito", dissi io stizzita. Ma non riuscii a finire la frase, che già la forbice aveva compiuto il suo scempio. L'uomo mi sfilò la manica ormai staccata dal vestito, la buttò sul pavimento e la calpestò. Poi fece apprezzamenti galanti al mio barccio ormai scoperto: "Che bel braccio hai, lurida troia". Io cercai di far notare a James che il tema della serata era la sottomissione cerebrale e lui mi ridicolizzò, dicendomi che se avevo creduto a quella promessa ero proprio un'ingenua. Il vecchio mi disse allora: "Cagnetta e sotto come sei? Ora facciamo vedere a tutti come sei fatta... Ti taglierò questo inutile vestitino dal basso verso l'alto". Detto fatto iniziò a tagliarmi il vestito dalla gonna verso l'alto e dopo poco il mio abito era diviso perfettamente in due parti: intervenne allora un altro che mi sfilò il vestito e lo gettò sul pavimento. Ero rimasta con le scarpe e la biancheria intima, davanti agli occhi libidinosi dei vecchi e a quelli più indifferenti dei giovani. Mi vennero tagliate le spalline del reggiseno, poi venne diviso in due parti con un taglio netto in mezzo alle coppe, rendendolo inutilizzabile. Poi mi tagliarono le mutandine all'altezza dei fianchi e io rimasi nuda, ad eccezione delle scarpe. Mi fecero sedere su una sedia, mi fecero portare le braccia all'indietro e divaricare le gambe; venni poi legata con le braccia dietro alla spalliera della sedia, mentre le gambe mi furono legate in posizione aperta all'altezza delle ginocchia. Uno dei vecchi accese una sigaretta e chiese un portacenere al padrone di casa, che stupito e beffardo disse: "Vecchio, non ti basta la bocca di questa povera schiava? Sonia reclina il capo all'indietro e apri la bocca. Tira fuori la lingua, cagna!" Io replicai dicendo che mi sarei rifiutata di fare il portacenere e ricevetti due sonori ceffoni. Io insistevo nel rifiuto e ormai gli schiaffi non si contavano più. Alla fine cedetti, con il viso arrossato dagli schiaffi, reclinai la testa all'indietro e aprii la bocca. Il vecchio fumava con lentezza e buttava la cenere della sigaretta sulla mia lingua e in gola. Ad un certo punto mi venne imposto di buttare tutta la cenere in gola, ma io non riuscii a svuotare completamente la bocca. James ordinò ai presenti di sputarmi in bocca per "aiutare" la mia deglutizione. In men che non si dica mi riempirono la bocca di sputi e vi assicuro che la saliva non è molto simpatica, a maggior ragione se proviene dalla bocca di una persona di una certa età. L'anziano aveva finito la sua sigaretta e James lo invitò a spegnerla... sotto ai miei piedi! L'uomo mi alzò un piede e spense il mozzicone sulla suola della mia scarpa. "No, non hai capito niente... devi spegnerla sul piede nudo di questa povera diavola e non sulla suola della scarpa", intervenne il padrone di casa. Nel frattempo altri uomini avevano acceso alcune sigarette e tutti usavano la mia bocca come portacenere. Sputi e cenere nella mia bocca si mischiavano in una nauseabonda mistura. E allora a James venne un'idea geniale: invitò i più giovani ad urinare dentro ai bicchieri di plastica e a masturbarsi, versando nei bicchieri colmi di urina anche il loro sperma. A suo dire questa calda bevanda sarebbe riuscita a farmi ingoiare cenere e sputi. Un vecchio finì la sua sigaretta, mi tolse una scarpa e la spense sulla mia pianta, immediatamente sotto alle dita. Per fortuna lì la pelle è leggermente più spessa che in altri punti, ma il dolore fu comunque atroce. Un altro, decisamente più bastardo, mi tolse l'altra scarpa, mi allargò il quinto dito del piede e spense il suo mozzicone tra le mie dita. Lì la pelle è più vulnerabile e io urlai dal dolore provocatomi dalla bruciatura. Poi mi fecero bere alcuni bicchieri di urina "condita" dal bianco sperma: una bevanda calda e odorosa, che mi lascio in bocca uno sgradevole sapore. Un altro mozzicone mi venne spento sul tallone e ancor oggi fatico a mettere le scarpe, avendo i piedi provati dalle vesciche. Dopo tanti sputi, insulti e "bevande" di cattivo gusto la mia serata finì con una buona dose di schiaffi sui seni. Venni slegata e buttata a terra, dove ricevetti altri sputi su tutto il corpo e anche qualche calcio. Ricevetti però anche un applauso fragoroso e convinto e venni invitata a ritornare in quella casa, ad "esibirmi" davanti a quella variegata platea. 36732 0 12 years ago
- 10 years ago L'apprendista schiava Già da tempo ero la schiava di mio marito, con lui facevo giochi sado, ma sognavo il "grande salto". Fu la prima volta che confessai a mio marito la mia voglia di diventare schiava di un altro uomo. Lui all'inizio rifiutò categoricamente l'idea di vedermi alle prese con un altro uomo, ma poi con il passare del tempo acconsentì alla mia bizzarra richiesta. Lui stesso contattò attraverso una rivista di settore un Master, che ci fissò un incontro in un bar della zona in cui era ubicato il locale delle torture. Ci incontrammo e bevemmo un caffè insieme, tutti e tre come vecchi amici. Il Master si chiamava Max, aveva trent'anni ed esibiva un fisico scultoreo. Mio marito chiese a Max di non essere molto duro con me: "Mi raccomando, falla sentire schiava, ma fai in modo che la cosa risulti molto soft. Per lei è la prima volta e potrebbe rimanere traumatizzata dalla cosa". Max lo rassicurò, lasciando intendere che la cosa si sarebbe limitata a qualche bacchettata alle mani e al sedere... "ricoperto" dai pantaloni! Venne deciso il giorno dell'incontro e io fremevo come una bimba in attesa di quel momento. Quando arrivammo alla location prestabilita, trovammo con nostro grande stupore cinque uomini ad attenderci: Max si era portato quattro amici, tutti molto ben piazzati e dal fisico atletico. Max ci salutò calorosamente e poi si rivolse a Mario, mio marito, in tono deciso: "Caro Mario, tu non mi dai la benchè minima garanzia. Non sono sicuro che rimarrai fermo e buono vedendo la tua bella mogliettina nelle mani altrui. Devo per forza farti legare". "Tu non farai questo, non era negli accordi. Ricordi che cosa ci dicemmo al bar il giorno del nostro primo incontro? Solo punizioni soft per Sonia. E nient'altro", replicò mio marito. Non ebbe il tempo di finire la frase, che due uomini lo immobilizzarono, legandolo saldamente ad una poltrona. Io cercai di andare in suo soccorso, ma fui subito bloccata da altri due uomini e dalle parole gelide di Max: "Troietta, tu non vai da nessuna parte. Ora sei nostra, ci hai provocato e dovrai stare ai nostri ordini. Noi siamo veri uomini, non ci facciamo prendere per il culo da nessuno... non come quella mezza sega di tuo marito! Se vuoi scappare, se hai paura, chiedi aiuto a Mario... Guarda che aria impaurita ha... Ora Mario vedrà come si trattano le puttanelle come te!". Io guardavo Max con aria altera, mentre i due uomini mi tenevano ferma, afferrandomi le braccia in una morsa decisa. "Tu sei solo uno sbruffone, che si vanta per avere due muscoli in più degli altri. non mi fai paura. Mi fai schifo! Sì, solo schifo...", dissi io a Max, che nel frattempo si era avvicinato al mio viso, con l'indice alzato. "Puttana, ora ti faccio pentire di quello che hai detto", ribadì il Master con tono beffardo. Si rivolse ai due uomini e impartì loro l'ordine di strapparmi i vestiti. I due non si fecero pregare e iniziarono a lacerarmi i vestiti. Io mi divincolai e persi le scarpe nella colluttazione. Sentivo i miei vestiti che venivano inesorabilmente stracciati e poco dopo rimasi con la biancheria intima. "Via tutto, lasciatela nuda", ordinò Max. Mi slacciarono il reggiseno e me lo tolsero, poi si gettarono sulle mie mutandine. Cercarono di strapparmele, ma loro opponevano una grande resistenza, Tirandole verso l'alto, le fecero passare all'interno della mia figa, procurandomi un leggero dolore. Poi anche le mutandine vennero sopraffatte e io rimasi nuda ed inerme davanti ai sei uomini. Ero visibilmente intimorita da quell'ambiente ostile che si era creato attorno a me. Max chiese ai quattro chi volesse essere punito con me e uno di loro si fece avanti: "Padrone, io merito di essere punito. Fatemi qualsiasi cosa". Io guardai l'uomo attentamente e mi accorsi che i suoi pantaloni si erano gonfiati a dismisura. Max chiese all'uomo di spogliarsi e lui lo fece con aria alquanto disinvolta. Quando fu nudo vidi che non mi ero sbagliata: il tipo aveva un uccello spropositato e duro come il marmo! Altro che Mario, ottimo marito, ma poco dotato sessualmente. Ci fecero mettere uno di fronte all'altra e la visione dell'uccello di quell'uomo mi stava provocando pruriti vaginali intensi. Poi ci fecero alzare le braccia e ci spinsero l'uno contro l'altra. Ora l'uccello in tiro dello schiavo premeva contro la mia figa totalmente bagnata. Ci legarono insieme, in modo molto stretto, provocandomi piacevolissime sensazioni; ormai ero bagnata all'inverosimile e ci sollevarono uniti, corpo contro corpo. Mio marito urlava come un pazzo, ma venne preso a schiaffi da Max. "Guarda quella vacca di tua moglie. Guarda come si stringe al bull, le piace sentire l'uccello contro la sua figa... è una porca... e tu povero cornuto grida, grida pure..." Poi Max ordinò a me e all'uomo che avevo davanti di scambiarci un bacio, con grande intensità. Sentii la lingua di quel porco entrare nella mia bocca e io non potei far altro che accettare quello scambio ravvicinato di effusioni. Le nostre lingue si avvinghiarono, con grande trasporto da parte di tutti e due. Ma una frustata sulla schiena ruppe l'idillio. Io gridai per il dolore, interrompendo quello splendido momento di piacere. Anche lo schiavo ricevette una spietata frustata e i nostri corpi ondeggiavano ora uniti, sotto l'effetto devastante della frusta. Frustate, tante frustate. Io ero distrutta, ma l'uccello dell'uomo continuava a premere sulla mia parte intima, a tal punto che cominciai a gocciolare... sul pavimento! Max se ne accorse e ordinò ai suoi uomini di spargere puntine da disegno sul pavimento. Poi ci calarono, fino a farci toccare il pavimento con i piedi. Sia io che lui cercavamo di non toccare terra, per evitare le puntine, ma ad un certo punto i nostri corpi si allungarono e fummo costretti ad appoggiare i piedi a terra. Le puntine fecero scempio delle nostre piante, conficcandosi senza pietà e producendoci un atroce dolore. A quel punto ci sollevarono e ci fecero scendere di nuovo e ad ogni contatto con il pavimento qualche puntina riusciva a conficcarsi nelle nostre carni. Per fortuna qualche altra puntina si staccava e così via per un buon quarto d'ora. Ci ripulirono i piedi dalle puntine e ripulirono anche il pavimento, dopodichè venimmo slegati. Anche Mario venne liberato, ma i suoi occhi lucidi erano un chiaro sintomo del suo stato d'animo. Ci spinsero fuori dalla porta, io ero nuda e raggiungemmo la macchina in un batter d'occhio. La prova fu molto dura, molto più di quanto si pensava. E fu solo l'inizio di una serie di sottomissioni. alle quali ora non so più rinunciare. 19646 0 12 years ago
- 10 years ago Sotto il tavolo Sabato sera. Sono stata invitata in una villa del comasco per partecipare ad una cena principesca... forse il vocabolo "partecipare" è eccessivo... sì, perchè io sono stata sotto il tavolo per tutto il tempo della cena! In effetti sono andata già sapendo il ruolo che mi toccava, in quanto ero stata contattata da un amico di Nicola, un mio Padrone, che aveva bisogno di una schiava per allietare la serata. Mega villa in un mega parco, ambiente elegante e gente raffinata. Dopo una veloce presentazione, vengo invitata dal padrone di casa a mettermi sotto il tavolo a "disposizione" di chi avrà bisogno di me. "Tu Sonia soddisferai i nostri desideri, senza opporre resistenza e ti ricordo che non sono accettati rifiuti di alcun tipo. Infilati sotto il tavolo, che la cena sta per iniziare", mi dice Gioele, il padrone di casa. Io mi infilo sotto il tavolo, completamente ed elegantemente vestita. Inizia la cena e per i primi venti minuti rimango inoperosa. Mangiano e chiacchierano i commensali, in tutto sei coppie abbastanza giovani. Poi all'improvviso mi sento chiamare in causa da una voce femminile: "Sonia, da brava cagna leccami i piedi. Toglimi le scarpe... io sono quella con le scarpe di vernice nera!". Individuo la tipa che mi ha fatto la richiesta e le slaccio lentamente i cinturini, poi con grande delicatezza le tolgo le scarpe e inizio a leccare il suo piede destro. Io sono in ginocchio, con la testa piegata sul suo piede, e lei mi mette l'altro tra le mie gambe, quasi a cercare la mia parte intima. Le lecco un piede e poi l'altro, in modo minuzioso, dito per dito e poi passo a leccare tutta la pianta che si presenta giovane, liscia e vellutata. Ad un certo punto la tipa si rifà viva dicendomi: "Basta ora. Smetti di leccare, lurida cagna. La tua lingua mi importuna! Togliti le scarpe e dammele, insieme alle mie". Io mi tolgo le scarpe e poi le passo alla signora, che probabilmente le appoggia sul tavolo; poi le porgo le sue e anche quelle spariscono alla mia vista. Vengo poi invitata da una voce maschile a fare un bel pompino: una mano sotto il tavolo mi indica il commensale che desidera quel servizio. La mia posizione è alquanto scomoda, ma inizio il mio lavoro di bocca. Gli sbottono i pantaloni, gli abbasso la zip e gli tiro fuori l'uccello, scostando gli slip lateralmente. E' un uccello grosso e già duro, di grande sezione, ma non mi faccio intimidire e inizio a spompinarlo. Lui geme e mi fa capire di gradire molto il mio servizio; ad un certo punto capisco che sta per venire e lui mi conferma la cosa: "Sì, sì, zoccola. Sei brava... sto per venire. Voglio che tu beva il mio sperma, fino all'ultima goccia. Ohh, ohh...". E viene copiosamente nella mia bocca; io ingoio tutto, stando attenta a non sprecare quel liquido caldo e saporoso. Altri due mi richiedono di essere spompinati e io eseguo. Loro però non vengono e mi chiedono espressamente di fermarmi, essendo vicini al traguardo. Il padrone di casa mi invita a spogliarmi totalmente e a posare i miei indumenti sopra il tavolo. Mi tolgo la camicetta, la gonna, le autoreggenti, il reggiseno ed infine il perizoma e metto tutto sul tavolo. Ormai sono completamente nuda, ma nessuno dei commensali mi ha ancora vista. Una donna mi fa leccare i suoi piedi e alla fine mi chiede di stendermi davanti alle sue estremità inferiori. Io lo faccio e lei usa il mio volto come appoggiapiedi. Poi un altro uomo mi chiama: "Sonia, devo pisciare, ma non ho voglia di andare in bagno. Vieni qui, latrina umana! Devi bere la mia urina... tutta, fino all'ultima goccia. Capito?". Io rispondo affermativamente, lui si abbassa i pantaloni e le mutande, liberando l'uccello. Poco dopo la sua urina scorre nella mia gola, ma la quantità e davvero tanta e io non riesco ad ingoiarla tutta; il mio viso viene colpito dallo schizzo potente dell'uomo e io mi sento lavata da quel liquido disgustoso. Il padrone di casa interviene e mi ordina di leccare la figa liscia e depilata di una commensale, che dopo poco emette gemiti di piacere e mi squirta in viso. Poi Gioele mi dice che siamo verso la fine della cena e anche io devo devo partecipare al banchetto: altro che banchetto... devo ingoiare lo sperma di tutti coloro che vorranno venire nella mia gola! I sei uomini presenti iniziano a masturbarsi, i gemiti non si contano e arrivano i primi schizzi. Io non riesco a bere tutto lo sperma che arriva, perchè i tipi vengono anche contemporaneamente e così finisce che mentre ingoio lo sperma di uno, l'altro mi viene sul culo e sulla schiena. Ho sperma dappertutto: in gola, sul seno, sulla schiena e sul culo e gli schizzi finiscono anche sul pavimento. Ormai tutti i presenti si sono masturbati e hanno irrorato la schiava con il loro caldo nettare. Ad un tratto, come per magia, il tavolo si alza e viene riposizionato poco più in là. Io rimango scoperta e ora tutti mi possono vedere in "costume adamitico". Gioele inveisce contro di me, con voce sprezzante: "Puttana, hai permesso che questi uomini sporcassero il pavimento con il loro lurido sperma. Meriti di essere punita. Prendetela a calci, senza pietà!". E così i presenti si divertono a prendermi a calci, con o senza scarpe. Io sono sdraiata a terra e ricevo colpi nei fianchi, nella pancia, sui seni. Poi sento una mano che preme sul buco del culo. "No, quello no... vi prego... mi fa ancora male dall'ultima punizione ricevuta...", supplico io con voce flebile. Ma il tizio non si fa impietosire e continua ad allargarmi l'orifizio con le dita. Alla fine il mio buco cede alla violenza della mano, che si introduce e mi dilata irreversibilmente l'orifizio. Provo dolore al culo, ma anche le altre parti del mio corpo risentono dei colpi ricevuti. Piango, mi dispero e mi agito, ma non c'è nulla da fare per me. Devo subire e basta! Solo la voce di Gioele riuscirà a fermare i commensali inferociti (e anche arrapati!): "Basta ragazzi, non vedete come è ridotta questa povera creatura? Ora riconosco che è stata punita abbastanza!". Mi aiuta a rialarmi: il trucco è colato dai miei occhi piangenti, il rossetto non è che un ricordo, il mio corpo inizia a mostrare i primi lividi e la sborra si sta seccando sulla mia pelle. Qualcuno mi infila qualche banconota nella figa, ma io non voglio essere pagata. Rifiuto il denaro... faccio la schiava per piacere, non per soldi! 16784 1 12 years ago
- 10 years ago Indovina chi è. Terza parte Si prepara la quarta coppia. Il primo uomo mi infila un uccello duro come il marmo in bocca e inizia a muoverlo con grande maestria. La mia lingua si muove anche lei e io succhio con grande avidità quell'uccello dalle dimensioni importanti. Subito dopo sento il secondo uccello che mi sfonda l'ano e inizia a pomparmi con un giusto ritmo. Mi piace essere inculata davanti a tutti, mentre mio marito guarda e gode come al solito. A lui non interessa se sua moglie viene sbattuta da tutti, a lui interessa più che altro vedere sua moglie punita con rigore, che si lamenta per le torture che riceve. Alla fine dei fatidici tre minuti, come un orologio svizzero, il Master impone lo stop. Mi rivolge la solita domanda e io rispondo sicura: il primo è Nicola, il secondo è James. Sbaglio clamorosamente e tutta la platea bisbiglia quasi con soddisfazione. Arriva la prima punizione, alquanto dolorosa: i miei capezzoli vengono stretti, prima uno e poi l'altro, dalla ferrea morsa di una pinza e avvitati più volte su sè stessi. I miei capezzolini si torcono, producendomi un dolore fortisssimo e io non posso esimermi dall'emettere un prolungato urlo. Arriva l'altra punizione, che consiste nel clistere maxi. Mi tolgono la benda dagli occhi e mi fanno mettere supina. Io odio profondamente questa punizione, non tanto per l'esecuzione che non è molto dolorosa, quanto per gli effetti devastanti che produce il liquido che mi viene iniettato nel culo. Il liquido è molto caldo, quasi bollente, un po' fastidioso, ma non doloroso. Alla fine dell'introduzione, mi sento veramente gonfia, ma voglio trattenermi (per quanto posso!) dall'espulsione. Sento che il mio intestino reclama lo svuotamento, ma io resisto. Chiedo se posso andare in bagno, ma il Master me lo nega e mi indica un angolo della stanza, dove potrò scaricarmi, vista da tutti i presenti. Mi trattengo e il Padrone, ridendo sottolinea la situazione: "Fin quando questa puttana non cag...., non potremo continuare il gioco. Non vorremmo far trovare in situazioni imbarazzanti i nostri giocatori!". Ormai sono al limite del trattenimento e chiedo al Padrone di poter andare nell'angolo. Percorro i pochi metri addirittura piegata su me stessa, con grandi dolori di pancia. Mi scarico rumorosamente e purtroppo questa volta lo scarico è costituito anche da roba solida. Sono umiliata al massimo, mentre la platea commenta e mi deride rumorosamente. Ritorno al mio posto e due uomini puliscono celermente l'angolo della stanza. Vengo nuovamente bendata. Quinta coppia: il primo come al solito in bocca e il secondo nella figa. Sbaglio clamorosamente anche questa volta e mi accingo a subire le punizioni che merito. Vengo sbendata e tre uomini si pongono davanti a me con gli uccelli in mano. Mi lavano la faccia e i capelli con l'urina, obbligandomi anche a berne una buona quantità. L'altra punizione mi riduce il culo ad un puntaspilli e decine di aghi con la testa in plastica vengono conficcati nelle mie tenere carni. Che dolore! Quando li tolgono, qualche rigagnolo di sangue affiora qua e là. La prova è finita e tutti mi applaudono con grande calore. Non mi ero mai esibita davanti a tanti uomini, ma devo dire che, clistere a parte, è stato per me un gioco appassionante. Anche mio marito, vero cuckold, è soddisfatto. In fondo ci vuole poco per farmi felice! 10064 0 12 years ago
- 10 years ago Indovina chi è. Seconda parte Vengo bendata e fatta stendere sulla cassapanca, che si rivela subito dura e ruvida; appoggio il collo nel semicerchio apposito e devo tenere la testa ben orizzontale, perchè sotto non c'è alcun appoggio. Posizionano l'altra parte della parete, che viene "chiusa" con appositi ganci. Ora il mio collo è bloccato e il senso di impotenza è totale. Sento che le mie caviglie vengono afferrate da due forti mani e le gambe mi vengono alzate e divaricate. Il Master invita due uomini a posizionarsi: uno davanti alla mia bocca, l'altro davanti al mio pube. Sono tesa perchè non so quale parte del mio corpo verrà interessata dal secondo uomo. Il Master dà il via e il primo uomo mi infila in bocca un grosso uccello: preme molto, me lo fa arrivare in gola, quasi soffocandomi. L'altro sceglie il mio culo, che ancora non è pronto a ricevere dilatazioni da parte di un pene grosso e gonfio. Io emetto un gemito, che viene soffocato dall'uccello che ho in bocca. Lecco l'uccello che ho in gola, mentre l'altro pene mi sfonda il culo con molta veemenza. Dopo tre minuti esatti il Padrone dà lo stop e i due uomini tolgono gli uccelli dalla mia bocca e dal mio ano. Poi il Master si rivolge a me, formulando quella che sarà la domanda di rito per tutto il gioco: "Sonia hai individuato i due uomini che ti hanno "avuta"?. Prima dirai il nome di colui che è stato deliziato dal tuo pompino, poi il nome di colui che ti ha scopato. E' tutto chiaro?". Io rispondo che il primo è Alberto, mentre il secondo è Mario, mio marito. "Esatto, brava Sonia. Niente punizione. Passiamo ad un'altra coppia di uomini", risponde il Master. Beh, la prima manche era relativamente facile: non è la prima volta che Alberto si fa spompinare e quel suo ritmo veloce e quel suo modo di infilarmelo in gola è del tutto caratteristico. Per quanto riguarda Mario... conosco bene il suo modo di pomparmi nel culo... è mio marito! Seconda coppia. In bocca mi viene infilato un uccello moscio, che rimarrà così per tutti tre minuti della prova, mentre il secondo uomo sceglie ancora il mio culo. E' dolce nell'entrare ed uscire dal mio orifizio, a tal punto che il buco mi duole meno di prima. Alla fine della manche sono sicura che il primo uomo è Pietro, che anche se non ho mai visto reputo di età avanzata, il secondo lo identifico con Giorgio. Il Master è quasi felice delle mia risposte e annuncia con ilarità: "Sonia hai indovinato il primo nome, ma hai sbagliato il secondo. Sarai punita per questo. Attendi con fiducia la tua punizione... sta arrivando!" Non so che cosa mi faranno... nella mia mente passano diverse immagini... Poco dopo il mio seno viene inondato di cera bollente e i miei capezzoli sono totalmente ricoperti di cera, che in breve si solidifica. Terza manche: un piccolo uccello in bocca e uno medio in figa. La mia figa è ormai completamente bagnata e non oppone alcuna resistenza... anzi... mi godo interamente e con grande intensità quei tre minuti di scopata. Alla fine il Master mi chiede i nomi dei due, ma io sbaglio clamorosamente. Il Master questa volta è magnanimo e mi fa scegliere la prima punizione: vuoi ingoiare sperma o essere lavata dall'urina? Scelgo di ingoiare sperma e un altro uomo si masturba davanti a me, inondandomi la bocca del suo caldo nettare. Lo ingoio fino all'ultima goccia, anche se devo dire che la quantità era veramente notevole. Mi fa scegliere anche la seconda punizione: bacchettate sulla pianta dei piedi o clistere maxi. Io scelgo le bacchettate e ricevo venti bacchettate per pianta. Ho le piante dolenti, ma non ho subito l'onta del clistere, che per me rimane una delle cose più umilianti per una schiava. 7371 0 12 years ago
- 10 years ago Indovina chi è. Prima parte Serata particolare dal Padrone, che ha ideato per me un gioco a carattere erotico. Appena arriviamo, io e mio marito, veniamo portati in una sala dove sono presenti una trentina di uomini completamente nudi. Il Padrone fa la presentazione della schiava ai presenti e poi fa accomodare mio marito nella prima fila di sedie. Viene invitato a spogliarsi dal Master, visto che anche lui sarà parte attiva del gioco. Mio marito si spoglia e si siede al posto che gli è stato riservato. Io scruto le facce dei presenti e riconosco tanti vecchi e nuovi amici: tra gli altri Nicola, Sandro, Pietro e Alberto. Parte la musica e io vengo invitata a spogliarmi a ritmo di musica, improvvisando uno spogliarello tipo "nove settimane e mezzo". Inizio a spogliarmi e lancio i miei vestiti ai presenti, che fanno a gara per aggiudicarseli. Rimango completamente nuda e mi avvicino al Padrone, che si accinge a spiegare il gioco. Poco più distante c'è quello che sarà il "letto" su cui si svolgerà il gioco: una specie di cassapanca in legno ruvido alla cui sommità è fissata una parete iin legno divisa in due parti, con un foro centrale per permettere l'introduzione del collo della vittima di turno. Quasi una specie di gogna moderna. Il Padrone mi dice che io dovrò stendermi sulla struttura in legno, che il mio collo passerà oltre la parete grazie al buco e che, una volta richiusa la parete, non potrò vedere che cosa succede oltre alla stessa. Il gioco si svolge a manches di tre minuti, durante le quali due uomini mi impegneranno contemporaneamente: uno mi obbligherà a fargli un pompino, mentre l'altro potrà scegliere se scoparmi davanti o dietro. Io sarò bendata, per impedirmi di vedere, e le mie gambe saranno alzate, divaricate e tenute in posizione da due uomini, al fine di offrire i miei buchi allo scopatore di turno. Io dovrò scoprire i nomi di coloro che mi hanno usata e tal fine tutti gli uomini presenti vengono invitati ad alzarsi e a dire il loro nome. Io cerco di fissare nella memoria i loro uccelli, che non sono tutti in erezione. Da alcuni sono già stata scopata, ma quando ricevi tanti uccelli è facile fare confusione. E se non indovinerò la loro identità? Provate a pensare che cosa succederà... Verrò punita con una piccola tortura, che metterà a dura prova la mia figura di schiava. 9030 0 12 years ago
- 10 years ago Come si sfonda una slave Dopo un'intensa giornata lavorativa, qualsiasi uomo normale si mette davanti alla televisione e si gode il suo programma preferito: ormai con tanti canali a disposizione non c'è che l'imbarazzo della scelta. Ma mio marito è un po' speciale e alla sera fissa telefonicamente con il Padrone appuntamenti punitivi per la sua consorte. Qualche sera fa ho intercettato una sua telefonata, nella quale dava la disponibilità del mio culetto ad essere tormentato: "Sì, per me non ci sono problemi... io acconsento! Lei ha già avuto rapporti anali e non penso che una dilatazione in più faccia la differenza. Inculatela pure a vostro piacere. La convinco io, tranquillo". "Con chi parlavi, tesoro?", gli dico con aria sorniona. Lui tergiversa un po' e poi si decide a confessare la sua marachella: "Non ho resistito alla tentazione di vederti nuovamente punita dal Padrone: mi piace troppo quando ti vedo sottomessa da altri. Lo sai che mi eccito moltissimo nel sentire i tuoi lamenti e nel vedere che gli altri ti scopano con piacere. Domani sera saremo dal tuo Padrone. Sicuramente alla fine mi ringrazierai, visto che ti divertirai molto anche tu". "E perchè parlavi del mio sedere?", chiedo io con aria curiosa. Lui non risponde, forse vuole mantenere il segreto. Aggiungo che l'importante per me è che non ci sia Pietro alla sessione, visto il suo poco invitante odore; non l'ho mai visto in volto, ma penso sia un uomo di una certa età, che non potendo fare altro, si è adattato alla condizione di schiavo. Mio marito mi assicura che Pietro non ci sarà, ma io non ne sono affatto certa. Giungiamo alla "casa delle torture" e come sempre mio marito mi affida al Master. Vengo portata nella solita stanza, spogliata e bendata. Mi viene messo il guinzaglio e "a quattro zampe" devo proseguire per raggiungere un'altra stanza, "tirata" senza troppi complimenti dal Master. Lì ci sono altri uomini e mi fanno stendere a pancia in giù su quella che percepisco essere una vecchia rete metallica. Non è molto piacevole per le mie tette e la mia pancia il contatto con la rete metallica. Mi fanno aprire le braccia e le gambe a X e mi dicono di attendere. Sento uno strano odore famigliare... un odore pestilenziale di sudato... è sicuramente Pietro. L'identità misteriosa passa accanto alla rete sulla quale sono sdraiata e poco dopo il Padrone dice: "Pietro stenditi sulla rete a pancia in giù. Apri le gambe e le braccia ad X. Forza, bastardo. Esegui gli ordini!". Io ormai ho la certezza che quell'essere orripilante sarà anche questa volta il mio compagno di avventure. Poco dopo sento due piante callose e ruvide a contatto con le mie. Sono le piante dei piedi di Pietro. Stanno prendendo le misure per organizzare la punizione e solo quando sarò sbendata alla fine, avrò la certezza di come sono posizionate le reti: sono una in fila all'altra, unite da cavi d'acciaio, che le tengono saldamente legate. "Apri il culo a quella troia, che le facciamo passare la voglia di essere nata", ordina il Padrone. Due robuste mani mi allargano le natiche e io sento il mio buco opporre una giusta resistenza. "Guarda che bel buco rosa ha la puttana. Chissà quanti cazzi avrai preso in vita tua in quel fantastico buchetto. Ora non avrai i cazzi che vuoi, ma un bel manico di scopa, che ti spaccherà il culo", sentenzia il Master. MI infilano il manico di scopa e io mi sento spaccare lo sfintere. Mi lamento e supplico il Padrone: "Signore, fatemi tutto quello che volete, ma non sfondatemi il culo con un manico di scopa!". Lui ride e i suoi uomini spingono nel mio povero orifizio il manico con molta violenza. Poi sento Pietro che si lamenta per quel maledetto manico di scopa nel culo e capisco che cosa è successo: il manico è da una parte nel mio culo e dall'altra... nel culo di Pietro! I nostri piedi vengono legati insieme, le nostre piante sono posizionate definitivamente le une contro le altre e una sbarra di ferro, situata tra una gamba e l'altra, ci tiene le gambe divaricate. Il manico di scopa sembra leggeremente lungo, ma agli uomini del Padrone la cosa non interessa proprio. Spingono il manico un po' nel mio culo, che ormai è totalmente sfondato,e spingono un po' il manico dall'altra parte nel culo di Pietro, che ora si lamenta come un bambino piagnucoloso. Poi Pietro viene frustato sulla schiena e si dimena per quel che può, visto che gli uomini del Master lo tengono ben fermo, a contatto con la rete metallica. Però riesce a dimenarsi un po' e il manico di conseguenza si sposta nel mio culo. Ormai ho le lacrime agli occhi, per il dolore che è davvero insopportabile. Poi la mia schiena viene inondata di cera calda e anch'io tento di divincolarmi dalla stretta morsa degli uomini che mi circondano. Più mi muovo e mi agìto e più il mio culo viene "lesionato" dal robusto manico di legno. Alla fine mi afferrano per le spalle e mi spingono contro le piante dei piedi di Pietro. Un rigagnolo di sangue esce dal mio buco del culo e solo allora cessano di spingermi contro Pietro, spaventati da quelle che possono essere le conseguenze di un tale sconsiderato gesto. Una volta slegata, mi sfilano il manico della scopa dal culo e per fortuna il sangue sembra cessare di uscire. Ma qualche altra perditina rossa si verificherà nei giorni successivi, specie durante l'espulsione delle feci. Vengo sbendata e ho una situazione chiara della scena che si è consumata ai miei danni. Pietro si è già allontanato e anche questa volta non sono riuscita a vederlo. Comunque ne sono sicura... la sua "visione" non deve essere affatto angelica! 38697 3 12 years ago
- 10 years ago Frustate per due Mario, mio marito, telefona al Padrone per fissare un nuovo appuntamento e lui gli dice che ha in mente qualcosa di nuovo ed interessante per me. Sarà una sessione in cui io proverò uno stato di sottomissione del tutto nuovo, che mi umilierà in modo deciso e annullerà completamente la mia personalità. Appena arrivati Mario mi consegna al Master, che mi conduce nella stanza delle torture. Mario non mi può seguire e viene fatto accomodare fuori in una stanza tapezzata di foto di schiave, dove ci sono anch'io ritratta in varie pose, con la schiena distrutta dalle frustate e le tette livide. Nella stanza delle torture sono sola con il mio Padrone, che mi ordina di spogliarmi. Io mi tolgo tutto e rimango in reggiseno e mutandine. "Togli anche il reggiseno e le mutandine, puttana", mi dice con tono brusco il Master. Tolgo il reggiseno e mi sfilo le mutandine, rimanendo completamente nuda davanti a lui, che mi scruta e poi mi schiaffeggia con tono "affettuoso" le tette. "Ora rimettiti le scarpe, lurida cagna... quelle oggi ti sono concesse!", mi apostrofa il Padrone. Mi infilo le scarpe e lui mi benda gli occhi, impedendomi così di poter vedere quello che mi aspetta. Quando si viene privati della vista e non si sa che cosa ti faranno, l'adrenalina sale e tutto può succedere, senza che la schiava possa minimamente prevedere lo sviluppo delle cose. Il Master mi fa mettere le braccia sulla testa e mi ordina di rimanere immobile. Poi mi mette un ferro in bocca, che mi impedisce di chiuderla, Avverto che qualcuno sta entrando dalla porta, ma non immagino chi sia. Poco dopo capisco che si tratta di un uomo, che si pone di fronte a me: purtroppo percepisco subito che non è amante del sapone e la cosa mi disturba non poco. Vengo spinta dalla schiena contro di lui: é nudo, ha una pancia pronunciata e un uccello alquanto moscio. E il suo uccello rimarrà moscio per tutta la sessione, malgrado lo sfregamento con il mio corpo. Le mie caviglie vengono legate alle sue, un'altra corda che mi passa sotto il seno mi blocca al suo corpo; mi vengono alzate le braccia e i miei polsi vengono legati con i suoi. Poi i nostri corpi vengono assicurati ad un gancio, che presumo collegato al soffitto e vengono messi in tensione. L'odore di sudato che emana il corpo dell'energumeno che mi sta davanti è nauseabondo e il suo alito è veramente pesante. La sua bocca è esattamente davanti alla mia, che è obbligata a rimanere spalancata a causa dell'aggeggio di ferro che mi hanno infilato. Prende la parola il Padrone, che ci illustra con voce perentoria la punizione che andremo ad affrontare: "Ora Sonia e Pietro siete legati saldamente una davanti all'altro e riceverete la punizione che meritate. Inizierò a frustare la schiena di Pietro, che se si lamenterà procurerà due violenti colpi di frusta alla povera Sonia. Se poi Sonia emetterà dei lamenti, riceverà uno sputo in bocca da Pietro. Avete capito tutto?". Alcune persone entrano dalla porta e si sistemano davanti a noi. Io sono bendata e non riesco a capire quanti siano gli spettatori e se tra loro ci sia mio marito. La frusta inizia a lavorare e Pietro riceve un deciso colpo, che lo fa sbattere ancor più contro di me. Il suo peso mi fa vacillare, ma per fortuna l'energumeno non si lamenta minimamente. Bene, penso io, è un uomo coriaceo, che sopporta bene il dolore. Io cerco di immaginare che tipo di uomo sia Pietro: di certo non giovane, che forse ha già raggiunto la pace dei sensi, visto che il suo pene è decisamente ciondolante, pur premendo sulla mia figa. Ma quel che più mi disturba è l'odore acre del suo sudore. Viene frustato con veemenza, ma lui tace per i primi dieci colpi, accusando i colpi con grande self control. Poi però inizia a lamentarsi: "Ah, che dolore", dice il mio "dirimpettaio". E puntualmente mi arrivano due colpi sulla schiena. Anch'io sono una donna abituata s subire e non proferisco parola. Ora Pietro si lamenta di continuo per le frustate ricevute e io "godo" di ben due frustate ad ogni suo lamento. Dopo una dozzina di frustate decise, non riesco più a trattenere i lamenti e, per quel che posso, gemo per il dolore prodotto dalle frustate. E Pietro viene invitato a sputarmi in bocca. Io provo uno schifo tremendo, sentendo sulla mia lingua la sua schifosa e puzzolente saliva. Frustano lui, frustano me sulla schiena e sul sedere... lui comincia a sudare in modo copioso e io sento il suo sudore sul mio corpo. La mia bocca si riempie di saliva e io sono costretta, mio malgrado, a deglutire, Il Padrone sghignazza e le frustate aumentano in maniera considerevole. Non so quante ne ho ricevute, ma sicuramente alla fine i colpi non sono meno di settanta. Poi il Master invita i presenti ad usarmi come discarica e io ricevo sputi in tutto il corpo. Non vengono risparmiati i miei capelli e persino la benda che ho sugli occhi riceve enormi sputacchiate. Ne ricevo ovunque: dal culo alle caviglie, dalla schiena alle scarpe. Mi slegano e Pietro viene accompagnato fuori dalla stanza; anche tutti i presenti escono e io rimango sola con il Master. Vengo sbendata e finalmente posso vedere il mio corpo martoriato, livido e oltraggiato dagli sputi. Ritrovo mio marito nella sala d'aspetto... sarà entrato anche lui? E' possibile, visto che ormai non si scompone più nel vedere la sua povera moglie umiliata e sottomessa. Anzi gode nel vedere il trattamento che mi viene riservato durante le sessioni! 17689 0 12 years ago
- 10 years ago Sonia Tutto è successo in una fredda sera d'inverno del dicembre scorso. Quella sera avevo appuntamento con Luciano, il mio Padrone numero tre: e sì, perchè tramite questo fantastico sito mi sono trovata ben tre Padroni, tutti molto severi ed esigenti, che si conoscono tra loro e che qualche volta architettano punizioni "comuni" ai danni della sventurata che scrive. Luciano era in compagnia di tre amici e il mio arrivo è stato salutato in modo molto festoso, addirittura con spumante e pasticcini. Ma le feste durano poco per le schiave come me e io so bene che quando vado a queste riunioni finisco sempre per soffrire molto. E' chiaro che comunque queste sofferenze me le cerco volutamente, perchè nessuno mi impedirebbe di stare sul divano di casa a guardare la televisione. Dopo il primo quarto d'ora di stampo godereccio, Luciano ordiina con voce perentoria a due suoi amici di spogliarmi. "Via tutto, lasciatela nuda". I due eseguono e poco dopo finiscono sul pavimento maglione, camicetta, reggiseno, gonna, stivali, calze e mutandine. Dopo essere stata denudata, devo inginocchiarmi a leccare i piedi di tutti i miei aguzzini. Vi confesso che, dopo i pasticcini e lo spumante, l'odore dei piedi maschili, che sono stati chiusi negli scarponi tutto il giorno, non è il massimo. Ma eseguo alla perfezione, leccando i loro piedi sopra, sotto e in mezzo alle dita. Poi Luciano mi fa stendere su un tavolo a pancia in giù e mi fa un clistere di grandi dimensioni. "Così sarai ben pulita e potremo usare il tuo culo a nostro piacimento", disse il Master in modo severo. "Padrone, posso andare in bagno a liberarmi?", chiedo io dopo pochi minuti. "No, questa volta vogliamo assistere tutti al tuo show. Se hai bisogno di liberarti, lo farai sul quel cellophane disteso sul pavimento", disse Luciano indicando un angolo della stanza. Scesi dal tavolo e mi accovacciai sul cellophane, liberandomi a dovere. Mi fecero risalire sul tavolo e mi fecero mettere a "quattro zampe". Mi abbassarono il busto, fino a farmi toccare il tavolo con le tette e il mio culo rimase inarcato verso l'alto. A quel punto Luciano prese un grosso fallo di plastica e lo posizionò sul mio buco dell'ano. Iniziò a premere con forza, nel tentativo di farmi dilatare. Il mio ano sembrava rifiutare categoricamente quel fallo dalle dimensioni importanti e io lo implorai di smettere. "Mi fai male, smettila per favore, non resisto... mi stai spaccando tutta!", dissi a Luciano. Lui però non mi ascoltò e alla fine vinse la battaglia con il mio culo: il fallo entrò con fatica, dilatandomi il buco che iniziò a bruciarmi. Poi Luciano prese una corda e mi fece una specie di mutandina, che passava nella mia figa e tratteneva in posizione quel grosso fallo di plastica. Mi fecero rivestire, ma mi impedirono di rimettermi le mutandine, le calze e gli stivali. Mi infilarono il cappotto e Luciano mi disse: "Ora ti recherai da Alberto, un mio amico, che ti sta aspettando in via ... Avrai a tua disposizione venticinque minuti per raggiungere quel luogo, dove ti toglieranno quel cazzo dal culo. Ma ricorda: ogni minuto di ritardo ti costerà una frustata moltiplicata per il numero dei presenti a quella sessione. Loro sono in quattro, per cui per ogni minuto di ritardo riceverai quattro frustate. Sono le ventidue e trenta... vai e raggiungi velocemente Alberto. Ne hai tutta la convenienza!". Uscii dall'appartamento a piedi nudi, senza calze e senza le mutandine. Intanto quel coso ingombrante mi irritava il retto, mentre la corda già mi faceva bruciare l'interno delle labbra della mia figa. Appena appoggiai i piedi sul gelido pavimento del pianerotttolo un brivido mi serpeggiò nella schiena. Mi feci coraggio e scesi le scale, temendo che qualcuno mi potesse vedere in quelle condizioni. Raggiunsi la macchina, che per fortuna era poco distante dal portone della casa. Salii e posizionai il navigatore sulla via che dovevo raggiungere. La via era in zona dell'autostrada Milano - Genova e il tempo previsto dal navigatore mi gelò il sangue: ventotto minuti, tre in più di quelli che mi erano stati concessi. Avevo inoltre perso un paio di minuti per salire in macchina. Praticamente cinque minuti in tutto, che tramutati in frustate volevano dire... venti colpi! Partii a razzo e seguii le indicazioni del navigatore. Dopo qualche chilometro incontrai un posto di blocco della Polizia. L'agente mi fece segno di accostare e gentilmente mi chiese la patente e il libretto. Poi con estrema calma andò verso l'auto della Polizia e controllò i miei documenti. Io non scesi dalla macchina, in quanto ero scalza e senza calze. Mi avrebbero presa per pazza con quel freddo pungente. Poi l'agente tornò verso la mia auto e mi rassicurò sulla mia posizione di brava cittadina! Io tenevo i piedi ben nascosti sotto la pedaliera e con il cappotto coprii le gambe nude; il fallo nel culo era diventato insopportabile, mentre la corda con il suo sfregamento mi faceva bruciare l'interno della passera. L'agente si complimentò con me per la macchina, che in quel momento era l'ultimo dei miei pensieri: "Bella questa macchina... è un'Audi... sembra una coupè, ma in realtà è una spaziosa berlina. E via con tutti i complimenti di questo mondo (alla macchina!). Alla fine riuscii a ripartire e alle ventitre e dieci arrivai a destinazione. Dovetti lasciare la macchina un centinaio di metri lontano dal capannone, in quanto la strada sterrata era bloccata da una sbarra; scalza proseguii al buio, su una stradina fangosa piena di buche. Scivolai più volte, ma per fortuna riuscii a non cadere. Alle ventitre e tredici arrivai al capannone, dove mi aspettavano con trepidazione i quattro amici: erano trascorsi quarantatre minuti dalla mia partenza, che tradotti in frustate facevano... settantadue colpi! Per la seconda volta quella sera venni denudata e poi venni appesa a testa in giù per la punizione. Avevo sempre nel culo quell'oggetto ingombrante e le corde mi avevano ormai irritato irreversibilmente l'interno della figa. I quattro a turno, armati di fruste, mi colpirono settantadue volte: i miei seni, la mia schiena, tutto il mio corpo venne colpito senza pietà e alla fine solo la mia faccia e i miei piedi si salvarono da quel tremendo supplizio. Succede poi che coloro che sono addetti alle fruste ci trovano gusto nel sentire i lamenti della poveretta di turno, che grida e implora di smettere, puntualmente inascoltata. Anzi più gridavo e più loro ci mettevano forza nel frustarmi. All'inizio il dolore non è tanto, ma poi le fruste finiscono inevitabilmente per colpire più volte la stessa zona del corpo e lì iniziano i dolori: la pelle si arrossa e poi si lede, fino alla comparsa del sangue. Alla fine il mio corpo era pieno di segni rossi, lividi e anche piccole ferite sanguinanti. Mi tirarono giù sfinita, a fatica mi reggevo sulle gambe e mi liberarono il culo dal fallo di plastica. Dopo le frustate, ricevetti un fragoroso applauso e potei rivestirmi per fare ritorno a casa. Ero sempre scalza e percorsi la strada sterrata tra il fango, che era aumentato a causa della pioggia battente, che aveva intanto iniziato a scendere. Arrivai a casa infreddolita e disastrata nel corpo e nella mente. Mi ci vollero parecchi giorni e buone pomate per dimenticare quella sera da incubo! 17124 5 12 years ago
- 10 years ago La peggiore punizione Sono una schiava da molto tempo, ma certe punizioni mi atterriscono ancora, a tal punto che dopo la terza volta ho deciso di non sottopormi più a questa tortura. E' una tortura che interessa varie parti del corpo della poveretta che la subisce: gola, tette, figa e piedi. L'ultima volta che ho subito questa atroce punizione è stata quindici giorni fa, esattamente il ventotto gennaio. Sono arrivata da uno dei miei tre Padroni attuali e ho trovato quattro uomini, oltre lui, ad attendere di assistere alla mia punizione. Sono stata subita spogliata dal Master e poi fatta "sfilare" nuda davanti ai quattro ospiti. Dopo che tutti i presenti hanno dato il loro consenso, è iniziata la preparazione della schiava e degli oggetti utili al compimento della punizione. Il Master mi ha raccolto i capelli sulla nuca, perchè il mio collo doveva essere libero, per intervenire in caso di emergenza nel più breve tempo possibile; mi ha fatto poi divaricare le gambe ed appoggiare i piedi su due pile di libri. A quel punto è stato posizionato lo strumento di tortura, appositamente attrezzato per il blocco del bacino e delle caviglie della slave. Cercherò di spiegarvi questo strumento, con la massima chiarezza possibile: è costituito da un palo di ferro, alla cui sommità c'è un fallo, anch'esso di ferro, regolabile in altezza. Questo palo ha una robusta base di cemento, simile a quella degli ombrelloni da spiaggia; nella parte inferiore del palo sono fissati due bracci, anch'essi regolabili, alla cui sommità ci sono cinghie in cuoio adatte al bloccaggio delle caviglie della schiava. Sempre all'altezza dei bracci, c'è un altro tubo in ferro che si sviluppa verso l'alto, terminando con un cerchio chiudibile, che va a bloccare il bacino, o meglio i fianchi, della torturata (lasciando però la possibilità al corpo di scendere verso il basso). Il Master ha posizionato lo strumento sotto alla mie gambe e ha sollevato il fallo in ferro fino a portarlo all'imboccatura della mia figa. Io non ero ancora bagnata a sufficienza e le labbra della mia figa facevano fatica ad allargarsi. Feci una smorfia di dolore sentendo la punta del fallo appoggiarsi alla mia figa, ma al Padrone questo non importa... anzi più dolore prova la slave e più felice è lui! Poi ha chiuso il cerchio di ferro ai miei fianchi, in modo che non potessi spostarmi dalla posizione iniziale e ha bloccato con le cinghie le mie caviglie ai bracci inferiori. Mi ha messo due forti clips sui capezzoli, tirando i mei seni verso l'alto e lasciandoli in tensione. Sono stata bendata e mi è stato messo un cappio la collo. Il Master voleva impedirmi di vedere quello che sarebbe successo dopo, ma io avevo già provato questa tortura presso altri Padroni e già immaginavo quello che sarebbe successo. A uno a uno, piede per piede, mi sono stati tolti i libri di appoggio e il Padrone mi ha invitato a rimanere sulle punte dei piedi, per sopperire all'appoggio. Cosa succede poi? Al posto dei libri vengono cosparsi sul pavimento, sotto le piante dei piedi della slave e a discrezione del Padrone, materiali diversi che possono essere puntine da disegno, piccoli cocci di vetro o sassini appuntiti. Io non sapevo che cosa avesse scelto per me il Padrone, ma speravo tanto che il materiale scelto fosse la piccola ghiaia, che è la meno invasiva per la povera schiava. E invece... Io mi reggevo sulle punte dei piedi, pur sapendo che dopo un certo punto, non si riesce più a rimanere in questa posizione scomoda e infelice. E si cede di schianto! Ad un certo momento, come previsto, cedetti di schianto: il mio corpo scese verso il basso e nelle piante dei miei piedi si conficcarono... tante, ma tante puntine da disegno, provocandomi diverse ferite con conseguente uscita di sangue. In questi casi non è nemmeno possibile alleggerire la pressione di un piede, perchè si finisce per caricare ulteriormente l'altro. Gridai per il dolore ai piedi, ma il mio urlo venne soffocato dal cappio che avevo intorno alla gola, che inesorabilmente si strinse, facendomi diventare difficoltosa la respirazione. Ai miei occhi affiorarono le lacrime, mentre mi venne una forte tosse, dovuta al senso di strangolamento e dalla mia bocca iniziarono ad uscire fiumi di saliva. Ma il dolore non finiva qui: le mie tette ricevettero un colpo terribile e i miei capezzoli si allungarono, provocandomi un enorme dolore. In questa punizione anche la figa deve sopportare un certo dolore, in quanto il fallo in ferro penetra nel buco della schiava, o se volete il corpo della schiava "scivola" sul cazzo, dilatandolo in modo impressionante. Il fallo è molto grosso e per quanto una sia dotata... si ha sempre la sensazione di avere la figa "spaccata!". Non esiste un tempo di sopportazione uguale per tutte le schiave, dipende dall'abitudine a soffrire e dalla capacità di resistenza al soffocamento. E' chiaro che in queste situazioni, sta al Padrone avere la sensibilità di liberare il collo della schiava, prima che sorgano problemi irreversibili. Mi liberarono il collo e poi, dopo avermi liberato da tutte le costrizioni, venni sollevata dal cazzo di ferro da due uomini. I miei piedi vennero ripuliti dalle puntine e le mie piante vennero disinfettate adeguatamente. Poi venni portata sul grande letto per essere sodomizzata a piacere dei presenti. Mi sono ripromessa che questa è l'ultima volta che mi presto per questa tortura. Spero di resistere alla tentazione! 74418 2 12 years ago
- 10 years ago Sui carboni ardenti Mio marito mi comunicò che saremmo andati nuovamente a Villa Ubbidienza, per proseguire nel mio corso di sottomissione. Aveva già preso accordi con Master Vito, per una lezione alquanto impegnativa. Come sempre lasciammo l'auto fuori dal cancello, suonammo al campanello... e come sempre ci vennero ad aprire Frank e George. Ma non tutto iniziò come sempre! Solitamente i due mi facevano spogliare e mi facevano percorrere il viale, che conduce alla villa, nuda o seminuda. Questa volta non mi chiesero di spogliarmi ed entrammo pacificamente tutti e quattro, raggiungendo poco dopo la villa. Lì ci attendeva Master Vito, che sembrava "diverso" dal solito. Quell'inizio diverso dal solito mi preoccupava non poco... non capivo a che cosa andavo incontro, perchè tutto era avvolto da un impalpabile mistero. Mi portarono davanti ad una specie di trono in ferro e Master Vito disse a Frank e George: "Fatela sedere e legatela saldamente alla sedia". Frank mi sbottonò la camicetta, ma Master Vito lo invitò a desistere, dicendo: "No, non denudarla. Questa volta rimarrà vestita. Toglile solo gli stivali e le calze: questa volta la voglio vestita". Frank abbassò la zip di uno stivale, mentre George si dedicò all'altro. Mi levarono gli stivali e poi mi sfilarono il collant. Mi fecero sedere sul trono, che era abbastanza alto, e mi legarono saldamente le mani e i piedi, che mi fissarono a circa trenta centimetri dal pavimento. Mi legarono anche il busto, facendo passare una corda sopra e sotto il seno; il mio corpo era stato così immobilizzato e potevo a malapena muovere leggermente le mani e i piedi Poi, su istruzioni del Padrone, George mi cosparse olio con un pennello sui piedi, sopra e sotto. Master Vito si avvicinò e mi baciò appassionatamente, ma conoscendolo ormai bene capii subito che il suo gesto aveva il sapore della sfida, per dimostrare che io ero in suo possesso. Mio marito era uscito dalla stanza e io lo cercavo invano con lo sguardo. "Ora, cara puttana, ti faremo i piedini arrosto con due belle padelle di carboni ardenti. I tuoi dolci piedini sono già conditi e il calore li cuocerà in maniera perfetta; dovrai però stare attenta a non muoverli molto, perchè gli "arrostini" potrebbe carbonizzarsi! Ah, ah, ah...", disse il Padrone con un riso beffardo e indisponente. Frank e George arrivarono con due bacinelle piene di carboni ardenti e fumanti, che sistemarono sotto i miei piedi. Le mie piante erano davvero vicine ai carboni ardenti, che sprigionavano un caldo tremendo. L'olio cosparso in precedenza sembrava friggere, creandomi una situazione dolorosa ai piedi. In più dovevo stare attenta a non muoverli, perchè il pericolo di ustione era davvero reale: sarebbe bastato muovere un po' le dita e il contatto sarebbe stato inevitabile, con conseguenze deleterie per i miei piedi. Ma l'atmosfera era quasi irreale: io ero vestita, contrariamente alle altre volte, quando venivo puntualmente denudata e privata degli abiti. Ad un certo punto la porta si spalancò ed entrò una donna bellissima dai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri come il mare di Sardegna. Dopo il primo momento di sbigottimento iniziale, mi resi conto che quella donna era una mia vecchia conoscenza: era Annalisa, una delle mie migliori amiche. "Annalisa, ma cosa ci fai qui", dissi io con aria attonita. "Ciao Sonia, mi dispiace essere qui... tu sei una delle mie migliori amiche... non so come dirtelo... ma vedrai tu stessa tra poco!", disse Annalisa con aria imbarazzata. A quel punto arrivò Mario, mio marito, e salutò Annalisa in modo molto caloroso... con un bacio in bocca! Annalisa non sembrava stupita della cosa e iniziò a slinguacciare mio marito, davanti ai miei occhi increduli. "No, non potete farmi questo", gridai io con tutta la voce che avevo in gola. "Mi dispiace dirtelo, cara troia, ma quello che hai visto finora non è proprio nulla. Vedrai di cosa sono capace, io! Tu solitamente ti fai sbattere da tutti, senza ritegno e pudore... questa volta la storia si ritorce contro di te... tu farai la spettatrice e non l'attrice... credi forse che un uomo come me sia contento di vedere la propria moglie fottuta da tutti gli stalloni della Lombardia?", mi disse Mario. Annalisa si avvicinò nuovamente a Mario e i due si avvinghiarono in una stretta morbosa e piena di sensualità. Le loro mani si intrecciavano: Mario scendeva con la mano fino al culetto sodo e rotondo di Annalisa, mentre lei lo accarezzava nella zona del pene. Poi Annalisa abbassò la cerniera dei pantaloni di Mario e tirò fuori il suo uccello, grosso e durissimo; poco dopo se lo mise in bocca ed iniziò a spompinarlo con una grande dolcezza e sensualità, creando in me un senso di impotenza e acuendo la mia voglia di sesso, che mai subisce momenti di arresto. I due si scambiavano tenere parole, mentre io soffrivo per il dolore ai piedi provocato dai carboni ardenti. A poco a poco, indumento dopo indumento, Annalisa venne spogliata da Mario e rimase completamente nuda, esibendo un corpo da favola. Mario si spogliò in un battibaleno e inizio ad accarezzare la pelle morbida e liscia di Annalisa. Poi Mario sussurrò qualcosa all'orecchio di Annalisa e lei si posizionò sopra lui... o per meglio dire sopra l'uccellone di Mario! Se lo fece infilare tutto, gemendo e muovendo sinuosamente il suo meraviglioso corpo. Io mi ero eccitata, ma nessuno dei presenti si curava di me, mentre i due porci scopavano ora con grande foga. Annalisa disse con sarcasmo: "Mario sei fantastico, scopi divinamente... è fortunata Sonia ad averti... oggi è fortunata a vederti esibire con me! Cambiamo posizione, dai. Mettimelo nel culo, voglio essere sfondata anche lì". Mario e Annalisa continuarono a fare l'amore, pardon a scopare come animali imbizzarriti, per molto tempo, mentre io ormai visibilmente eccitata, avevo bagnato il trono su cui ero seduta. Master Vito volle umiliarmi, come solo lui sa fare e mi bisbigliò all'orecchio: "Ti piace vedere tuo marito mentre si scopa quella grande figa? E' davvero bravo, un vero porco... lascialo dire a me, che di porci me ne intendo!". Io ero umliata, mortificata e costretta a subire passivamente la tortura dei carboni e quella scena per me insopportabile. Mario venne nel culetto di Annalisa e Master Vito ordinò a Frank di raccogliere lo sperma che colava dall'ano di Annalisa. Frank mise un recipiente sotto al buchetto di Annalisa e raccolse tutta la sborra che le colava fuori. Poi Master Vito chiese di poter scopare Annalisa e iniziò a stantuffarla con molta foga. La porca sembrava gradire molto di essere scopata anche dal Padrone, che alla fine venne nella sua figa. Anche in questo caso Frank raccolse lo sperma di Master Vito nello stesso recipiente dove aveva raccolto lo sperma di mio marito. Master Vito ordinò a George che quello sperma mi fosse versato in bocca, ma io mi rifiutai di berlo, dicendo: "Non berrò mai la vostra sborra uscita dal culo e dalla figa di quella troia, mi fate schifo tutti e due... E poi tu, Mario, che hai scopato quella sgualdrina di Annalisa... Vergognati, schifoso!". Master Vito si alterò, sentendo le mie parole, e mi disse con voce perentoria: "Lurida vacca, ora berrai anche la nostra urina". Mario, Vito e Annalisa scaricarono la loro piscia nel recipiente dove era "custodito" il prezioso sperma dei due uomini. Frank mi aprì la bocca con le mani, mentre George mi mise un apparecchio di ferro che mi impediva di chiuderla e poi mi versarono pazientemente in gola tutto il contenuto del recipiente. L'urina era calda e schifosamente puzzolente e finì nella mia gola, insieme allo sperma colato fuori dai buchi di Annalisa. Dovetti bere tutto, fino all'ultima goccia, tra le risate dei presenti. "Vedi sei una discarica umana, povera schiava. Pensavi di contare qualcosa e invece sei un "nulla"... il tuo parere non conta niente e tu devi fare quello che voglio io. Oggi hai visto anche tuo marito scopare con un'altra. Che cosa vuoi di più?", disse Master Vito. Poi tutti e tre mi sputarono in viso, ridendo di me in modo poco elegante. Mario e Annalisa completamente nudi, mano nella mano, uscirono dalla stanza. Io volevo essere slegata, ma Master Vito mi disse che non poteva farlo, perchè sicuramente una volta libera sarei andata a disturbare i due porci, che stavano ancora scopando nella stanza attigua. I miei piedi ormai friggevano ed erano rossi per il calore, ma il mio dolore non era tanto fisico, quanto cerebrale: non sopportavo l'idea che mio marito si fosse scopato una mia amica. Anch'io vengo "usata" da tanti uomini, ma quando questo succede, accade solo con il suo permesso. Quando si dice pan per focaccia... 8336 2 12 years ago
- 10 years ago In metropolitana Un paio di mesi fa io e Nicola, un mio amico, abbiamo voluto simulare a bordo di un convoglio della metropolitana una situazione di pericolo per una donna, per vedere la reazione della gente presente. Abbiamo scelto di creare una situazione morbosa e di pericolo sull'ultima carrozza dell'ultimo treno della notte. Abbiamo chiesto aiuto a due amici, che sarebbero intervenuti, creando un po' di casino, se qualche passeggero avesse cercato di avvisare le Forze dell'Ordine. Ma il tutto si è "consumato" tra la curiosità e l'indifferrenza dei presenti, in tutto nove persone (sette uomini e due donne). I nostri amici salgono due fermate prima, io e Nicola due fermate dopo. Io ero molto truccata e avevo arricciato i capelli per non passare inosservata. Indossavo un leggero cappotto bianco, un completo nero, calze velate chiare e scarpe a stiletto dal tacco vertiginoso. Come già in precedenza deciso, non indossavo il reggiseno e le mutandine e alcuni bottoni della camicetta erano rigorosamente slacciati, per far intravvedere il seno. Appena saliti, Nicola si rivolge a me, quasi urlando: "Puttana, togliti il cappotto. Ora ti sistemo io... ti avevo detto di non metterti le scarpe alte! Sai che non sopporto di essere più basso di una donna. Dai, esegui...". In effetti Nicola non è molto alto e se io indosso scarpe alte, pur non essendo una "stangona", riesco a superarlo in altezza. I passeggeri ci guardano con aria allibita e io replico con aria sottomessa: "Zitto, tutti ci guardano. Non fare scenate, ti prego. Dopo farò tutto quello che vuoi... ma ora... nooo!". Lui ribatte, con voce baldanzosa: "Zoccola, fai quello che ti ho detto e butta il cappotto su quei sedili, Non farmi incazzare. Sai che poi divento violento!". Io mi tolgo il cappotto e lo butto sui su una fila di sedili vuoti. La gente mi guarda e il mio seno, seppur piccolo, spunta dalla camicetta aperta: sicuramente tutti hanno pensato che fossi una prostituta con il mio protettore! Nicola mi fa appoggiare ad un palo di sostegno, che si trova in centro della carrozza, e poi da dietro mi "cintura" con un braccio all'altezza del seno, dalla sinistra alla destra, comprimendomi le tette. "Puttana, sei troppo alta, levati subito le scarpe. Scendi da quei trampoli da bagascia. E' un ordine, esegui senza fare opposizione, troia". Io mi slaccio i cinturini, mi tolgo le scarpe e le lascio appoggiate al pavimento. "Dammele subito", prosegue Nicola, indicando le mie scarpe. Io le raccolgo e gliele metto in mano. Tutti i passeggeri ci guardano con aria basita. "E ora le calze", incalza Nicola con tono imperioso. "No, quelle non posso toglierle. Sai che sono senza mutandine!", rispondo io a voce alta. A quelle parole tre degli uomini presenti si fanno ancora più attenti alla situazione che si sta creando. "Qualcuno mi aiuti", imploro io con voce tremante, rivolgendomi ai passeggeri. In effetti quella frase faceva solo parte della scena, perchè in cuor nostro speravamo che nessuno prendesse il telefonino per dare l'allarme. E così è stato. "Fatevi i cazzi vostri e non vi succederà niente", disse Nicola ai passeggeri con aria alquanto minacciosa. "Sollevati la gonna e togli subito le calze", incalzò Nicola. "Non posso ti ripeto, non ho le mutandine", ribattei io. E lui: "Spero che una porca come te non avrà vergogna a fare vedere la figa. Dai, non farmi spazientire o qui finisce male". Io mi sollevai la gonna, sicura che anche con le calze si sarebbe vista la mia figa. Nicola mi aiutò, tenendomi la gonna sollevata, mentre io mi toglievo il collant e i presenti si godettero la scena. Sicuramente qualcuno di loro si era anche eccitato... lo si vedeva dai loro pantaloni! "Guardate questa puttana come è bagnata. Mettiti un dito nella figa, troia". Io mi infilai un dito nella patatina, che era ormai "allagata", e lo tirai fuori completamente bagnato, facendolo vedere ai presenti. Il convoglio si era fermato e, approfittando delle porte aperte, Nicola gettò fuori le mie scarpe e le mie calze. "Signori, questa è mia moglie. Cosa fareste voi ad una maiala così, per punirla?". Nessuno rispose, mi abbassai la gonna e rimisi il cappotto, e alla fermata successiva tutti e quattro scendemmo dal treno e ci avviammo verso l'uscita, come se nulla fosse accaduto. Fu una scena molto gustosa, che si potè realizzare grazie alla sfrontatezza della scrivente e all'autorevolezza dell'amico Nicola. 9213 0 12 years ago
- 10 years ago L'ispezione della schiava Quando ci si presenta ad un nuovo Padrone bisogna necessariamente sottoporsi ad un'accurata ispezione, che, solo se superata a pieni voti, potrà dare il via al percorso vero e proprio di sottomissione della schiava. L'ispezione della schiava serve al Padrone per vedere se la "merce" è di suo gradimento e se la schiava è pulita, cosa importantissima in un rapporto di sottomissione. Prima di fissare il primo appuntamento ci fu un serrato scambio di mail e telefonate con il Padrone, che mi aveva chiesto, tra l'altro, quanto fossi alta. Io risposi che sono alta un metro e sessantasette centimetri e lui mi disse che dovevo mettere scarpe basse, perchè lui non tollerava donne più alte di lui. Mi diede anche indicazioni circa il modo di vestire: camicetta abbottonata davanti, ampia gonna al ginocchio anch'essa abbottonata davanti, scarpe basse, calze autoreggenti di color neutro, reggiseno e mutandine. Il Master puntualizzò che dovevo essere depilata intimamente e io mi recai in un centro specializzato per una totale e corretta depilazione delle parti intime. Mi diede appuntamento a casa sua e io arrivai puntuale all'orario stabilito. Nicola, il mio nuovo Padrone, mi venne ad aprire e mi condusse in una stanza, dove trovai con mio grande stupore quattro uominii seduti su sedie in fila, come ad uno spettacolo. Chiesi a Nicola come mai quegli uomini fossero lì, visto che gli accordi prevedevano solo la sua presenza. Lui mi rispose: "Sono quattro miei amici, che presenzieranno alla tua ispezione. Non potranno prendere alcuna decisione nei tuoi confronti, ma potranno esprimere il desiderio di partecipare ai giochi a cui ti sottoporrò e, se lo vorranno, potranno abusare di te sessualmente, senza alcun limite". Per prima cosa dovetti consegnare al Padrone gli orecchini, gli anelli e l'orologio. Poi Nicola mi fece alzare le braccia e divaricare leggermente le gambe. "Dovrai stare immobile durante tutta l'ispezione e non dovrai mostrare segni di debolezza: quindi niente smorfie di dolore o gemiti di piacere", mi disse il Master. Iniziò a passarmi le mani tra i capelli, spostandoli ora a destra, ora a sinistra; poi mi spostò i capelli dall'orecchio destro e con una pila illuminò la cavità auricolare, controllando la pulizia del mio orecchio; fece così anche con l'orecchio sinistro e poi mi allargò le narici, tirandole verso l'alto, e con la pila illuminò l'interno del mio naso. "Ora apri la bocca e tira fuori la lingua", mi disse Nicola con voce ferma. Io eseguii l'ordine e lui esplorò, aiutato dalla luce della pila, tutta la mia bocca. Per fortuna ho una dentatura perfetta e i miei denti non hanno tracce di tartaro; mi fece poi alzare la lungua e continuò l'esplorazione della mia bocca, dicendo: "Bene puttana, hai una bella bocca e potrai ingoiare facilmente i nostri cazzi. Te li ficcheremo in bocca e te li infileremo fino in gola, togliendoti il respiro". Poi mi sbottonò la camicetta e mi fece uscire i seni sollevandomi il reggiseno, senza però togliermelo. I miei capezzoli divennero subito duri e il Master me li afferrò, avvitandoli su sé stessi. Mi fece molto male, ma io sapevo che non potevo esternare alcun segno di dolore e soffrii in silenzio, mordendomi le labbra per il dolore. Le sue mani palpavano le mie tette in un modo veramente fantastico: me le accarezzava, me le comprimeva e me le schiacciava, provocandomi un grande piacere, aumentato dal fatto che i quattro amici assistevano alla scena, visibilmente eccitati. A questo punto il Padrone mi sbottonò la gonna e infilò la sua mano nelle mie mutandine: iniziò accarezzandomi la figa, poi mi infilò un dito dentro e, sentendo la mia figa completamente bagnata, disse: "Brutta troia, sei già bagnata. Sei una lurida cagna, assetata di sesso e la cosa non mi sta affatto bene. Non sei venuta per divertirti e godere di quello che ti faccio. Devi solamente, e ribadisco solamente, soffrire!". Tirò fuori il dito dalla figa e me lo fece leccare, dicendomi che così avrei assaporato l'umore della mia figa. Io leccai il suo dito con dovizia e lui fu soddisfatto dal mio lavoro. Mi girò e mi sbattè contro il muro, poi mi sollevò la gonna dietro e infilò la sua mano nelle mutandine. Mi palpò il culetto e alla fine sentii un suo dito che premeva sul mio buchino: io non ero dilatata analmente, ma lui mi infilò dentro il dito con grande violenza. Mi fece male, ma io non lo feci vedere e smorzai il mio urlo in gola. Poi il Master mi fece sollevare un piede, mi sfilò la scarpa, la lanciò un metro più in là con disprezzo e analizzò con cura la mia pianta. Mi levò la calza e, tenendo in mano il mio piede, sentenziò: "Hai sulla pianta un po' di pelle ispessita, ma con una buona sigaretta... riusciremo ad eliminarla. Vedrai come sarà tenera la nuova pelle che ricrescerà!". Capii che cosa voleva dire: mi avrebbe bruciato le piante dei piedi con la sigaretta, una pratica che "produce" un dolore atroce alla schiava, che poi fatica anche a camminare e ad appoggiare il piede a terra. Mi fece alzare l'altro piede e mi tolse l'altra scarpa, sfilandomi successivamente la calza. Ora ero scalza ed ero leggermente più bassa di Nicola. Proprio quello che voleva il Master, che non sopporta le donne più alte di lui. Prima, quando ero calzata, pur con un tacco bassissimo, lo sovrastavo di qualche centimetro! "Girati, togliti la gonna e abbassa le mutandine, puttana", mi apostrofò Nicola. Io eseguii il suo ordine e rimasi con la parte inferiore del corpo completamente nuda. Lui riprese ad accarezzarmi la figa e il culo e io non potei fare a meno di emettere alcuni gemiti di piacere. Sentivo addosso gli sguardi dei quattro amici del Master, che scrutavano il mio corpo con aria indagatrice. Mi sentivo un giocattolo in mano ai miei cinque aguzzini. Nicola mi levò la camicetta e il reggiseno e io rimasi completamente nuda. Scrutando il mio seno, Nicola disse: "Hai le tette un po' sgonfie... una buona dose di frustate sul seno potrebbe farti molto bene e fartele gonfiare... dal dolore!". Uno degli "amici seduti in prima fila" fece osservare al Master che mi ero leggermente truccata gli occhi e convinse Nicola, che una buona e docile schiava... non deve essere minimamente truccata! "Hai proprio ragione - disse Nicola - laveremo la faccia a questa impunita. Portatela in bagno, che provvediamo alla pulizia del viso della troia". Due amici si alzarono e mi afferrarono per le braccia, trascinandomi in bagno. Io pensavo che il viso si lavasse solo ed esclusivamente nel lavandino e invece... mi portarono davanti al water. "Che cosa volete farmi?", balbettai io con voce tremula. "Ora lo vedrai, lurida cagna", replicò Nicola. E dicendolo indicò agli amici di ficcarmi la testa nel water. Io mi divincolai con tutta la forza che avevo in corpo, ma loro mi fecero mettere a quattro zampe e mi infilarono a forza la testa nel water, appoggiandomi una mano sulla nuca e tenendomi la testa ben dentro alla tazza. Un altro mi mise un piede "armato" di grosso scarpone sulla schiena e io ero a quel punto completamente immobilizzata e inerme. Il Master contò fino a cinque e azionò lo sciacquone. L'acqua investì la mia faccia e i miei capelli vennero sommersi dall'ondata di acqua. Provai uno schifo, che mai avevo provato prima in vita mia. Quando mi tirarono fuori la testa, mi diedero uno specchio per farmi vedere come ero ridotta: il mio trucco era colato e io ero ridotta ad un mostro con macchie di colore. Nicola, ridendo in modo beffardo, disse: "Sei una merda e ti meriti solo questo. Pensavi di fare la figa davanti a noi e di farci sbavare. E invece sei una povera stronza, un piccolo essere schifoso e privo di significato, che deve subire tutte le nostre angherie. E pensa che questo è solo l'inizio del tuo percorso di sottomissione". Io gli risposi che non sarei più andata da lui, che non sopportavo certe cose e certi trattamenti così umilianti e lui, per tutta risposta, mi fece ripetere il lavaggio, provvedendo però prima da infilarmi uno sturalavandini nel culo. Il manico di legno mi allargò il buco in maniera dolorosa e alla fine tutto il manico scomparve nel mio ano. Quando tirai fuori la testa, non potei fare a meno di vomitare e Nicola mi obbligò a leccare tutto quello che avevo espulso. "Sei una povera sgualdrina piena di merda, meriti di essere ben ripulita con un bel clistere. Di quelli maxi, però!", disse Nicola. Mi fece portare su un letto e i due energumeni mi allargarono le gambe, tirandomele indietro sopra i seni. Un terzo arrivò con un clistere di grandi dimensioni e, dopo avermi estratto dal culo lo sturalavandini, mi infilò nel buco dell'ano la peretta di gomma. Io avvertii una gran quantità di liquido che entrava nel mio sfintere e dopo poco dovetti correre in bagno "per esibirmi" davanti ai cinque uomini. Non esiste privacy per una povera schiava, neanche in certi momenti! Nicola mi prese in braccio e mi portò in una camera dove c'era una gogna di legno: la mia testa, le mani e i piedi vennero bloccati nella gogna, mentre il mio bacino venne ancorato alla struttura con una robusta corda. Avevo già capito che cosa mi aspettava: la tortura delle sigarette, una delle peggiori per una slave. Solitamente viene fatta sui seni o sulle piante dei piedi ed è dolorosissima; la pelle brucia e il dolore è davvero lancinante. Nicola si rivolse a me con tono di scherno: "Visto che risparmi i soldi per la pedicure... i tuoi piedi li curiamo noi... a nostro modo! Vedrai che belle piante ti verranno dopo questo grazioso trattamento". Accese una sigaretta, fece alcuni tiri e poi la diresse sulla pianta del mio piede, nella zona sotto alle dita. "Nooo... vi prego, farò tutto quello che vorrete, ma questo no!", urlai con quanto fiato avevo in gola. Non feci in tempo a finire la frase, che Nicola aveva già appoggiato la sigaretta al mio piede, procurandomi una vistosa bruciatura. Urlai per il dolore, ma come risposta ricevetti un paio di sonori schiaffoni in viso. "Me la pagherete, bastardi", dissi, con le lacrime agli occhi. Nicola era soddisfatto della mia reazione, a tal punto che disse: "Sei una vacca, una lurida vacca, e deve soffrire. Devi purificarti attraverso il dolore. Tu hai sempre scopato chi volevi, senza farti scrupoli delle loro situazioni familiari, cornificando mogli e fidanzate. Praticamente sei una puttana, che non prende soldi, ma che distrugge la vita degli altri, solo perchè vuoi avere rapporti con gli uomini che ti piacciono. Ora è arrivata la resa dei conti. Tutto il male che hai fatto agli altri, si ritorcerà contro di te. E intanto soffrirai con noi le pene dell'inferno, perchè i nostri incontri non terminano qui. Il tuo corpo deve pagare il piacere che ha sempre avuto: le torture e le umiliazioni a cui verrai sottoposta, ti faranno pentire di essere nata, cagna schifosa". E con queste parole arrivò la seconda bruciatura. Mi bruciarono in varie parti del piede, anche sui talloni, dove per fortuna il dolore è leggermente minore. Poi Nicola passò a martoriarmi l'altro piede, che se la cavò leggermente meglio del primo. Ma per me il supplizio non era ancora finito. Venni appesa a testa in giù e sollevata per i piedi. La mia testa sfiorava il pavimento, ma il mio corpo era libero di dondolare e allora uno degli amici, per impedire movimenti al mio corpo, mise un suo piede sui miei capelli, che toccavano il pavimento, bloccandomi così la testa. Ricevetti quaranta frustate sulla schiena e sul lato B, che dovetti "godere" tutte, senza poter attenuare il loro effetto devastante, in quanto il mio corpo non poteva dondolare liberamente. Avevo il viso con il trucco colato, i piedi martoriati, la schiena e il culo doloranti e l'animo devastato. Mi sentivo completamente annullata. Mi riportarono in bagno, mi misero nella vasca e mi fecero aprire la bocca, che venne bloccata con un aggeggio che mi impediva di chiuderla. Poi i cinque amici tirarono fuori i loro uccelli, con i quali mi "innaffiarono" di urina. Qualcuno diresse il suo getto direttamente nella mia bocca, altri preferirono colpire il mio corpo, che venne completamente lavato dalla loro calda urina. Mi tirarono fuori dalla vasca e mi portarono su un tavolo, ma ormai il mio "presunto" fascino era totalmente sparito. Il Master disse ai quattro amici: "Ecco, ora è tutta per voi, fatele quello che volete. E' ormai una donna distrutta nel corpo e nella mente, ma se non vi fa schifo, potete pure scoparvela". Cominciai a sentire che tutto il mio corpo era nelle loro mani: le mie tette vennero palpate, il mio culo venne aperto e ricevetti alcuni sputi nel buco, altri sputi raggiunsero la mia gola, la mia figa venne spalancata e mi venne infilato un vibratore. Poi, dopo dieci minuti di queste angherie, uno di loro decise di scoparmi e senza tanti preamboli estrasse il vibratore dalla mia figa e mi infilò il suo uccello. Iniziò a pomparmi con grande forza, a tal punto che pensavo volesse sfondarmi la figa. Gli altri amici si misero in fila indiana, con gli uccelli ben duri in mano. Capii subito che volevano anche loro scoparmi. E così fu: per quasi un'ora rimasi in loro balia, ricevendo colpi sempre più forti e devastanti. Per fortuna nessuno volle avere rapporti anali, ma vi assicuro che anche quella fu un'esperienza traumatica. Alla fine faticavo a rimanere in piedi e non riuscivo a rimettere le scarpe, fui accompagnata a casa scalza in auto, ma non ci crederete... ero anche felice! In effetti anche quel giorno avevo avuto la mia buona dose di dolore, ma in fondo questo è quello che piace ad una slave come me. 50527 2 12 years ago
- 10 years ago Il controllo alla dogana Avevo compiuto da poco diciotto anni e avevo appena conseguito la tanto agognata patente. Ho sempre avuto la passione delle auto e mio padre mi prestò la sua per andare a fare un giretto nella vicina Svizzera. Ero fiera di guidare un'Alfa Romeo GT 1300 Junior di un bel "Rosso Alfa" e arrivare in dogana con quell'auto era per me grande motivo di orgoglio. Avevo scelto di entrare in Svizzera dalla dogana di Chiasso, senza pensare minimamente a quello che mi sarebbe successo. Appena i finanzieri videro la mia auto, abbassarono la paletta, indicandomi di accostare a lato; dopo le solite verifiche di routine, vidi che io non li convincevo, ma non capivo il perchè. Uno di loro mi disse: "Signorina, apra il bagagliaio che dobbiamo fare una verifica. Io andai diretta al cofano posteriore... ma non c'era la serratura! Guardai qui e là, cercai di spostare lo stemma Alfa Romeo... ma della serratura nessuna traccia! L'auto era un po' vecchiotta, ma mio padre l'aveva acquistata da poco tempo e io non avevo mai osservato dove fosse la maniglia di sgancio del cofano del bagagliaio. I finanzieri mi guardavano con sospetto, forse pensando che io facessi la finta tonta. Poi dopo vari tentativi di ricerca della serratura da parte mia, uno di loro mi disse, con un sorrisino ironico: "Quello che lei cerca è qui, sulla battuta della porta di sinistra. La maniglia era lì in bella vista, ma tirandola non si apriva! Per fortuna mi accorsi che aveva la serratura e trovai la chiave giusta per aprirla. Ora il cofano era sbloccato e il bagagliaio poteva essere ispezionato. Alzarono il tappetino, levarono la ruota di scorta, rovistarono nella borsa attrezzi... Poi i solerti finanzieri ispezionarono il cassettino portaoggetti, poi il vano motore e... perfino i passaruota! "Ma che cosa state cercando, vi ho già detto che non ho nulla da dichiarare!", dissi seccata io. "Sì la macchina è in ordine, ma lei... chissà!", disse un doganiere "ornato" da diverse stellette. Poi continuò: "Signorina, si accomodi in uffico... dobbiamo perquisirla! Ci è stata segnalata un'auto come la sua che trasporta droga... potrebbe essere lei e noi dobbiamo fare il nostro lavoro". Io chiusi la macchina e mi avviai verso l'ufficio. Qui c'erano altri finanzieri e anche poliziotti. Mi fecero svuotare la borsa e un'infinita di trucchi, lucidalabbra, smalti per unghie e agendine finirono sulla scrivania dei solerti finanzieri. Controllarono tutta la borsa, perfino palpando l'imbottitura e aprirono tutte le tasche che la borsa aveva. "Capo, non c'è nulla. Nulla di nulla", disse un poliziotto dall'accento meridionale. Quello che doveva essere un capo disse allora: "Bene, allora passiamo alla perquisizione personale. Ora, gentile signorina, chiamiamo il nostro personale femminile, che procederà alla perquisizione della sua persona". "Non potete perquisirmi, dovete avere uno speciale permesso", replicai io. Un finanziere alzò il telefono e poco dopo giunsero da Como tre poliziotte (o presunte tali), che non avevano la divisa. Quell'ufficio era ormai gremito di finanzieri e poliziotti, che erano impazienti di poter diventare gli eroi del giorno, arrestando Sonia, la pericolosa narcotrafficante! Uno di loro mi chiese di togliermi le scarpe: "Signorina, si tolga le scarpe. I tacchi delle scarpe da donna sono solitamente un bel nascondiglio... vero? Dobbiamo staccare i tacchi alle sue scarpe, in quelle cavità si potrebbe nascondere un buon quantitativo di droga! Comunque se lei risulterà estranea a questa vicenda, noi le ripagheremo tutti i danni che le avremo procurato... lo Stato non danneggia mai i propri cittadini. Stia tranquilla". Io mi levai le scarpe e le consegnai ad un finanziere. Lui le mise sulla scrivania e con un cacciavite iniziò ad armeggiare intorno al tacco della mia scarpa, che sembrava non volersi proprio staccare. Alla fine il finanziere riuscì nel suo intento e il mio tacco finì tristemente sulla scrivania, ormai staccato dal resto della scarpa. In effetti il tacco all'interno era vuoto, ma il mio era... vuotisssimo, come il calzaturificio l'aveva fatto! Anche l'altra scarpa venne esaminata, ma questa volta il finanziere staccò il tacco in pochissimo tempo, visto che ormai aveva capito come era fatto. Anche le scarpe, come la macchina non avevano dato alcun risultato. Una delle donne "poliziotto" che erano arrivate in ufficio mi invitò in un'altra stanza: io la seguii, seguita a mia volta dalle altre due donne. Una di loro, gentilmente, mi disse: "Per favore, si tolga la camicetta". Io controllai la porta d'ingresso, che era stata accuratamente chiusa. Con qualche esitazione mi levai la camicetta e la consegnai alla poliziotta. Lei la esaminò con cura e poi mi invitò a togliermi la gonna. Io non ero molto felice di quel trattamento, visto che ero una giovane ragazza tutta "perfettina". Levai anche la gonna, rimanendo in reggiseno e mutandine. Un'altra poliziotta venne verso di me e mi disse: "E ora gentilmente mi dia anche il resto!". "Ma se le dò il resto, rimango nuda! Come può pensare che un reggiseno o un paio di mutandine celino della droga... si vede a occhio nudo che non può esserci niente al loro interno da come sono fatti!", ribattei io. La poliziotta mi rispose: "Non sono il suo reggiseno e le sue mutandine a celare l'eventuale droga. Ma il suo corpo potrebbe essere un bel rifugio per qualche dose...". "Non penserete di ispezionare anche le mie cavità! Scordatevelo e giù le mani da me!", dissi io, levandomi il reggiseno e le mutandine. Ero rimasta nuda di fronte a tre donne estranee. Mi invitarono a salire su un lettino e a distendermi. Ero disperata, non sapevo più che cosa fare, ma volevo che quella esperienza finisse il più presto possibile. Mi sdraiai sul lettino e due poliziotte mi alzarono le gambe, allargandomele. La mia figa era lì, impotente di fronte a quelle tre assatanate. Una di loro si mise un guanto di lattice e iniziò a toccarmi il clitoride. "Si tranquillizzi signorina... se la sua fessura si apre è meglio per lei... non proverà dolore durante l'ispezione intima...", disse un'altra. Il mio clitoride venne sollecitato in modo perfetto e io iniziavo a gemere. Però non volevo darlo a vedere, per non dare soddisfazione alle tre arpie. Mi ero bagnata e una poliziotta se ne accorse: "E' pronta ora signorina. Vedrà che non le faremo male. Guardi che mano piccola... non sentirà alcun dolore!". Mentre le altre due mi tenevano ferme le gambe, la terza mi aprì la fessura e introdusse le sue dita all'interno della mia patatina... poi dopo le dita, tutta la mano scomparve nella mia fighetta. Io sentivo la mano che frugava all'interno della figa, "provocandomi" un gran piacere. I mie mugolii divennero evidenti e stavo per raggiungere l'eccitazione. La mia figa era diventata un lago e quando la poliziotta si rese conto di questo... sfilò di colpo la mano! Il suo guanto era bagnato e io ero al massimo dell'eccitazione. "Ora scenda dal lettino e si appoggi ad esso", disse una delle tre. "Perchè?", dissi io. Mi risposero che dovevano accertarsi che il mio culetto fosse libero... libero da droga! Io mi misi a novanta gradi e la stessa che mi aveva ispezionato davanti, iniziò ad ispezionarmi il buco dell'ano. Era una grande porca, ci sapeva fare con i buchi. Riuscì ad aprirmi il culo in poco tempo e a infilare le sue dita nel mio pertugio. "Calma, mi fa male. Mi sta dilatando troppo, non ce la faccio a resistere", supplicai io. Le mie suppliche non vennero ascoltate e il mio buco venne sfondato dalla manina della poliziotta. Riuscì ad introdurla tutta, facendomi patire le pene dell'inferno. Il mio buco era spalancato, forzatamente spalancato, da quella manina insolente, che tentava di frugarmi all'interno. Ora il piacere, che avevo provato durante l'ispezione vaginale, si era trasformato in un attimo in dolore, un grande dolore che provai per alcuni giorni. L'ispezione era finita, mi rivestii e passai nell'altro ufficio a ritirare le mie scarpe ormai distrutte. "Ci scusiamo con lei, per aver sospettato inutilmente di una bella ragazza come lei. Le scuse a nome del governo italiano e di quello elvetico", disse un finanziere con aria sconsolata. Seppi poi che nel frattempo avevano arrestato il corriere della droga a un valico lì vicino. Era però un uomo e non una tenera ragazza come me! Unica cosa in comune l'auto: quella bella Alfa GT rossa che non scorderò mai! 15432 1 12 years ago
- 10 years ago La prima vera lezione di Jessica Questa volta venni convocata a Villa Ubbidienza da Master Vito, perchè dovevo impartire a Jessica, aspirante slave, una lezione di sottomissione. Anche se potrebbe non sembrare, io sono piuttosto timida e non mi piace imporre la mia volontà sugli altri. Ma sono però pur sempre una schiava e una schiava deve solo e sempre ubbidire. E così, dopo averne parlato con me, Mario richiamò il Padrone di Villa Ubbidienza fissando l'incontro. Appena varcato il cancello di Villa Ubbidienza, i soliti due loschi figuri ci vengono incontro e ci danno il benvenuto. Lì incontriamo anche Jessica e il suo fidanzato. Subito George mi impone di spogliarmi e io lo faccio senza replicare: consegno a George tutto quello che indosso, scarpe comprese. Poi mi tolgo i gioielli e li consegno a Frank. Ora sono completamente nuda e tutti e sei ci avviamo alla villa. Entriamo nella villa e veniamo condotti da Master Vito, che è seduto su una specie di trono. Dopo i primi convenevoli Master Vito si rivolge a me con tono deciso: "Sonia tu oggi sarai l'insegnante di Jessica e le farai apprendere le prime teorie della sottomissione completa. Jessica sarà la tua schiava, ma tu dovrai prima dimostare a lei come si affrontano certe prove di coraggio e sofferenza. Jessica soffrirà molto, ma verrà plasmata alla nuova vita da slave". Poi si rivolse a Jessica e le fece alcune domande: "Jessica sei sicura di voler diventare una vera schiava, pronta a soddisfare tutti i voleri del Padrone e dei suoi amici? Jessica sei vergine? Hai già avuto rapporti anali? Sei conscia del fatto che il tuo corpo potrebbe rovinarsi e subire torture e angherie di ogni tipo? Che cosa hai provato quando ti abbiamo marchiato i piedi?". Jessica rispose che era pronta a tutto, che la sua volontà di diventare una schiava per amore del suo fidanzato non era cambiata e che era pronta ad affrontare qualsiasi prova. Aggiunse che aveva già avuto rapporti sessuali e che non era più vergine, ma che non aveva mai avuto introduzioni anali. Per quanto riguarda i piedi, Jessica era molto rammaricata di avere sui talloni quelle due piccole lettere che stavano a significare la sua appartenza di schiava a Villa Ubbidienza. Jessica si vergognava di avere quei piedi rovinati, a tal punto che disse che non sarebbe più andata in spiaggia per tutta la vita! Solitamente un'apprendista slave viene sottoposta a torture e sofferenze seguendo lo schema SVA, ma per Jessica Master Vito disse che voleva rivoluzionare il tradizionale "modo di studio". La sigla SVA sta a significare Seno, Vagina e Ano, ossia le parti del corpo della schiava che vengono prima interessate dalle lezioni del Master. Infatti un'apprendista schiava normalmente subisce torture prima al seno, poi alla vagina ed infine all'ano. Ma come già detto, Master Vito aveva previsto un diverso percorso di studio per Jessica. Master Vito mi chiese di spogliare Jessica, aggiungendo che il primo ostacolo per una slave è quello di superare la vergogna di mostrarsi nuda agli altri. Io dissi alla giovane ragazza: "Posso spogliarti, sei d'accordo?". Master Vito mi guardò in modo feroce e mi disse: "Troia, sei ormai una veterana di Villa Ubbidienza e ancora chiedi alla schiava se puoi spogliarla? Non hai capito niente del sadomaso...". Jessica rispose che era pronta e intanto nella sala si erano radunati una dozzina di uomini, ansiosi di vedere la nuova venuta. "Jessica, dammi le scarpe", dissi io. Lei sfilò le scarpe e me le diede. "Ora ti toglierò la giacca e la gonna", dissi io a Jessica. Lei annuì con il capo e io le levai la giacca e poi le sfilai la gonna. Ora Jessica era rimasta con la camicetta e le calze, ma già i suoi capezzoli erano turgidi e facevano capolino dalla camicetta. Le levai la camicetta e poi le calze e Jessica rimase con la biancheria intima, mostrando un corpo invidiabile. I lunghi capelli biondi le incorniciavano il bel visino da giovane ragazza pulita. A quel punto Master Vito intervenne in modo perentorio: "Sonia togli il reggiseno a questa giovane fanciulla, così tutti noi potremo apprezzare il suo giovane seno". Io eseguii l'ordine e Jessica rimase con le sole mutandine. La sua pelle era candida e il suo corpo era ben modellato. "Ora togli a questa puttana anche le mutandine, la voglio nuda! Sbrigati", mi apostrofò Master Vito. Io sfilai le mutandine a Jessica e la sua figa ben depilata apparve in tutta la sua freschezza: lei tentò di coprirsi il seno e la figa con le mani, ma io glielo impedii, perchè se le avessi concesso di coprirsi, sarei stata certamente punita dal Padrone. Master Vito mi fece stendere su un tavolo di marmo per dimostrare l'utilizzo del gancio anale. Io mi distesi supina, in attesa di quella tortura dolorosa. Il gancio anale è un gancio in acciaio lucido, di buona sezione, che assomiglia tanto al manico di un ombrello e al quale è fissata una corda abbastanza corta. Il gancio viene infilato nel culo della "condannata", poi la testa della schiava viene sollevata e portata il più possibile all'indietro, verso la schiena; a questo punto la corda viene tesa e legata ai capelli della slave. Quando si è sdraiati su un duro tavolo con la testa reclinata all'indietro, si è portati con il passare del tempo ad abbassare il capo e, a quel punto, il gancio "tira" e preme sul buco del culo della schiava, provocando un immane dolore. Il buco viene slabbrato e si deve avere la forza di non chinare la testa, se non si vuole sentire il proprio buco dilatato oltre misura. Un uomo di Master Vito prese il gancio anale, mentre un altro mi divaricò le chiappe, mettendo in luce il mio orifizio. Io ero molto tesa per il compito ingrato di insegnante che mi era stato assegnato e non riuscivo a rilassarmi, ragion per cui il mio buco era molto stretto e assolutamente inviolabile. Master Vito si accorse di questo e disse al suo "operaio": "Spingi con forza il gancio nel culo di questa puttana, sfondaglielo senza alcuna pietà. Non avere paura di farle male. Non merita alcun riguardo. Spaccale il culo!". Lui non si fece scrupoli e dopo aver "puntato" il mio buco, premette con violenza il gancio nel mio orifizio. Mi squarciò il buco, provocandomi un grande dolore, che venne sottolineato da un mio urlo. Jessica, nel vedere la scena, si mise a piangere e a nulla servì il fidanzato, che la consolò dolcemente. Mi legarono i capelli alla corda collegata al gancio, mi lasciarono in quella posizione scomoda e affaticante per parecchio tempo e io fui costretta ad abbassare la testa: fu a quel punto che il gancio lacerò ancor più il mio buco, provocandomi altro dolore, unito ad un bruciore indescrivibile. Jessica piangeva, gli altri uomini chiacchieravano allegramente e io soffrivo le pene dell'inferno. E quel porco di mio marito? Mio marito godeva nel vedere la propria moglie/schiava soffrire in quel modo. Dopo tre quarti d'ora mi levarono il gancio dal buco del culo, che era completamente rosso e distrutto. Mi alzai dal tavolo e venni costretta a stare in ginocchio, in attesa della punizione di Jessica. Jessica venne messa al mio posto, anche lei supina, e Master Vito iniziò a palparle il culo. Poi le aprì le natiche e a tutti apparve il buchino vergine del culetto di Jessica. "Ma come è stretto... ah, ah ah. Ora ci pensiamo noi a sverginarti il culo, troietta da strapazzo!", disse il Padrone. Un uomo le tenne le chiappette allargate e Master Vito appoggiò il gancio al buchetto di Jessica. Era un confronto improponibile... ma non per la perfidia di Master Vito! Jessica pregò il Padrone di luibrificarle almeno il buco, ma lui rispose negativamente e incomincìò a spingere il gancio dentro il povero culo di Jessica. Spinse tanto forte che non ci volle molto a sfondare il buchetto vergine di Jessica, che lanciò un urlo lancinante. Poi Master Vito, incurante degli occhi ancora lucidi di Jessica, le disse: "Hai visto cagna che il tuo culo non è inviolabile? Guarda come ti abbiamo aperta... come si apre un'albicocca!". Anche a Jessica venne riservato il mio stesso trattamento: testa all'indietro, capelli legati alla corda collegata al gancio e... un bel riposino! Alla fine Jessica, stremata, dovette abbassare il capo e il gancio fece strage del suo povero buco del culo, che si dilatò enormemente con grande dolore. Era la sua prima volta e il dolore fu veramente grande. Master Vito è un uomo cattivo, ma anche intelligente, e capì che la povera Jessica aveva subito troppo per quel giorno. Io dovevo fare l'insegnante, ma la seduta fu conclusa anticipatamente per... il culo spaccato di Jessica! Master Vito mi disse: "Oggi abbiamo lavorato molto meno di quello che avevo previsto, ma non mi aspettavo una schiava dal culo vergine. Comunque tu rimani arruolata come maestra di sottomissione per la prossima volta. Non ti dimenticare!". Uscimmo dalla villa e questa volta io e Jessica raggiungemmo il cancello "vestite" allo stesso modo: nude, completamente nude, come mamma ci ha fatto! 37845 2 12 years ago
- 10 years ago Prova di disubbidienza a Villa Ubbidienza Villa Ubbidienza è il luogo ideale per una schiava che deve avere un'adeguata formazione: dispone di molta attrezzatura e di persone valide, che hanno lunga esperienza nel campo del sadomaso. Master Vito è un uomo severo, ma giusto, che sa calibrare con precisione le punizioni da infliggere alle schiave. Anche alle schiave ribelli come me. Io e Mario decidemmo di ritornare per la terza volta a Villa Ubbidienza, per un'altra lezione di sottomissione. Io ero stata marchiata sotto i piedi e ormai non sarei stata più accettata da altre case di rieducazione, visto che quelle due lettere marchiate a fuoco stavano a "rivendicare" la mia appartenenza a Villa Ubbidienza. Arrivammo alla villa al mattino presto, come ci era stato consigliato da Master Vito. Come sempre mio marito parcheggiò l'auto fuori dal cancello della villa e mi invitò a spogliarmi, dicendo: "Sonia spogliati, che metto i tuoi vestiti al sicuro nel bagagliaio". Quella mattina l'aria era frizzante e a me non andava di percorrere nuda il lungo viale alberato che conduce alla villa. Risposi perciò a Mario: "No, non mi spoglio. Ho freddo, mi spoglierò all'interno della casa, dove la mia nudità è essenziale. Suonammo il campanello e poco dopo, come sempre, apparvero George e Frank. Vedendomi ancora vestita, Frank si sentì autorizzato ad apostrofarmi così: "Signora, perchè lei è ancora vestita? Ormai conosce le regole e sa che una buona schiava non può percorrere il viale con gli abiti addosso. Si spogli, si spogli subito!". L'aria fresca del mattino e il modo in cui Frank mi aveva parlato mi indussero a non spogliarmi e a rispondere a tono a quel tipo strafottente: "Caro Frank, oggi non mi spoglio proprio all'esterno e lei non mi deve dare ordini. Io gli ordini li ricevo solo da Master Vito. Andiamo, non ho tempo da perdere!". George e Frank si guardarono con aria attonita e George mi disse che quella mia strafottenza mi sarebbe costata cara. "Prego, signora, le faccio strada", mi disse Frank con aria sorniona. Sapeva benissimo che la strada per la villa non aveva più segreti per me. Giunti alla villa, entrammo nel solito salone, dove ci aspettava Master Vito, che vedendomi ancora vestita ebbe un sussulto di sorpresa. George, impaziente di farmela pagare, si rivolse a Master Vito, dicendo: "Signore, questa insolente non ha voluto spogliarsi. Ha detto che faceva troppo freddo e ha aggiunto che lei non prende ordini da nessuno. Se posso esprimere umilmente la mia opinione... la punirei in modo esemplare per la sua baldanza!". Master Vito ringraziò il fido George. Poi si rivolse a me con tono imperioso: "Schifosa puttana, quindi ti sei ribellata agli ordini di George e Frank. Tu sei una lurida schiava e devi ubbidire a tutti gli ordini che ti vengono impartiti. Se ti hanno chiesto di spogliarti, ti assicuro che lo hanno fatto per il tuo bene... Ma tu ti credi potente... tu credi di poter fare il bello e il cattivo tempo, solo perchè hai due schifose tette, una sfrontata figa e un culo da sfondare. Ora ti pentirai amaramente di quello che hai fatto, perchè ti sottoporrò ad un'umiliazione forte... molto forte... anzi fortissima! Ah, ah, ah". Chiamò due degli uomini che stavano alle sue spalle e diede loro un ordine perentorio, avvicinando una mano al mio viso: "Questo bel fiore va coltivato. E come tutti i fiori ha bisogno della terra per crescere ed aumentare il suo splendore. E noi la piantiamo: nuda o vestita. Questo è il dilemma. Ma visto che non si vuole spogliare... Portatela fuori nel campo! Non la voglio più vedere qui dentro al caldo...". "Non capisco", balbettai io. I due uomini mi presero per le braccia, mi sollevarono e mi portarono fuori dalla villa, seguiti da Master Vito, da mio marito e da altri uomini. Solo George e Frank non ci seguirono. Mi portarono fuori dalla villa e raggiungemmo un campo alle spalle del fabbricato. Lì c'erano due buche, dalle differenti dimensioni e forma. Mi trascinarono fino alla buca più piccola, a sviluppo verticale: era poco profonda e poco larga. Master Vito disse ai due uomini: "Legate le braccia alla schiava all'altezza dei fianchi, perpendicolari al suo corpo.". Loro mi legarono le braccia e Master Vito continuò: "E ora calatela nella buca, ai vermi piace la terra e Sonia è proprio una bella vermetta! E mi raccomando, non svestitela, ha molto freddo questa troia". "No, non potete, che cosa volete farmi... voi siete completamente pazzi!. Noooo!", urlai con quanto fiato avevo in gola. Ma non feci in tempo a finire la frase, che i due aguzzini mi calarono nella buca. Per fortuna era meno profonda di quello che mi sembrava e le mie scarpe toccarono presto il fondo; ero infilata nella buca fino all'ombelico, che rimaneva però sotto al livello del terreno. Poi i due uomini si armarono di badili e iniziarono a buttare terra nella buca, attorno al mio corpo. Era la terra che era stata ammucchiata lì vicino e che proveniva dallo scavo della buca. Presto la buca si riempì di terra, che venne compattata intorno al mio corpo con badilate decise: ora ero immobilizzata. Solo la mia testa e parte del busto uscivano dal terreno. Master Vito girava intorno a me, disegnando dei cerchi perfetti. Mi guardava dall'alto in basso, con aria di compatimento. Poi mi disse in tono di sfida: "Avevi freddo questa mattina, vero schiavetta? Ma come sei bella oggi con questo maglione color giallo; peccato per i tuoi pantaloni gialli e le tue scarpe anch'esse gialle... chissà come saranno sporchi di terra, ora. E peccato per questo maglione... era davvero bello... E' un vero peccato tagliarlo, ma non ho scelta". Chiamò uno dei suoi collaboratori e ordinò: "Tagliale una manica del maglione. Sì all'altezza della spalla". E quell'uomo tagliò la mia manica all'altezza della spalla e poi all'altezza del terreno, nel punto dove il mio braccio spariva nel terreno. Poi passò all'altro braccio e fece la stessa cosa. Anche il "resto" del maglione venne fatto a pezzi e poi la camicetta subì la stessa infausta sorte. Ero rimasta con il reggiseno e il busto scoperto. Solo la parte del mio corpo, infilata nella terra, rimase coperta dai vestiti. Tagliarono le spalline del mio reggiseno e me lo levarono, lasciandomi con le tette all'aria. Il freddo fece subito "rizzare" i mie capezzoli, che vennero "amorevolmente" strizzati da più uomini. "Hai fatto colazione, piccola puttanella?", mi disse Master Vito, con ghigno beffardo. "Ora ti daremo noi da mangiare. Apri la bocca", poi invitò tutti gli uomini presenti a "devolvere" una piccola quantità di sperma alla povera affamata. Ad uno ad uno si misero in ginocchio davanti a me e si masturbarono. In poco tempo la mia faccia era coperta di sperma, i miei capelli anche e la mia gola era invasa da quel prezioso liquido caldo. Poi Master Vito venne raggiunto da Frank, che disse: "Povera Sonia, come sei ridotta. Perchè non la lavate un po'? La piscia dell'uomo farebbe al caso di questa poveretta...". Master Vito annuì e io mi ritrovai sulla testa gli uccelli di cinque uomini, che all'unisono iniziarono a lavarmi con la loro pioggia dorata. Altri si avvicinarono a me e io in un battibaleno fui lavata dalla loro puzzolente urina. Poi Master Vito ordinò di tirarmi fuori dalla buca, ma potei assaporare la "libertà" per pochissimi minuti. Mi venne ordinato di togliere gli indumenti che mi rimanevano e di rimanere completamente nuda. Frank ritirò i resti della camicetta, del maglione, i miei pantaloni e le mie scarpe ed infine le mie mutandine. Tutto era sporco di terra e anch'io mi sentivo schifosamente "sporca". Nuda e sporca, come un verme appena uscito dal terreno! Mi presero con la forza e mi depositarono nella altra buca, facendomi mettere alla "pecorina", con il culo in alto e ben sollevato. Nella buca era no fissati quattro paletti, a cui furono legati le mie mani e i miei piedi. Poi mi misero in testa un sacco di cellophane trasparente e fecero un buco in corrispondenza della mia bocca. Mi infilarono in bocca un lungo tubo di gomma, che poi capii serviva ad assicurare la mia respirazione. La buca venne riempita di terra, che attorniava completamente la mia testa e il mio corpo, dandomi un tremendo senso di soffocamento. Comunque la mia respirazione era salvaguardata dal tubo di plastica infilatomi in bocca, che sporgeva dal terreno e mi assicurava la giusta quantità d'aria. Alla fine solo il mio culo sporgeva dalla terra, ma il mio supplizio non era ancora terminato: improvvisamente sentii qualcosa che premeva sul buco del mio culo... e poco dopo sentii al suo interno un ortaggio lungo e duro. Era una zucchina lunga e leggermente nodosa, che mi dava una sensazione strana e particolare. Anche questa volta il mio culo era stata devastato! Quando mi tirarono fuori da quella scomoda buca, la mia pelle era sporca e il nio viso era visibilmente sudato. Mi portarono davanti ad un lavandino al quale era collegata una lunga canna e li mi fecero una bella doccia... gelata. "Ora puttana sei pulita, puoi tornare alla tua confortevole casina, con quel porco di tuo marito che si è masturbato davanti a tutti, mentre tu eri "sepolta"!", disse Master Vito. Prima di lasciarmi andare Master Vito controllò che la marchiatura a fuoco fattami la volta precedente sulle piante dei piedi fosse ben evidente, in quanto non voleva che una schiava docile e ubbidiente come me cambiasse la "scuola di rieducazione". Questa volta però non mi ero eccitata tanto, avevo solo subito umiliazioni e costrizioni, forse dovute allla mia tracotanza iniziale. Credo che la prossima volta, se ci sarà una prossima volta, mi spoglierò subito, preferendo il freddo ai patimenti che avevo dovuto subire. 14080 5 12 years ago
- 10 years ago Villa Ubbidienza: per me è una casa! Mio marito è rimasto molto soddisfatto dalla prima nostra visita a Villa Ubbidienza, a tal punto che ha telefonato a Master Vito e ha richiesto un nuovo appuntamento per darmi una nuova lezione di sottomissione. Al giorno previsto arriviamo puntuali a Villa Ubbidienza. Mio marito parcheggia la macchina fuori dal cancello e poi mi dice con tono perentorio: “Spogliati completamente, tanto sai che a Villa Ubbidienza non puoi entrare vestita. Togliti anche i gioielli, devi essere completamente nuda”. Io ubbidisco, ricordando la passata esperienza nella quale ho raggiunto la villa completamente nuda. Mi tolgo la camicetta, le scarpe, la gonna, le calze, il reggiseno e le mutandine. Poi mi levo anche l’orologio, la collana e due anelli. Consegno tutto a mio marito che ripone la mia roba nel bagagliaio della vettura. Suoniamo il campanello e poco dopo arrivano ad aprire due nostre vecchie conoscenze: George e Frank, vestiti in modo elegante e con un’aria alquanto tenebrosa. George ci saluta e poi si rivolge a me, dicendo: “Complimenti signora, vedo che la lezione dell’altra volta è stata utile. Ha capito che le schiave non possono entrare vestite a Villa Ubbidienza”. Frank mi sposta i capelli da un lato e George mi mette un collare al collo con un lungo guinzaglio: mi fanno mettere a “quattro zampe” e mi tirano lungo il viale che conduce alla villa. Dopo un tratto di strada, supplico George di farmi alzare, perché le mie ginocchia sono molto provate. Lui accetta e mi permette di proseguire la strada in piedi. Quando arriviamo alla villa, Master Vito ci accoglie con grandi feste. A vederlo così non sembra neanche perfido, ma il suo incarico è quello di sottomettere le schiave, usando maniere violente. Master Vito mi fa alzare le braccia e si accorge che ho dei peli sotto le ascelle. Inoltre nota che anche la mia figa è pelosa e mi dice che una schiava deve essere completamente priva di peli. Chiama un suo collaboratore che deve curare la mia depilazione e quest’ultimo mi cosparge le parti pelose di crema depilatoria: poco dopo i miei peli cadono e basta una “passatina” di rasoio per rendermi liscia e vellutata. Anche il buco dell’ano viene depilato e rimane liscio e pulito, pronto per eventuali esercizi anali. Mi conducono in una stanza dove c’è uno strano attrezzo, costituito da due pali metallici affiancati orizzontalmente e da una struttura, anch’essa metallica, che li sostiene. E’ una specie di letto di tortura sul quale viene fatta stendere la schiava. I due pali molto ravvicinati non consentono di stendersi confortevolmente e se una rimane sdraiata per un po’ di tempo finiscono inesorabilmente per segnare la schiena della poveretta. Mi fecero stendere a pancia in su, mi fecero alzare e allargare le braccia e poi mi divaricarono le gambe che vennero alzate e fissate a ganci che pendevano dal soffitto. Mi legarono le mani con robuste corde. Per la testa non esisteva un supporto e dovetti necessariamente reclinarla all’indietro. Poi mi aprirono le grandi labbra della figa e mi misero due mollette a clip (una per ogni parte) che avevano dei lacci che mi girarono intorno alle gambe. La figa era così costretta a rimanere aperta e in bella vista. Poi mi misero altre due mollette a clip sempre sulle grandi labbra della figa e le collegarono, tramite una cordicella, agli alluci dei miei piedi. Così se avessi mosso le dita dei piedi, automaticamente le grandi labbra della mia figa sarebbero andate in tensione, provocandomi dolore. A questo punto venne verso di me Master Vito con in mano una candela, che accese con un accendino. Me la infilò nella figa e poi tutti se ne andarono, spegnendo la luce. Io rimasi sola con la sola luce della candela. All’inizio la cera che si scioglieva finiva sul pavimento, ma consumandosi la cera calda sgocciolava lungo lo stelo della candela e finiva nella mia figa spalancata. Provai un grande dolore e in più ero terrorizzata dal fatto che la fiamma si avvicinava sempre più alla mia figa. Iniziai ad urlare e riuscii a richiamare l’attenzione di Master Vito e dei suoi uomini appena in tempo. Pochi secondi ancora e la fiamma avrebbe lambito la mia pelle, con conseguenze che non voglio immaginare. Mi slegarono e mi fecero mettere sull’attrezzo a pancia in giù, legandomi mani e piedi alla struttura metallica. La testa era senza appoggio e dovetti reclinarla in avanti. Master Vito disse ad un suo uomo: “Vieni qui e allarga il culo a questa puttanella. Allargale il buco più che puoi, senza pietà. Dobbiamo infilarle lo speculum”. Il collaboratore di Master Vito eseguì l’ordine e mi aprì il buco con forza, dilatandomelo a dismisura. Io gridai per il dolore e lo supplicai di smettere, ma lui sembrava non sentire le mie suppliche. Master Vito prese lo speculum da un mobile e lo infilò nel mio buco senza trovare alcun impedimento e poi iniziò a girare la vite per allargare lo strumento. “Mi fate male, mi state spaccando il culo, basta… vi prego. Non resisto, mi sento il culo sfondato”, dissi io con un filo di voce. Ma quell’uomo continuava imperterrito a girare la vite e lo speculum si allargava inesorabilmente, fino a quando il mio buco non si dilatò più. Era comunque diventato una voragine e all’interno dello speculum venne infilata una candela, che “ballava”, tanto largo era diventato il mio buco dell’ano. Accesero la candela, che era posizionata più verticalmente rispetto all’altra che mi era stata infilata prima nella figa. La cera si scioglieva e colava lungo lo stelo della candela, finendo direttamente dentro il mio orifizio. Ciò mi causava molto dolore, ma se mi lamentavo ricevevo puntualmente un sonoro schiaffo sul viso. La candela si consumò e la sua fiamma arrivò a lambire la pelle del mio culetto. Solo allora venne spenta, con mio grande sollievo. Poi entrò nella stanza, accompagnata da due uomini e seguita dal fidanzato, una ragazza molto giovane ed attraente: aveva lunghi capelli biondi e occhi azzurri. Master Vito me la presentò: “Sonia ti presento Jessica. Lei è un’aspirante schiava ed assisterà alle torture a cui ti sottoporremo. Tu dovrai farle capire che una schiava si realizza quando viene sottomessa in modo deciso e anche violento. Dovrai trasmetterle un messaggio importante: solo il dolore fisico può dare soddisfazione ad una vera slave. Tu Sonia hai dato grande dimostrazione di saper subire qualsiasi umiliazione e di saper accettare il dolore con rassegnazione. E oggi dovrai superare te stessa… non immagini nemmeno che cosa ti aspetta!”. Alzai la testa e salutai Jessica, porgendole il mio benvenuto. Però il fatto di essere torturata ed umiliata davanti ad una ragazza mi poneva un po’ a disagio, forse perché ero abituata a soffrire solo davanti ad uomini, anche giovani, ma pur sempre di sesso maschile. Mi stupii nel veder che Jessica era completamente vestita: camicetta rossa, pantaloni neri e scarpe nere. Ero infatti convinta che le schiave dovessero entrare nude a Villa Ubbidienza, ma a quanto pare questa regola non doveva essere rispettata dalle aspiranti schiave. Mi liberarono dalle corde e mi fecero stendere sul pavimento, legandomi le braccia lungo il corpo. Poi mi misero delle cavigliere in pelle con una corta catenella ed abbassarono un gancio dal soffitto: collegarono la catenella al gancio e mi tirarono su per i piedi. Il mio corpo penzolava, la mia testa era a ottanta centimetri dal pavimento e le mie tette penzolavano anch’esse, in una posizione del tutto innaturale. Mi applicarono ai capezzoli clips con catenelle alle quali erano collegati alcuni pesi. A quel punto le mie tette venivano tirate verso il basso: furono poi attaccati alle catenelle altri pesi che peggiorarono la situazione. Ora le tette mi facevano male e tentai di ribellarmi, dicendo: “Toglietemi i pesi dal seno, mi state facendo male, le mie tette sono tirate allo spasimo!”. A queste parole Master Vito reagì in malo modo e diede ordine a Jessica di frustarmi in tutte le parti del corpo. Consegnò una frusta a Jessica, che iniziò a frustarmi senza convinzione. Jessica non mi frustava in modo deciso e per convincerla a “fare sul serio” ricevette a sua volta alcune frustate. Ma c’era una piccola differenza tra noi: lei era vestita, mentre io ero nuda! Jessica urlò per il dolore… non era ancora abituata a soffrire! Le frustate che ricevette la convinsero a frustarmi con violenza ed ora ero io a gridare per il dolore. La mia schiena si riempì dei segni delle frustate, mentre ad ogni frustata il mio corpo dondolava e le mie tette mi ricordavano, con dolore, della loro esistenza. Poi Jessica, su suggerimento di Master Vito, passò a frustarmi la pancia e anche quella parte del mio corpo venne messa a dura prova. Dopo un buon quarto d’ora di sane frustate, venni liberata da quella incomoda posizione. “Ora Sonia inginocchiati davanti al letto e appoggia la parte superiore del tuo corpo sul letto. Ti sculacceremo, come una troia come te merita”, disse George. Io eseguii l’ordine e George iniziò a sculacciarmi. Non riuscivo a rimanere ferma e oltre ad urlare, agitavo insistentemente il mio corpo. George si rivolse allora a Jessica: “Sali sulla schiena di Sonia e siediti sopra di lei. Bloccale le braccia con le tue mani. Non deve muoversi questa puttana”. Jessica si sedette sopra la mia schiena, impedendomi così di agitarmi. Venni sculacciata da George e da Frank, fino a quando il mio sedere divenne totalmente rosso. Ero imbarazzata, perché mai ero stata alla mercè di una ragazza, che poteva farmi soffrire malgrado la sua tenera età. Poi Master Vito mi ordinò di baciare Jessica, ma lei si ritraeva perché forse non aveva mai baciato una donna. Io afferrai la sua testa e la costrinsi a baciarmi con passione. Ora le nostre lingue giocavano insieme, procurando piacere sia a me che a lei. Frank ci ridicolizzò, dicendo: “Guarda le due lesbiche come sono innamorate! Fate schifo, siete due baldracche… vi pentirete amaramente del vostro comportamento. Ora siete entrambe di nostra proprietà… Proprietà Villa Ubbidienza”. Io al momento non capii… ma purtroppo la spiegazione di quelle parole non tardò a venire! Mi presero in braccio e mi portarono su un grezzo tavolo di legno, dove mi misero supina. Master Vito ordinò a Jessica, consegnandole uno straccio e una bottiglietta di plastica contenente del liquido, di pulirmi le piante dei piedi, che erano molto sporche. Avevo raggiunto la villa a piedi nudi e le mie piante erano veramente nere. Jessica mi pulì le piante in modo perfetto, passando lo straccio anche tra le mie dita. Mi presero nuovamente in braccio e mi portarono su una struttura metallica, in posizione “a quattro zampe”, dove venni legata saldamente tramite cinghie già predisposte. Mi aprirono la bocca e mi infilarono dentro una specie di "pallina" collegata ad un laccio, che mi venne bloccato dietro alla testa. Chiaramente quella "pallina" serviva a non farmi urlare. Anche la mia testa venne bloccata da un apposita struttura, ma potevo però girarla a destra e a sinistra. Master Vito mi disse in modo deciso: “Sonia, tu sei alla tua seconda lezione e ormai appartieni a Villa Ubbidienza. Non potrai frequentare altre scuole rieducatrici, all’infuori di Villa Ubbidienza. So che quello che ti sto per dire ti traumatizzerà, ma le regole sono regole e noi non possiamo aggirarle… Verrai marchiata a fuoco con le lettere V.U., che sono le iniziali di Villa Ubbidienza. Una volta che sarai marchiata, per tutta la vita dovrai tenere questo marchio, che sarà indelebile sulla tua pelle. Soffrirai tantissimo quando il timbro rovente “colpirà” la tua tenera pelle. Abbiamo deciso di marchiarti sotto i piedi”. Frank e George vennero incaricati di bloccarmi i piedi, tenendomi per le dita e per il calcagno. Jessica chiese di uscire, ma non le fu consentito. “Dovrai guardare mentre questa povera disgraziata soffrirà le pene dell’inferno, ma pensa che in fondo è solo una lurida schiava che non merita il minimo rispetto. La sua carne brucerà al contatto con il ferro rovente e speriamo che questa lurida cagna non svenga per il dolore”. Un uomo dal ghigno beffardo arrivò con in mano un lungo tubo in ferro con manico di legno, che mise sulla fiamma del camino. Alla base del tubo c’era un piccolo timbro con riprodotte due piccole lettere intercalate da punti: V.U. Poco dopo la parte finale del tubo divenne rossa e rovente. Io iniziai ad urlare a squarciagola, ma la mie urla veniva soffocate dalla "pallina" che avevo in bocca. Cercavo di agitarmi, di muovere i piedi per evitare quell’oggetto diabolico, ma le cinghie e le mani dei due uomini bloccavano ogni parte del mio corpo. “Verrai marchiata sulle piante dei piedi, nella zona sotto le dita, dove la pelle è leggermente più spessa, così proverai meno dolore, lurida cagna”, disse beffardamente Master Vito. Quando il “primo timbro” si avvicinò alla pianta del mio piede destro, avvertii un grande calore e poco dopo un dolore lancinante: la mia carne era stata incisa dal timbro e la mia pelle stava “bruciando” sotto la pressione di quel tubo maledetto. Jessica venne costretta a guardare, in quanto un uomo le teneva la testa in modo che non potesse evitare quella visione tremenda. Tentò di chiudere gli occhi, ma l’uomo gli strizzò un capezzolo per farla desistere dal chiudere gli occhi. L’uomo con il tubo in mano si assicurò che il “timbro” avesse deturpato il mio povero piede e una leggera fumata lo rassicurò. La mia pelle era ormai irrimediabilmente incisa. Rimise l’attrezzo sul camino e poco dopo ripetè l’operazione sul mio piede sinistro. Io ero completamente sudata e la mia bocca non aveva più saliva; l’uomo penso bene di togliermi la "pallina" dalla bocca e, dopo aver estratto il suo uccello dai pantaloni, mi pisciò direttamente in gola. Jessica chiese pietà per me: “Ma che cosa le fai! Non è un cesso la sua bocca, smettila ti prego”. Venne derisa e io venni liberata dalle cinghie. Non riuscivo però a rimanere in piedi per il dolore che avevo sotto i piedi: mi permisero perciò di rimanere in ginocchio. Poi presero Jessica e la misero sull’attrezzo che avevo lasciato libero io; lei cercò di divincolarsi, ma loro erano in tre e nettamente più forti di lei e la legarono completamente vestita con le cinghie. Le venne messa in bocca la “pallina” e poi Master Vito mi disse: “Vacca, togli le scarpe a Jessica… ora le faremo il lavoro che abbiamo fatto a te”. A quelle parole Jessica scoppiò in pianto, ma io non potevo fare nulla per lei. Con una stretta alla gola e camminando in ginocchio, mi posizionai dietro i piedi di Jessica. Le levai le scarpe e mi apparvero due piedini perfetti e curati, con dita affusolate e unghie laccate di rosso. Le sue piante erano lisce e vellutate, i suoi piedi non avevano tracce di calli e duroni. D’altra parte una ragazza così giovane non poteva che avere piedi belli e perfetti. Era un vero peccato rovinare piedi così belli. Cercai di prendere un po’ di tempo rimanendo dietro i piedi di Jessica in contemplazione, ma George mi buttò a terra, facendomi spostare con un calcio nella pancia. L’uomo del “timbro” mise l’attrezzo nel camino e poco dopo marchiò a fuoco il tallone di Jessica. Una piccola fumata, avvertì l’uomo che la pelle era incisa. Poi anche l’altro piede subì la stessa sorte. Ora tutte e due avevamo il marchio di Villa Ubbidienza: entrambe sulle piante dei piedi, una sotto le dita, l’altra sui talloni. Jessica venne slegata, ma quando cercò di mettersi in piedi svenne per il dolore. Poco dopo rinvenne e Master Vito ci disse che per quel giorno la nostra educazione era finita. Non riuscivamo a camminare e allora due uomini ci caricarono sulle loro spalle, come dei sacchi di patate. Io ero nuda, mentre a lei mancavano solo le scarpe. I nostri visi erano a contatto con i culi di quei due uomini, che percorsero velocemente il viale che conduceva all’uscita della villa. Eravamo seguite da mio marito e dal fidanzato di Jessica, che aveva voluto iniziare la sua donna ad un percorso di sottomissione, dal quale, una volta entrati, non ci si può più sottrarre. L’uomo che mi aveva trasportato chiese a mio marito di aprire il bagagliaio dell’auto e mi scaraventò dentro, come fossi un oggetto, e poi abbassò il cofano, chiudendolo. Non vidi più Jessica e non so dove lei fu “depositata”, ma sicuramente potè tornare a casa viva con il suo ragazzo. Dopo qualche centinaio di metri mio marito arrestò la macchina e mi tirò fuori dal bagagliaio. Mi rivestii e insieme tornammo a casa. Notai sul suo viso una certa soddisfazione per la lezione che mi era stata impartita. A lui non interessava molto del dolore che io provavo: a lui interessava solo avere al fianco una schiava docile e sottomessa come me! 20405 0 12 years ago
- 10 years ago La donna di tutti Mio marito è portato a dominarmi, riducendomi solitamente al ruolo di schiava, ma quella sera volle impersonare il ruolo del marito cuckold. Aveva conosciuto per lavoro il titolare di un club privé e con lui aveva concordato una serata trasgressiva fuori dai canoni in cui avrebbe concesso la moglie a chiunque ne avesse fatto richiesta. Chiaramente chiese la mia approvazione a quel "progetto" bizzarro, Io, quando si tratta di sesso, non mi tiro mai indietro e l'idea di avere nuove esperienze mi eccitava moltissimo. Come già ebbi modo di dire in altri racconti, io amo il colore nero e quella serata mi sembrava adatta per indossare capi di abbigliamento neri ed eleganti. La preparazione fu molto meticolosa e il trucco mi impegnò non poco. Indossai un abito da sera, calze autoreggenti velate, scarpe con il tacco vertiginoso, reggiseno e mutandine in pizzo... tutto rigorosamente nero! Con mio marito prendemmo accordi preventivi, in quanto io dovevo apparire una single e lui si sarebbe seduto su un divano per vedere lo spettacolo. Personalmente non capirò mai che gusto possa provare un uomo nel vedere la propria moglie scopata da altri, ma a mio marito non feci questa considerazione, temendo che cambiasse idea all'ultimo istante. Solo il titolare del locale conosceva la nostra situazione familiare. Come in altri club privé esistevano stanzette appartate e locali comuni in cui troneggiavano grandi letti matrimoniali. Noi scegliemmo il letto matrimoniale "comune" dove io avrei potuto dare il meglio di me stessa di fronte a tanti uomini e donne. Entrammo nel locale e mio marito si sedette su un divano posto davanti al letto, dal quale avrebbe potuto vedere tutta la scena indisturbato. Io mi stesi sul letto e subito alcuni uomini si posero ai bordi dello stesso. Notai subito due bei ragazzi di colore e inizia a sperare che mi chiedessero qualcosa. Fu invece un signore brizzolato a rompere il ghiaccio: si avvicinò al letto e mi chiese se era gradito. L'accordo con mio marito era chiaro: non avrei rifiutato nessuno e avrei soddisfatto qualsiasi richiesta mi fosse fatta. Io risposi affermativamente al signore brizzolato e lui iniziò a baciarmi. Era veramente un bacio appassionato, di quei baci che non ti lasciano indifferente; la sua lingua si muoveva sulla mia, provocandomi eccitazione e libidine. Poi mi mise una mano nella scollatura, entrando nel reggiseno alla ricerca del mio seno nudo. Mi afferrò il seno, muovendo la mano con grande maestria, strizzandomi la tetta in tutti i modi possibili. Poi mi titillò il capezzolo, che ormai era duro e turgido, Mi sussurrò all'orecchio se poteva continuare, dedicandosi alla mia... parte inferiore! Io risposi di sì e lui mi sollevò la lunga gonna e raggiunse le mie mutandine. Le spostò lateralmente e infillò le sue dita nel mio pertugio. io ero bagnata e lui si complimentò con me per il mio stato... già avanzato! E come può una donna resistere ad un trattamento così particolare? Mi sollevò bene la gonna e mi sfilò le mutandine, gettandole all'estermità del letto; poi si levò i pantaloni e gli slip mettendo in mostra un uccello di buone proporzioni. Mi infilò delicatamente l'uccello fino in fondo e io provai una sensazione piacevolissima, sentendo questa dolce penetrazione. Iniziò a pompare, sempre con più forza e con ritmo sempre più accelerato, ma quando avvertì che io stavo per raggiungere l'apice del piacere si fermò di colpo, riprendendo poi in maniera lenta e delicata. Poi aumentò il ritmo, ma si fermava sempre quando avvertiva che stavo per avere un orgasmo. Quell'uomo ci sapeva veramente fare e inoltre pensava al piacere della propria partner, cosa che non tutti gli uomini fanno quando hanno un rapporto sessuale. Alla fine venimmo tutti e due all'unisono, con grandi gemiti da parte di entrambi. Lui mi ringraziò con l'intento di abbandonarmi, ma io lo pregai di farmi ancora compagnia, dicendo: "E il mio culetto, non lo vuoi?". Lui rispose affermativamente, ma aggiunse che a suo parere la cosa non era delle più raffinate, visto che ci trovavamo tra molti uomini e donne, che contornavano la nostra alcova. Io volevo avere un rapporto anale con quell'uomo e mi girai a pancia in giù, sollevando il sedere. Lui mi scoprì il culetto, mi allargò con le mani e fece scendere con grazia un po' di saliva nel mio buchetto. Poi il suo uccello, ancora tonico e performante, si infilò nel buco del mio ano, facendomi gioire per il piacere: "Dai, fallo con violenza, non rispettarmi... voglio essere sfondata proprio lì", dissi io. I presenti commentavano a bassa voce l'evento nei modi più disparati, ma tutti in modo abbastanza raffinato. Sembrava che il turpiloquio fosse stato bandito dalla faccia della Terra in quel privé. Mi trattò in modo deciso, ma molto coinvolgente. Alla fine mi chiese se poteva venirmi dentro e io acconsentii. Era la seconda volta che veniva in poco tempo, ma la quantità di sperma che versò nel mio ano fu davvero considerevole, a tal punto che quando mi sollevai lo sperma uscì copiosamente dal mio buchetto. Quell'uomo così interessante si congedò con un bacio sulla bocca. A quel punto i due ragazzi di colore, che avevo notato in precedenza, si avvicinarono al letto, chiedendo se la loro presenza fosse a me gradita. Io risposi affermativamente, in quanto onestamente speravo in questa richiesta. Si spogliarono e iniziarono a toccarmi e a baciarmi con grande classe. Le loro mani e le loro lingue erano davvero efficaci e provocarono in me più di un brivido. Due donne mi chiesero se potevano togliermi il vestito e io le esortai a farlo. Mi levarono anche il reggiseno e io mostrai con orgoglio il mio seno ancora abbastanza bello, malgrado l'età non più verde. Rimasi con le autoreggenti e le scarpe. Era bello fare sesso con le scarpe, anche se io solitamente preferisco farlo completamente nuda e libera da ogni costrizione. I due ragazzi mi scoparono prima davanti e poi vollero farmi provare, con il mio consenso, un rapporto a due. I loro falli erano di dimensioni veramente considerevoli, sia in lunghezza che in sezione, e l'introduzione nel culetto del secondo fallo non fu molto agevole, visto che la mia fighetta era già ampiamente dilatata dall'uccello che la "occupava". Comunque alla fine riuscì a penetrarmi dietro anche il secondo fallo. Mi sentivo veramente "ripiena"! Iniziò a pomparmi il ragazzo che mi aveva penetrato davanti, poi si fermò e continuò il ragazzo che mi aveva impegnato il lato B e poi tutti e due, alternativamente, cominciarono a spingere con forza. Che stantuffi avevano... paragonabili a quelli di una locomotiva a vapore! Questa situazione perdurò per parecchio tempo, anche se non so quantificare con esattezza quanto durò quel fantastico rapporto, Mio marito mi disse poi che oltre ai gemiti facevo qualche smorfia di dolore per i colpi "subiti", ma io sinceramente provavo solo piacere. E che piacere! Quando ebbero finito, mi venirono entrambi sui seni, ricoprendoli totalmente di sperma caldo e donandomi un piacere fino allora a me sconosciuto. Poi altri uomini chiesero di potermi avere e io acconsentii, come era stato previsto con mio marito. Però solo con i primi tre uomini provai sensazioni particolarmente piacevoli: con gli altri fu la solita scopata "quattro colpi e via". Alla fine della kermesse, una donna propose di farmi bere un po' di caldo nettare in un bicchiere del tutto particolare: la sua scarpa di vernice blu. Gli uomini che si masturbavano intorno al letto (e anche le donne che si toccavano) erano ancora molti. Il proprietario del locale ritornò a fare la stramba proposta di quella donna, dicendomi: "Visto che oggi è il tuo compleanno vuoi brindare con noi nella scarpa della signora? Spero che tu accetterai questa meravigliosa proposta!". "Ok va bene, berrò il vostro nettare... ma non più di una scarpa, però!", dissi io. Un fragoroso applauso si levò dai presenti. La signora si tolse una scarpa e la diede al primo uomo che dopo poco la riempì di sperma. La scarpa passava di mano in mano e si riempiva inevitabilmente di sperma... di tutti i colori... dal biancastro al giallastro! Non pensavo che una scarpa potesse accogliere tanto sperma, visto che poi non si trattava di una scarpa molto accollata. Ma penso che forse anche venti/trenta uomini abbiano dato il loro contributo e alla fine la scarpa era colma... di nettare. Mi porsero la scarpa e io accostai alle labbra la parte posteriore della stessa (dalla parte del tacco, intendo). Mi fecero aprire bene la bocca (per fortuna non ho carie!) e mi invitarono a bere lo sperma contenuto nella scarpa. Io lo feci "colare" dall'alto e poco alla volta lo inghiottii tutto. Poi venni invitata a pulire con la lingua l'interno della scarpa, che fortunatamente era anche nuova. Lo feci e restituii la scarpa perfettamente pulita alla proprietaria. Applausi, applausi e ancora applausi conclusero la mia performance. 4394 2 12 years ago
- 10 years ago Tempi di scuola Questa volta vi racconto un episodio che mi capitò quando frequentavo la quarta classe all'Istituto Tecnico Commerciale Gino Zappa di Milano. All'epoca ero ritenuta un'alunna modello, fra le più brave della classe e alcune compagne mi guardavano con una punta d'invidia. All'interno della classe, come sempre succede, si formano inevitabilmente i gruppi di amicizia o di studio e anch'io finii in questo disgraziato "meccanismo". Un giorno però Beatrice mi chiamò in disparte e mi invitò nella casa di campagna dei suoi genitori, situata nella provincia di Varese. La cosa mi risultò un po' strana, però l'idea di poter allargare la mia sfera di amicizie all'interno di una classe abbastanza divisa mi allettava non poco. Accettai e Beatrice mi disse che sarebbero venute con noi anche Anna, Simona e Giulia. L'appuntamento venne fissato per il sabato successivo e Beatrice, ripetente e più grande di noi, ci avrebbe portato alla mèta in auto. Tutte noi "invidiavamo" Beatrice che già poteva guidare e in più possedeva anche un'auto tutta sua. Al sabato alle tredici e trenta la campanella suonò e tutte e cinque ci precipitammo verso l'utilitaria di Beatrice, alla volta della casa di campagna. Lì saremmo restate fino alla domenica sera, per trascorrere un tranquillo week-end... di paura! Dopo circa un'ora e mezza o poco più arrivammo, dopo aver percorso una strada sterrata abbastanza lunga, alla casa di campagna situata in mezzo ad un bosco. Ero molto euforica, in quanto i miei genitori mi avevano accordato il permesso di rimanere fuori casa per ben due giorni. Entrammo nella casa che era "povera", ma molto ben tenuta. Ci sedemmo al tavolo e Beatrice ci offrì delle bibite a temperatura ambiente, ma comunque gradevoli. Ero tranquillamente seduta al tavolo quando vidi davanti a me una corda che si stringeva inesorabilmente verso di me: era tenuta in mano da Giulia e Anna, che mi legarono alla sedia, bloccandomi prima le braccia e poi le gambe alla sedia. Io mi misi ad urlare, chiedendo che cosa mi stessero facendo. Beatrice si alzò dalla sedia e venne verso di me, dicendo: "Bellissima Sonia, ti piace tanto fregare i ragazzi alle altre? Attenta, perchè non si può sempre farla franca... Perchè ti sei fatta Maurizio, quando sapevi benissimo che Maurizio è fidanzato con Anna? E perchè hai voluto essere scopata dal bel Paolo, quando sapevi che lui era mio?". Io in effetti non avevo mai avuto rapporti con Maurizio e con Paolo e cercai di spiegarlo a Beatrice: "Non sono mai andata a letto con Maurizio e non sono mai andata a letto con Paolo. Sia ben chiaro per tutte voi. Caso mai è stato Maurizio che mi ha corteggiato... ma non ha avuto alcun riscontro da parte mia. Per quanto riguarda Paolo... non c'è mai stato nulla tra noi", dissi io, visibilmente scocciata. "Non ti crediamo, baldracca da quattro soldi", sentenziò Beatrice. Si avvicinò ancor più a me e, toccandomi i capelli, disse: "Sonia, ma che bei capelli hai! Lunghi, mossi e lucenti... sappiamo che tu tieni moltissimo ai tuoi capelli... Ora ti facciamo una nuova acconciatura, sperando che sia di gradimento al "tuo" Maurizio". Giulia disse: "Propongo di tagliarle la frangetta e i capelli alle spalle, un bel caschetto non dovrebbe stare male a Sonia!". Le altre annuirono con il capo e Giulia diede la prima sforbiciata ai miei capelli. La frangia venne tagliata alla base della cute, poi mi tagliò una lunga ciocca che mi venne mostrata e poi fatta cadere sul pavimento. Giulia passò le forbici ad Anna e anche lei mi tagliò una ciocca di capelli. Si passavano le forbici l'una con l'altra e ognuna di loro dava un'accorciatina ai miei capelli. Io non potevo muovermi e le corde erano veramente strette. In poco tempo il caschetto era finito. Beatrice disse con voce decisa: "Propongo qualche altro centimetro, lasciamole coperte le orecchie, ma tagliamole i capelli all'altezza dei lobi". E via con le forbici. I miei capelli erano sempre più corti e Anna disse, con tono beffardo: "Ora sì che è una gran figa... piacerà senz'altro ai maschi!". Io avevo gli occhi pieni di lacrime, ma non volevo far vedere che stavo piangendo. "E queste sopracciglia... come le stanno male... sarebbe meglio non le avesse!", sentenziò Giulia. Beatrice venne verso di me con un rasoio e cominciò a rasarmi le sopracciglia. Poco dopo ero completamente liscia e loro mi diedero uno specchio per ammirare il loro lavoro. Ero diventata un mostro, con i capelli corti e "smozzicati" e senza sopracciglia. Beatrice disse allora che saremmo andati a fare una bella passeggiata tra i boschi. "Spogliati baldracca", mi disse Beatrice, facendomi vedere la punta di un affilato coltellino. Io mi rifiutai e lei incalzò: "Spogliati, tu nel bosco ci vieni, ma ci vieni nuda e a piedi... noi quattro ci andremo in macchina... con il caldo che fa!". Il coltellino in mano alla ragazza era ormai evidente ed era puntato al mio fianco. Non avevo scelta e iniziai a slacciarmi i cinturini delle scarpe per toglierle. "No, quelle no, le puoi tenere. Ti serviranno per camminare nel bosco. Togli la gonna e la maglietta. Dai, fai presto". Io mi levai la gonna e la maglietta, ma Beatrice non era ancora contenta: "Ora anche il reggiseno, così vediamo perchè Maurizio impazzisce per il tuo seno. Poi ti togli anche le mutandine, così vediamo perchè piace la tua figa a Paolo...". Io mi levai il reggiseno e le mutandine. Ero completamente nuda, ad eccezione delle scarpe che mi sarebbero servite per la “passeggiata” nel bosco. Mi legarono le mani, una accanto all’altra, con una corda e mi portarono fuori, posizionandomi dietro la vettura di Beatrice. Poi l’altro capo della corda venne legato al paraurti della macchina, che doveva “trainarmi”. Le quattro assatanate salirono sulla vettura, una Volkswagen Polo, e si misero in movimento a passo d’uomo. Io fui obbligata a seguire la vettura, che percorse un lungo pezzo di strada sterrata. Dovevo guardare bene il fondo della strada, disseminato di buche, pietrisco e rametti d’albero. La vettura procedeva molto piano e io riuscivo a stare al passo della macchina. Il problema era costituito dalle mie scarpe con il tacco, che anche se non avevano un tacco da dodici, mi facevano prendere storte in gran quantità. Pensai di togliermele, ma poi mi venne in mente che avevano i cinturini e senza slacciarli non sarebbe stato possibile levarle. Alla fine risultarono distrutte, dagli sfregamenti e dai “patimenti” che la lucida pelle aveva subito. Io sudavo sotto il caldo sole, mentre le quattro facevano commenti offensivi nei miei confronti, ridicolizzandomi. Io le sentivo, perché dai finestrini aperti mi pervenivano le loro voci e le loro sghignazzate. Durante il percorso incontrammo due cacciatori, che si voltarono verso di me, commentando ad alta voce quel particolare “rimorchio”: “Non c’è più religione, ma guarda sta’ esibizionista, che si fa trascinare nuda per dare nell’occhio. Sta’ puttana! Se ti fermi, me la dai? Sei una gran vacca… e sei pure bona. Una volta le ragazzine erano pudiche, oggi sono solo delle puttane…”. Ritornammo alla casa e venni slegata dal paraurti. Mi slegarono le mani e mi fecero stendere sul letto matrimoniale dei genitori di Beatrice. Una volta distesa, Beatrice, che doveva essere la capa e l’artefice di tutto, mi ordinò di alzare le braccia e di allargarle e di divaricare le gambe. Io feci quello che mi venne detto e le quattro amiche provvedettero a legarmi al letto: le braccia all’altezza delle mani e dei gomiti, le gambe all’altezza dei piedi e delle ginocchia. Ero completamente immobilizzata e riuscivo solo parzialmente a muovere il bacino. Giulia chiese a Beatrice: “Posso toglierle le scarpe?”. Beatrice rispose affermativamente, dicendo: “Ormai abbiamo visto tutto di lei, abbiamo capito che ha delle tette sode e ben formate, un culetto interessante e una grande figa accogliente, che può piacere ai nostri amici maschi. L’unica parte del corpo di Sonia che non abbiamo ancora visto sono i suoi piedi. Abbiamo anche capito che è una persona senza alcun ritegno, che si presta ad essere “usata” in tutti i modi. Una brava ragazza, di buona famiglia come lei, non si sarebbe mai spogliata per seguire una macchina in un bosco…”. Io replicai che non mi ero spogliata spontaneamente, ma che ero stata costretta da un coltellino nel fianco! Mi levarono le scarpe ed iniziarono a farmi il solletico sotto i piedi. Io sopporto tante cose, ma il solletico sotto i piedi mi manda in crisi. Io le supplicavo di smettere, ma più le supplicavo e più loro continuavano a farmelo; capirono che la zona sotto le dita era la più sensibile e continuarono a solleticarmi quella parte del piede. Io mi agitavo, ma le corde facevano il loro lavoro in modo egregio e il mio corpo aveva poche possibilità di movimento. Poi tutte e quattro sparirono e ritornarono poco dopo con una grossa zucchina tra le mani. Simona, che fino a quel punto non aveva preso grandi iniziative, mi disse: “Ora, cara troietta da strapazzo, ci fai vedere come prendi i cazzi di Maurizio e Paolo. Ecco, questa zucchina è la copia perfetta dei loro uccelli!”. “Voi siete pazze, non potete deflorarmi con quella zucchina. E’ semplicemente gigantesca”, dissi io. “Ah, ah, tu vorresti forse farci credere di essere vergine? Una come te avrà iniziato a farsi scopare a dodici anni…”, replicò Giulia. La parola “deflorarmi”, forse usata da me in modo errato, aveva fatto credere loro che io fossi vergine. Chiaramente vergine non ero, ma stretta di figa sì! Senza tanto indugiare saltarono tutte quattro sul letto e iniziarono a spingere la zucchina nella mia figa. All’inizio riuscii ad opporre resistenza, ma alla fine la mia bernarda si dilatò, lasciandosi perforare dalla grossa zucchina. “Io l’ho sempre detto… Sonia è una gran porca… guarda come ti sei fatta penetrare dalla zucchina… hai una figa da primato!”, disse beffardamente Beatrice. Mi slegarono e mi fecero mettere a pecorina per un’ulteriore prova “vegetale”: dovevano infilarmi una carota nel culo. Nell’assumere la nuova posizione, la zucchina scivolò per un pezzo fuori dalla mia figa e le loro mani prontamente la infilarono di nuovo. Poi iniziarono a premere sul mio buco dell’ano con la carota. Provavo dolore e il buco sembrava non volersi aprire. Ma le quattro forsennate premevano con grande forza e il mio buco alla fine cedette con mio grande dolore. “Ora ti facciamo delle foto, che poi daremo a Maurizio e Paolo. La loro cocca sfondata davanti e dietro! Hai la figa sfondata dalla zucchina e il culo spaccato da una carota. Mi fai schifo… sei solo una poveretta… ecco come finiscono le bellocce come te! E poi hai quei capelli tagliati alla “cazzo”! Ma ti mancano anche le sopracciglia… Mi fai pena, povera troia!”, disse farneticando la forte Beatrice. E sì, perché lei doveva sentirsi molto forte dopo questa bravata. Mi aveva umiliato e conciata come non mai nella mia vita. Simona doveva essere lesbica e lo capii dal bacio che mi dette con la lingua: mi accarezzò dolcemente i seni e me li leccò con grande meticolosità. Poi passò a leccarmi la figa e io sussultai dal piacere; me l’aprì con la lingua, “divaricandomi” le labbra e poi leccando all’interno del mio buco. Infilò la lingua dentro la mia figa e la roteò in un modo meraviglioso, donandomi sensazioni estreme di piacere. Una cosa simile poteva venire solo da una lesbica, abituata a fare quei giochi di lingua. Beatrice poi andò al telefono fisso (in quei tempi i cellulari non esistevano) e chiamò qualcuno, di cui non compresi il nome. Poco dopo entrò nella stanza un ragazzo dall’aria alquanto imbranata e dalla sguardo un po’ “ritardato”. Quando mi vide completamente nuda sul letto, fece un salto che non capii se era di gioia o di paura. “Giuseppe tu non hai mai visto una donna nuda. Lei si chiama Sonia ed è venuta apposta per te, Vuole fare “all’amore” con te”, disse Simona. Lui era veramente brutto, tarchiato e aveva un’aria davvero poco rassicurante. Le quattro “amiche” lo invitarono a spogliarsi e lui lo fece senza tanti preamboli. Era completamente peloso, davanti e dietro… un vero orso! Aveva un grosso uccello, ruvido e pieno di vene. Io notai che il suo uccello non ci mise molto ad irrigidirsi, specialmente quando Giuseppe fu invitato ad accarezzarmi. “Lasciami orso”, gridai. Ma lui non capì o fece finta di non capire. “Ma che cosa devo fare?”, disse Giuseppe, con voce roca. “Devi salire sul letto ed appoggiare il tuo pisello qui, sulla fighetta di Sonia”, disse Beatrice. Lui lo fece e appoggiò il suo schifoso pene sulla mia figa. Provai uno schifo indescrivibile. Giuseppe era veramente orrendo. “Ora spingilo dentro a quel buco da troia. Dai spingi forte”, disse Giulia. Lui spinse forte, mentre io cercavo inutilmente e in tutti i modi di divincolarmi dalla stretta morsa delle quattro assatanate. Giuseppe riuscì a penetrarmi e poi riuscì anche a capire quale era il movimento che doveva fare. Mi scopò in poche parole, mi scopò per un buon quarto d’ora. Io lo pregai di non venirmi dentro, ma lui fece tutto il contrario. Sentii il suo sperma irrorare la mia figa. Ora temevo anche di essere rimasta incinta. Che bambino sarebbe nato da quel mostro? Per fortuna non accadde nulla. Poi mi fecero girare a pecorina e Giulia disse a Giuseppe: “Ora devi incularla. Appoggia il tuo uccello al buco del culo di questa giovane ragazza e spingi come più puoi”. Lui eseguì l’ordine e spinse, ma evidentemente non mirava bene il buco dell’ano, perché il suo uccello finì nuovamente nella mia figa. “No, non lì. Glielo devi mettere nel culo. Hai capito?”, disse Anna. Aiutarono Giuseppe a posizionare l’uccelllo e lo invitarono a spingere forte. Lui spinse forte ed entrò con un sol colpo nel mio culo. “Bravo Giuseppe, continua così. Ora esci e rientra di colpo. Bravo… spingi… spingi!”, lo esortò Simona. “Smettila, mi stai rompendo il culo. Smettila, per pietà!”, dissi io, ma lui continuava ad incularmi. Mi fece veramente male e venne nuovamente e copiosamente anche nel mio culo. Probabilmente Giuseppe non era mai venuto dentro una ragazza e la cosa lo eccitò molto. Mentre il suo sperma colava fuori dal mio buco dell’ano, Beatrice fece due o tre fotografie. Le fotografie poi girarono per tutta la classe, sputtanandomi agli occhi di tutti i miei compagni, che mi videro nuda e con due ortaggi infilati nei buchi. Poi tutte le ragazze e Giuseppe si sedettero sul divano, in fila e mi fecero leccare le loro scarpe, in segno di sottomissione. Per fortuna solo sopra, ma la mia lingua non fu affatto contenta di quella situazione. Poi tutte le ragazze si tolsero le scarpe e io dovetti leccare i loro piedi con grande meticolosità. Si fecero leccare tra le dita, sul collo del piede e sulla pianta. I loro piedi non erano dei più freschi, data la temperatura esterna. Ma lo schifo che provai nel leccare i piedi a Giuseppe, non lo potrò scordare mai. Sì, anche i suoi piedi erano orrendi (come tutto il resto del corpo!), callosi e odorosi. Ma io ero la loro serva e una serva non può mai dire di no. Io ero stata punita da quelle quattro cretine (per non dire altro) per cose che non avevo commesso. La settimana successiva a quel sabato rimasi a casa “ammalata”, sperando che almeno le sopracciglia crescessero. Mi feci aggiustare i capelli e dovetti adottare un taglio molto corto, visto che i miei capelli erano stati ormai rovinati dai tagli furibondi delle quattro compagne di classe. L’anno dopo chiesi di essere spostata di corso e passai dalla A alla C. Che esperienza delirante! 27699 0 12 years ago
- 10 years ago Villa Ubbidienza Villa Ubbidienza è un luogo particolare, situato nella campagna cremonese, dove le apprendiste schiave vengono educate al loro ruolo con grande competenza. Mio marito decise che la mia formazione di schiava non era completa e chiese a Master Vito, il proprietario della villa, di potermi "iscrivere" ad un corso giornaliero. Master Vito garantì a Mario, mio marito, che alla sera io non sarei stata più la stessa donna e che sicuramente mi sarei assoggettata a tutti i suoi voleri, in modo incondizionato. La villa non è segnalata, ma con un buon navigatore e qualche punto di riferimento vicino, la raggiungemmo in una giornata piovosa di fine aprile. Suonammo il citofono e una voce dall'accento straniero ci rispose di lasciare la vettura fuori dal cancello. Qualcuno sarebbe venuto a prenderci. La villa era poco visibile dal cancello, ma si intuiva che doveva essere in fondo ad un lungo viale alberato. Dopo pochi minuti vennero ad aprirci due uomini muniti di due grandi ombrelli. Erano entrambi molto eleganti e vestiti completamente di nero: avevano quasi l'aria di due becchini! "Buongiorno signori, potete dirmi i vostri nomi? Io sono George e lui Frank e abbiamo il compito di condurvi da Master Vito. Signora, mi dia il suo ombrello per favore", disse quello che rispondeva al nome di George. Io e mio marito ci presentammo e George mi invitò nuovamente a dargli l'ombrello. "Ma piove troppo, non posso andare senza ombrello. Mi bagnerò tutta!", ribattei io. "E allora, qual è il problema, una schiava non è una principessa!", disse Frank. La sua voce era sinistramente convincente e io gli diedi l'ombrello. George mi prese per il braccio, restando però coperto dall'ombrello. Io sentivo l'acqua scendere copiosamente dai miei capeiili. Fatti pochi passi George si fermò, mi guardo i piedi e disse: "Sonia, si tolga le scarpe. I suoi tacchetti stanno rovinando il prezioso asfalto di Villa Ubbidienza. Su presto, ubbidisca!". Ero piuttosto seccata da questo esordio non proprio felice. I tre uomini si riparavano sotto grandi ombrelli, io mi stavo bagnando come un pulcino e mi veniva anche chiesto di togliermi le scarpe. Inaudito... "Lei Sonia è molto insolente e supponente... se ne pentirà! Le ripeto: via le scarpe. Frank togli le scarpe alla signora. Quando riferirò a Master Vito che questa apprendista non rispetta le regole... saprà lui come piegarla! In definitiva lei Sonia è solo una puttanella baldanzosa", disse George. Frank si chinò davanti a me, mi sollevò un piede e mi sfilò la scarpa. "Ehi, bastardo, non ti permettere...", dissi io, ma nel frattempo Frank mi aveva forzatamente sollevato l'altro piede e mi aveva sfilato anche l'altra scarpa. Prese entrambe le scarpe e le gettò nel prato che affiancava il viale. I miei piedi ora appoggiavano sull'asfalto (prezioso!?) di Villa Ubbidienza. George non era però soddisfatto dei suoi gesti tracotanti e ordinò a Frank di strapparmi le calze. Lui lo fece subito con le mani e poi, aiutato da un coltellino, le recise sotto al ginocchio. Le calze tagliate rimasero sull'asfalto e noi proseguimmo, sempre sotto la pioggia che intanto era diventata molto fitta. Ormai ero completamente bagnata, sorretta per il braccio dal "buon" George. Davanti ad una gigantesca pozzanghera, io deviai per evitarla, ma George mi fece retrocedere e superare la pozzanghera immergendo i miei piedi. L'acqua era davvero fredda e la cosa non fu affatto piacevole. In più la mia camicetta bianca era completamente bagnata e si intravvedeva il mio reggiseno azzurro. Percorremmo ancora qualche centinaia di metri e George si arrestò ancora. Che vuole ancora questo, pensai. Immediatamente la mia curiosità venne soddisfatta: "Sonia, ora deve togliersi la camicetta, la gonna e quello che rimane delle sue calze. Presto, la mia pazienza sta per finire! Se non lo fa subito, se ne pentirà amaramente". Non avevo scelta, ero annichilita e in più ero conscia che quella giornata doveva servire per la mia "educazione". Mi levai la camicetta, la gonna e subito dopo quello che rimaneva delle mie calze (praticamente la parte superiore, fino al ginocchio). George non era ancora soddisfatto del mio stato e disse: "Ora si tolga il reggiseno e le mutandine". "Eh no, queste proprio no!" , risposi io seccata. Lui non disse nulla e mi ammanettò. Ancora qualche minuto di strada e arrivammo alla scalinata della villa. I due nostri accompagnatori fecero entrare me e Mario in una grande stanza affrescata con grandi e comodi divani di pelle bianca. George, implacabile come era stato fino a quel momento, disse: Lei, Mario può accomodarsi sul divano, questa lurida schiavetta bagnata e con i piedi sudici deve rimanere in piedi. Così sgocciola come un'oliva appena tolta dal vasetto!". Grande figlio di puttana... mi aveva umiliato abbastanza! Poco dopo si aprì una porta (nel salone le porte erano diverse) e apparve quello che si presentò come Master Vito. Master Vito era un uomo robusto, anche simpatico se vogliamo, ma soprattutto deciso e spavaldo. Master Vito mi tolse le manette, mi fece girare su me stessa diverse volte e poi commentò: "Ottima scelta, signor Mario, è una bella schiavetta. E' forse sua moglie? In questo caso lei potrà assistere alla lezione che stiamo per impartire a questa lurida schiava, che a quanto detto dal mio collaboratore George... (pausa di silenzio).... è una stronza. Ora le insegno io l'educazione e la sottomissione". Poi, rivolgendosi a me, mi apostrofò in modo scortese: "Puttana, denudati!. E fai presto! Per ogni secondo che perdi... tre frustate su quella lurida schiena". Io mi tolsi il reggiseno e poi subito le mutandine. Arrivarono altri tre uomini, che mi presero e mi portarono in un'altra stanza, seguiti dal Master, da mio marito e dai due "gentili maggiordomi". In quella stanza, disadorna e dall'aspetto terrorizzaznte, c'era un tavolo (o presunto tale) di legno alla cui estermità era situata una gogna e dall'altra parte un argano con una corda. In mezzo c'era un supporto di legno, quasi uno sgabello fatto a forma di cassa. Mi stesero sul tavolo, appoggiandomi il sedere al supporto. Il mio corpo era leggermente arcuato verso l'alto, perchè il supporto mi alzava la zona del sedere. La gogna venne aperta: aveva tre buchi, dove vennero posizionati la mia testa e i mie polsi. Venne subito richiusa e bloccata con due lucchetti: così chiusa la mia testa e le mie mani non potevano più muoversi. Poi i miei piedi vennero avvicinati e le mie caviglie vennero legate insieme, con la corda collegata all'argano. "Bene, ora daremo una bella "tirata" alla slave. E' troppo piccola di statura... ah, ah, ah", disse sogghignando Master Vito. Ero nuda davanti a sette uomini, in una posizione decisamente scomoda e imbarazzante, con la figa in evidenza proiettata verso l'alto. Ai due capi del tavolo si posero due dei tre uomini che mi avevano portato lì: praticamente erano gli operai di Master Vito! "Vai con la corda", disse Master Vito e l'uomo addetto all'argano cominciò a girare una grande ruota collegata al rullo dove era posizionata la corda. Più girava quella ruota, più la corda si riavvolgeva e più i miei piedi venivano tirati verso l'argano. "Ahi, mi fate male", dissi io con voce decisa. La corda tirava i miei piedi verso l'argano, ma la mia testa e i miei posli erano bloccati dalla giogna. L'uomo dell'argano girava lentamente la ruota e il mio corpo si allungava... le mie mani e la mia testa erano ormai al limite della gogna e le mie gambe venivano allungate in una posizione molto dolorosa. Il mio corpo era arcuato e teso al tempo stesso come una corda di violino. Il dolore era fortissimo e io supplicai, questa volta con voce tremula, Master Vito: "Non ce la faccio più, mi fa malissimo questa corda. Sto provando un dolore tremendo". Poi mi misi a piangere. Master Vito, che probabilmente era anche un uomo buono, disse al suo operaio di smettere di riavvolgere la corda... anzi di svolgerla un po' per permettermi una posizione più comoda... Poi però, pensando forse di essere stato troppo magnanimo, invitò l'uomo dell'argano a ricominciare a riavvolgere la corda con colpi decisi, che si ripercuotevano sul mio povero corpo provato e dolorante. Era la tipica punizione che si usava durante l'Inquisizione. Riaprirono la gogna e liberarorono la mia testa e le mie mani e i miei piedi furono slegati. Mi misero in piedi, ma facevo fatica a restarci. Quasi svenivo per il dolore che avevo provato. Mi condussero poi sotto ad una corda con gancio fissata ad un verricello attaccato al soffitto. Mi alzarono le braccia, le legarono al gancio e iniizarono a sollevarmi. Il mio corpo "pendeva" dall'alto, ma, fino a quando i miei piedi poterono toccare il pavimento, il dolore non era tanto. Quando però i miei piedi persero il contatto con il pavimento, tutto il peso del corpo si riversò sulle mie braccia. Tutti gli uomini presenti (tranne mio marito) si divertivano a farmi penzolare e si "palleggiavano" il mio corpo, facendomi dondolare in tutti i modi. Poi iniziarono a frustarmi, davanti sul seno, sulla pancia e sulla figa e dietro sulla schiena e sul culo. In poco tempo diventai rossa per le frustate ricevute e in qualche caso affiorò dalla pelle lesa anche il sangue. Il dolore era veramente tanto. L'unica cosa che mi era permessa era... piangere. E il mio pianto e la mia disperazione erano gioia per quegli uomini senza cuore. Mi riportarono a terra, mi slegarono e poco dopo mi venne chiesto di fare pipì in un grosso recipiente metallico: io provai ad accovacciarmi sopra al recipiente, ma riuscii a fare solo qualche goccia di pipì. “Non ti preoccupare se non riesci a pisciare. la tua sete sarà soddisfatta dai miei amici. Loro pisceranno per te e tu potrai bere la loro calda urina”, disse Master Vito. A queste parole i tre amici tirarono fuori i loro uccelli e si avvicendarono davanti al recipiente, colmandolo fino all’orlo di urina calda e schifosa. “Ora Sonia inginocchiati davanti a me e ringrazia per il trattamento particolare che ti abbiamo riservato. Non capita tutti i giorni ad una donna il privilegio di bere piscia appena fatta! Quando avrai finito la tua bevuta, dovrai dire – grazie Padrone, mi sono dissetata –“. Mi misi in ginocchio e portai il recipiente alle labbra. L’urina aveva un odore schifoso e poi era veramente calda! Visto che non mi accingevo a berla, due uomini mi aiutarono nella cosa, schiaffeggiandomi il viso a turno. Bevvi tutto e mi venne un senso di vomito. Poi dissi: “Grazie Padrone, mi sono dissetata”. A quel punto mi sollevarono e mi misero su un altro tavolo di legno grezzo, che aveva anch’esso una gogna ad una estremità. La mia testa e i miei polsi vennero bloccati dalla gogna, mentre le mie gambe vennero divaricate e alzate in modo innaturale. Mi allargarono tanto le gambe, che avevo la sensazione che volessero spaccarmele. La mia figa non potè altro che mostrarsi in tutta la sua nudità. Mi legarono le gambe in alto, a ganci che pendevano dal soffitto. Mi bendarono per non farmi vedere a quale sofferenza sarei stata sottoposta. Poco dopo sentii un grosso oggetto (un bastone, credo) che entrava nella mia figa, dilatandola a dismisura. Mi fece molto male e gridai il mio dolore, ma nessuno venne in mio aiuto. Capii poi dal rumore che il bastone era collegato ad una macchina che ritmicamente lo faceva penetrare ed uscire dalla mia figa. Era giusta la profondità dell’innesto, ma i problemi derivavano dalla sezione smisurata del bastone, smisurata anche per una come me che non ha la figa stretta. Quando smisero con quell’attrezzo, il mio corpo, arrossato e anche sanguinante per le frustate ricevute prima, venne coperto dalla cera calda. La cera mi ricoprì le tette, la pancia e la figa, penetrando anche nel buco semiaperto. Non potevo però chiudere le gambe e dovetti subire anche quell’ennesima tortura. Mi sbendarono e io vidi che nella stanza erano entrati altri quattro uomini: davanti a me c’erano Master Vito, George, Frank, mio marito e altri sette “operai”. Ben undici uomini per una donna sola! Mi slegarono le gambe e io potei rilassarmi, riportandole in una posizione naturale. George, osservando le piante sporche dei miei piedi, disse rivolto al Master: “Signore, mi permetta di farle osservare che questa lurida cagna ha i piedi sporchi al suo cospetto. E’ inaudito… è una grave mancanza di rispetto verso di lei”. E come potevo avere i piedi puliti, dopo che avevo dovuto camminare scalza lungo tutto il viale che conduceva alla villa? “Hai ragione, George. Giusta osservazione. Ora tutti voi sputerete sulle piante di questa schifosa schiava e il marito le pulirà con la lingua”, disse ridendo Master Vito. A quelle parole mio marito inorridì e si rifiutò di fare quello che gli era stato richiesto: a lui piaceva molto leccare i miei piedi, ma sono quando erano puliti! Mario fu preso a forza, spogliato di tutti gli indumenti e gli venne messo un collare al collo con relativo guinzaglio. “Ma non potete fare questo”, urlava il poveretto, ma gli uomini che gli stavano sopra non gli dettero scampo e lui fu denudato in poco tempo. Fu poi tirato con il collare davanti ai miei piedi e lì dovette ripulirmeli con la lingua. Ogni tanto si ritraeva, ma mani ferme di quei nerboruti uomini lo convincevano a riprendere il lavoro. Alla fine le mie piante tornarono quasi pulite e mio marito venne costretto a stare a quattro zampe in un angolo. Io venni pervasa da un senso di rivincita nei suoi confronti, visto che tutto quello che pativo lo dovevo alla sua mente malata che vedeva in me solo una slave e non una moglie da accarezzare e difendere. Io venni ripulita senza tanti complimenti dalla cera e mi fu messo un collare con guinzaglio. Mi fecero mettere a quattro zampe e mi tirarono a "spasso" per tutta la stanza, facendomi fare ripetuti giri. Mi facevano male le ginocchia, ma se mi lamentavo ricevevo bacchettate sulla schiena e sull culo. Mi fecero mangiare da una ciotola una specie di budino, mentre i presenti si divertivano a vedere che un essere umano veniva trattato in quel modo. Poi Master Vito disse: "Carissimi, è inutiile nascondere che Sonia è una gran vacca, un essere spregevole che merita solo punizioni corporali... Ma anche una lurida cagna merita qualche momento di svago ed è per questo che vi voglio invitare a scoparla. Potete scoparla nella figa, ma se vorrete Sonia è anche disposta a darvi il culo. Vi farà tutti i pompini che vorrete, ma in cambio dovrete pur darle qualcosa... Le darete la vostra sborra sul viso e in bocca, così potrà assaporarla". Mi misero un attrezzo metallico in bocca, che mi impediva di chiuderla. Poi iniziò la danza del sesso e la mia figa venne sfondata in mille modi. Dolore e goia, nello stesso tempo, mi pervasero il corpo martoriato dalle precedenti umiliazioni subite. Mi misero alla pecorina e mi sfondarono l'ano, dilantandomi il buco. Ma non erano solo cazzi... anche qualche mano e relativo braccio vennero infilati nel mio culo. Mi aprirono come non mai, senza ritegno e senza pudore. Provai un grande dolore, nell'essere aperta come un frutto maturo. Qualcuno infilò la sua mano anche nella mia povera e slabbrata figa, che, pur bagnatissima ed eccitata, non ne poteva proprio più! Quando il porco di turno aveva finito di scoparmi davanti e dietro, mi metteva in bocca l'uccello, facendomi "assaporare" il gusto della mia figa e del mio culo. Qualcuno mi venne in bocca e io ingoiai il suo caldo sperma. qualcuno mi venne in viso e sui capelli, riducendomi ad una maschera di sborra. Vi confesso che la sborra che ricevetti in viso era tanta, da impedirmi di aprire gli occhi! Non potevo pulirmi, perchè durante le operazioni sopra descritte ero sempre bloccata e trattenuta per le gambe o le braccia da qualche gentile amico. Ricevetti anche qualche sputo in viso e in bocca, ma ormai non facevo più caso a niente. Quando tutto fu finito, Master Vito mi pose gentilmente sul pavimento... mi afferrò per i capelli e usò il mio viso e i mie capelli come straccio per il pavimento. Certo qualche goccia di sborra era caduta sul prezioso pavimento di Villa Ubbidienza e io dovevo pur pulirla. "Abbiamo finito, troia. Sei stata abbastanza brava, hai sopportato bene tutto quello che ti abbiamo fatto, ma pensa che conosciamo altre mille tecniche di sottomissione e tu potresti essere la prescelta in futuro. Ah, ah, ah", disse Master Vito. Ero stesa a terra e per salutarmi i dieci amici mi diedero calci nella pancia e nei fianchi. Qualcuno si tolse le scarpe e le calze e mi obbligò a leccargli i piedi puzzolenti e sudati. Io lo feci senza fiatare... dopo tutto quello che avevo subito non era certo la cosa più sconvolgente del mondo! Master Vito mi infilò nella figa e nel culo un grosso plug a "due posti", affinché i mie buchi rimanessero aperti e in tensione; lo legò con appositi laccetti ai miei fianchi perchè non cadesse durante il tragitto verso casa e mi diede un bacio con la lingua. Mio marito assistette senza parlare alle mie effusioni con Master Vito, del quale forse mi sono innamorata. Mario si rivestì a sua volta. Non mi venne restituita la biancheria intima, mentre mi rimisi la camicetta e la gonna. Non avevo più le calze che erano state distrutte alcune ore prima e dovetti ritornare scalza fino al cancello d'entrata. La pioggia non smetteva di cadere, ma ora avevo l'ombrello per ripararmi. Le mie scarpe erano state buttate nel prato che costeggiava il viale d'ingresso alla villa e io e Mario le ricercammo nel buio più fitto, ma non le trovammo. Ritornai a piedi nudi a casa, ma non me ne importò niente. Ritornare a casa dopo quell'inferno era per me una grande cosa. Una volta entrata in casa, chiesi a Mario: "Quando mi riporti a Villa Ubbidienza?". Lui rimase basito da quella mia domanda... non aveva capito che tutto sommato avevo goduto come una porca! 15424 1 12 years ago
- 10 years ago Il provino Avevo diciassette anni quando lessi su un giornale il seguente annuncio: "Si cerca ragazza maggiorenne per comparsa in film romantico ambientato a Milano. Richiesta giovane età (max 25 anni) e bella presenza. Compenso adeguato in base al tempo di ripresa. Studio di ripresa in zona Stazione Centrale". Seguiva il numero di telefono. Io non avevo ancora compiuto la maggiore età, ma volli tentare lo stesso e telefonai al numero indicato. Mi rispose una voce maschile: "Sì stiamo cercando una ragazza per un film romantico, che deve essere acqua e sapone... la ragazza della porta accanto, insomma. Il ruolo non è molto impegnativo, ma molto istintivo! Bisogna essere portate per questo ruolo, pur non essendo necessariamente attrici e pur non conoscendo tecniche di dizione". Fissai all'appuntamento e mi presentai con Sandro, un mio grande amico. Arrivammo allo studio, che dall'esterno non aveva un'aria molto rassicurante. Ci fecero entrare e ci fecero accomodare in un salotto un po' squallido, in attesa del produttore. Il produttore arrivò quindici minuti dopo e si scusò per essere arrivato in ritardo; poi iniziò a farmi domande: "Come si chiama signorina? Quanti anni ha? Le piace il cinema? Vuole fare l'attrice per gioco o per una futura professione?". Io risposi che avevo diciannove anni, che facevo quel provino per raccimolare i soldi della vacanza estiva e che il cinema era sempre stato la mia passione, fin da piccola. "Bene questo è il suo ruolo! Lei mi sembra proprio adatta a fare la comparsa. E' una ragazza piacente, acqua e sapone, con un viso innocente. Lei è proprio la ragazza che cerchiamo", incalzò il produttore. Io ero vestita con una camicetta fasciante di colore azzurro, gonna abbastanza corta blu, calze azzurre e scarpe tipo "ballerine" nere. Sotto non avevo messo il reggiseno, per evidenziare le forme delle mie tette sode e completava il mio abbigliamento uno slip nero di pizzo. Il produttore mi fece avvicinare a lui e mi disse: "Devo esaminare il suo corpo, anche se vedo che lei è una bella ragazza. Tutte le attrici devono essere viste da vicino dal loro produttore. E' per stabilire un feeling tra datore di lavoro e attrice. Se vuole lui può rimanere". Sì lui può rimanere dissi io, indicando Sandro. Io non avevo capito bene quale era il mio ruolo in quel film, ma avevo capito che mi voleva toccare e non ebbi il coraggio di rifiutarmi, visto che tenevo molto a quei soldi, che mi sarebbero serviti per andare in vacanza. Il produttore aggiunse: Io mi chiamo Enrico, diamoci del tu ed entriamo un po' in confidenza. Fammi sentire il tuo seno". Enrico iniziò ad accarezzarmi il seno e i miei giovani capezzoli, sentendosi accarezzati, si irrigidirono e divennero turgidi, facendosi notare da sotto la camicetta. Lui disse che gli piaceva il fatto che io fossi così sensibile alle carezze di un uomo quasi maturo e fece per sollevarmi la gonna. "No, non può farlo, signore", dissi io. Lui rispose che era necessario e io acconsentii alla sua richiesta, Mi sollevò la corta gonna dietro, lasciandomi il culetto con le calze, ma scoperto. "Bel culo, ragazza! Complimenti... si proprio un bel culo! Sodo al punto giusto e poi tu hai solo diciannove anni...", disse Enrico. Guardai Sandro che seguiva attentamente le mosse di Enrico, quasi fosse un cane da guardia. Enrico continuava nel suo ruolo di produttore-esploratore: mi slacciò lentamente la camicetta e ispezionò con le mani il mio seno. Io ero confusa, non sapevo se permettere a quell'uomo di accarezzarmi o dargli uno schiaffo ed allontanarlo da me. Optai per la prima scelta, lui continuò a toccarmi, palparmi, strizzarmi i capezzoli e ad un certo punto mi disse: "Complimeti Sonia, hai proprio dei bei foruncolini. Lascia che te li lecchi". Io annuii con il capo e mi ritrovai con la sua lingua sui miei seni. Mi leccava insistentemente e tirava i miei capezzoli con i denti. Io godevo per quel trattamento inaspettato, ma sicuramente piacevole. Guardai di sfuggita Sandro e vidi che qualcosa si era gonfiato sotto i suoi pantaloni. Anche lui si stava eccitando, ma non lo voleva dare a vedere. Poi il produttore mi disse: "Dai, ora togliti la gonna". Io feci quello che mi fu richiesto, ma senza togliere le scarpe, che interferirono con la discesa della gonna. Io ho sempre pensato di avere dei brutti piedi e proprio i piedi sono sempre stati per me motivo di complesso; per questo non volevo togliere le scarpe, ma Enrico mi apostrofò in modo secco: "Ma non hai grazia... che casino stai facendo... non puoi togliere la gonna senza togliere prima le scarpe! Via le scarpe! E poi sfila la gonna, senza farmi perdere la pazienza... Non ho tempo da perdere io, sono un produttore e devo provinare ancora molte donne oggi". Io mi levai le scarpe e subito dopo la gonna. Enrico mi chiese poi di levarmi la camicetta ed io eseguii il suo ordine, senza farmi pregare. Ero rimasta con le calze e le mutandine. Poco dopo giunse un altro ordine perentorio dal produttore: "Togliti tutto, ormai non hai altra scelta". In effetti la scelta l'avevo: avrei potuto rivestirmi ed andare via, sbattendo magari la porta. Sentivo gli sguardi di Enrico e Sandro, che scrutavano palmo a palmo il mio corpo di giovane donna. Ero eccitata, a tal punto che quando Enrico mi passò ripetutamente il dito in mezzo alla figa, sentì che ero completamente bagnata. La mia figa era diventata un lago! Probabilmente mi ero bagnata anche la parte superiore delle gambe... la mia figa colava come non mai. "Va bene, a questo punto chiamo Rocco e il cineoperatore e tu mi fai vedere che cosa sai fare. Devi farti scopare senza fiatare, fare pompini e baciare in modo appassionato", disse il produttore. "Ma che razza di film è?", ribattei io. Lui sorrise, dicendo che era impossibile che non avessi ancora capito di che film si trattava: era un film porno, in cui io avevo la parte della ragazza della porta accanto, acqua e sapone, ma tanto, tanto porca. Insomma una ragazza aperta a tutte le esperienze! Enrico aggiunse anche che il mio cachet era alto e dovevo meritarmelo. Io avevo un tremendo bisogno di quei soldi e accettai la cosa, senza ribattere. Lui telefonò a Rocco (non Siffredi, purtroppo) e poi mi portò in braccio in un'altra stanza, seguito dal fido Sandro. Mi stese su un letto e mi disse che attendevamo l'arrivo di Rocco, l'attore principale, e del cineoperatore. Poco dopo i due uomini arrivarono. Rocco si spogliò in modo veloce, mostrando un fisico perfetto e prestante. Ora io ero nuda davanti a quatro uomini: Enrico, Sandro, Rocco e il cineoperatore. Rocco mi baciò ripetutamente e io sentivo la sua lingua che si avvinghiava alla mia, producendomi un piacere sfrenato. Poi Rocco mi mise a pecorina e mi infilò il suo lungo uccello, senza tanti complimenti. La mia figa era aperta e vogliosa e non offrì alcuna resistenza. Mi pompò per parecchio tempo, facendomi dondolare in avanti e indietro le tette penzolanti. Fu una cosa sconvolgente, che io alla mia verde età non avevo mai provato. Poi Rocco si fece fare un lungo pompino e mi fece i complimenti, dicendomi: "Brava Sonia, sei molto brava con la bocca. Davvero un bel pompino! E poi sai ingoiare interamente anche un uccello lungo come il mio. Non soffocarti però!". A me era venuta un po' di tosse, perchè quell'uccello lungo e duro mi era arrivato fino in gola. Sputai un po' di saliva e tutto passò in fretta. Rocco mi scopò ancora in diverse posizioni e io raggiunsi più di un orgasmo. La mia figa era squassata dai quei colpi forti e decisi, ma io ero tremendamente contenta di quell'esperienza. Venivo sbattuta davanti a quattro uomini. Ero diventata improvvisamente una puttana! Poi il produttore mi disse: "Ora dovrai dare il culo a Rocco, che ti sfonderà senza pietà". "Ma io non ho mai avuto rapporti anali! No, non posso... il culo no! Accontentati della mia figa, delle mie tette, della mia bocca... Il culo no!", dissi io, supplicando il produttore. Lui insistette e io alla fine acconsentii. Mi sarei fatta sfondare il culo per un pugno di soldi. Rocco mi fece penetrare molto gel nel buco del culo, dicendomi che quel gel avrebbe aiutato l'introduzione del pene. Poi provò ad appoggiare il suo uccello al mio buco: che sproporzione, un buchetto stretto e quasi chiuso contro un uccello di grossa sezione e per di più lungo come una bottoglia di Coca Cola! Rocco appoggiò la sua cappella al mio buco... premette... premette... ma il mio buco non si spalancò"! "Enrico non c'è niente da fare, non posso inculare questa ragazza. Il suo buco è vergine e troppo stretto, se spingo rischio di mandarla al Pronto Soccorso. Non posso sfondarla!", disse Rocco. Enrico era sconsolato, ma anche scocciato per aver perso inutilmente tempo con me. "Sonia avevi ben letto che dovevi avere rapporti anali. Era inutile che ti presentavi qui, se non avevi mai provato a farti sfondare il culo. Ora dovrai risarcirmi i danni per questo incidente di percorso", disse adirato Enrico. In effetti sull'annuncio non appariva una parola circa il ruolo dell'attrice, ne tantomeno che doveva essere scopata e sfondata analmente. Avevo però capito che cosa voleva Enrico e mi concedetti a lui e poi al suo cineoperatore. Mi scoparono a loro piacimento, in tutte le posizioni possibili, lasciandomi sfinita per quel duro lavoro. L'unico che non partecipò al gioco fu il mio grande amico Sandro: lui quel giorno fu solo uno spettatore in prima fila e si accontentò, alla fine, di farsi una sega e venirmi sul seno. Grande Sandro, grazie di esistere. 27869 0 12 years ago
- 10 years ago Il fotografo Mi piace tantissimo essere fotografata, ma avevo voglia di foto artistiche e non usuali come quelle che fa sempre mio marito. E' per questo che mi sono recata in uno studio fortografico specializzato in foto artistiche; quando arrivo suono il campanello e viene ad aprirmi un distinto signore di mezza età. Mi chiede che tipo di foto voglio e io preciso subito che desidero foto vestita, seminuda e anche completamente nuda, per dar modo all'obiettivo della macchina fotografica di immortalare ogni parte del mio corpo. L'appuntamento viene fissato per il martedì seguente alle ore sedici. Alla mattina del giorno stabiliito mi reco dalla parrucchiera per dare un'aggiustatina ai capelli e poi passo in un centro estetico per depilarmi le ascelle e la zona del pube: questa volta i peli devono essere tassativamente banditi dalle foto e il mio corpo deve risultare liscio e vellutato! Al pomeriggio, puntuale come un orologio svizzero, con un meraviglioso abito lungo, scarpe adeguate e biancheria di pizzo raggiungo lo studio fotografico. Dopo i prini convenevoli, vengo fatta accomodare in una stanza dove al centro troneggia un grande letto, fianchegggiato da vari specchi e poltrone in stile. Ci sono anche diverse lampade, che poi verranno accese all'occorrenza. Iniziamo con foto soft, per poi passare a quelle un po' più impegnative. "Scopra la spalla, tiri leggermente fuori la gamba, slacci il cinturino delle scarpe, abbassi le mutandine senza mostrare nulla", sono alcune delle frasi pronunciate dal valente fotografo. Le pose sono molto belle e io già pregusto il risultato finale del servizio. Quelle di nudo invece sono più "volgari", ma mi mettono in corpo una grande eccitazione, specialmente quando l'obiettivo ispeziona le mie parti intime. Dopo più di tre ore di lavoro, il servizio è finito e io chiedo quanto devo pagare. "Sono seicentomila lire, signora", mi dice affabilmente il fotografo. "Seicentomila lire?", replicò io. Faccio notare che io ho solo duecentomila lire e in più faccio osservare che quella cifra è impensabile per una casalinga come me, che per di più ha fatto tutto di nascosto dal marito, perchè assalita da una gran voglia di ben figurare. "Signora, non sono affari miei... io sono un fotografo professionista affermato, ho lavorato per tre ore producendo centinaia di scatti... la cosa non mi interessa proprio. Lei mi deve dare seicentomila lire! Punto e basta", dice con tono secco e risoluto il fotografo. "Mi aiuti, la prego, troviamo una soluzione al problema", ribatto io. "E va bene, ora telefono al mio amico e sento se ha bisogno di una come lei", dice con voce più dolce il titolare dello studio. Poi telefona ad un certo Dario, spiegando la situazione: "La signora deve necessariamente procurarsi quattrocentomila lire! E' debitrice verso di me di questa cifra". Poco dopo chiude la telefonata e mi dice che sono molto fortunata, grazie al mio aspetto piacente e gradevole. "Gentile signora, lei andrà dal mio amico Dario, proprietario di un club privè a Milano, e si metterà a sua disposizione per una festa privata che si terrà sabato prossimo nel suo locale. Non potrà opporre resistenza alcuna e dovrà soddisfare i capricci dei suoi agiati clienti. Potranno anche chiederle prestazioni sessuali, alle quali lei non potrà assolutamente sottrarsi. E' contenta, signora, vede che abbiamo sistemato la cosa?", mi dice il fotografo, sogghignando. Io ho dovuto accettare, visto che non avevo altra soluzione per raccimolare i soldi mancanti. Al sabato invento una scusa a Mario, mio marito, dicendogli che dovevo accompagnare mia madre a teatro, ben sapendo che lui non sarebbe mai venuto, visti i rapporti tesi che intrattiene con sua suocera. "Ciao amore, tornerò un po' tardi, perchè dopo il teatro mia madre vuole incontrarsi con qualche sua amica", dico a mio marito mentre sto per uscire di casa. E invece mi dirigo, con grande ansia, al club privè. Appena suono, la porta si spalanca e Dario mi viene ad aprire, qualificandosi per il proprietario del locale. Mi fa molti complimenti, sia per la mia persona, che per il mio elegante abito e poi mi dice che dovrò essere bendata per non riconoscere in alcun modo i suoi clienti. Io accetto e vengo bendata. Così privata della vista, mi accompagnano due baldi giovani nella discesa di una scala. I miei "collaboratori" mi conducono a quello che poi si rivela un grande letto matrimoniale. Mi stendo sul letto e poi mi abbandonano lì da sola. Dopo qualche minuto si apre una porta e capisco che comincia ad entrare gente. Parecchia gente che poi si disporrà ai bordi del letto. Riconosco la voce di Dario che dice: Ecco signori e signore, Sonia ha voluto essere tra noi questa sera per farci divertire. Come vedete è una donna interessante e quel che più conta è una persona disposta a tutto. Lei non lo fa per soldi (Pinocchio, quel Dario), ma solo per piacere. E' tutta vostra, si dia il via ai giochi!". Io tremo al pensiero di quello che succederà, ma non ho neanche il tempo di pensare che una mano, molto gentile, entra nel mio vestito, dirigendosi sul mio seno. Dapprima mi accarezza la tetta sul reggiseno e poi entra e mi afferra il capezzolo. Non lo stringe però tanto e io emetto solo un sussulto; successivamente la stessa mano mi alza la gonna e raggiunge le mie mutandine, accarezzandole dall'esterno. E' una mano piccola e delicata e io capisco che si tratta della mano di una donna: sono allibita perchè pensavo che i privè fossero luoghi dedicati ai soli maschi. Poi una mano sicuramente maschile mi slaccia il cinturino di una scarpa e me la toglie; sento che il mio piede viene portato alla bocca dello sconosciuto che lo bacia avidamente. Poi mi strappa la calza in corrispondenza del piede e mi lecca minuziosamente tutto il piede ormai nudo. Ora sul mio corpo ci sono tante mani, maschili e femminili, che mi toccano tutto dal seno alla figa, ma il vestito mi fa ancora da corazza. Vengo girata a pancia in giù e una mano si avventa sulla zip del vestito, abbassandola totalmente; il vestito mi viene sfilato e ora io mostro la mia biancheria intima e le mie autoreggenti. Un'altra mano mi toglie la scarpa rimasta e mi sfila delicatamente la calza, mentre una mano secca e rozza mi sfila l'altra calza strappata. Vengo girata a pancia in su e mi viene totlto il reggiseno. Una bocca si avvicina al mio seno e comincia a leccarmelo: è una bocca femminile, che ben presto si "trasferirà" sulla mie labbra. Sento la lingua della donna che vuole entrare nella mia bocca e io la spalanco per un bacio appassionato; non ho mai avuto rapporti lesbici, ma la cosa non è affatto sgradevole. Qualcuno mi toglie le mutandine, qualcun altro mi accarezza il pube liscio e vellutato e qualcun altro ancora fa commenti del tipo: "Ha proprio una bella figa... aspetta solo il nostro cazzo!". Mi viene infilato nella figa un grosso cazzo di plastica che poi capisco avere un "gemello" dall'altra estremità: era praticamente un fallo doppio che viene gestito da due donne contemporaneamente. Io non vedo la donna che sta dall'altra parte, ma sento distintamente i colpi quando lei spinge con la sua figa il fallo che ha dentro. Vengo così scopata da una sconosciuta. Poi qualcuno mi apre le dita dei piedi e mi lecca i piedi con grande slancio. A me piace molto farmi leccare i piedi e la cosa mi fa enorme piacere; poi però le dita dei miei piedi vengono portate indietro, come per stringerle in una morsa e i mie calcagni vengono bloccati da altre mani. Che cosa mi succederà? Poco dopo sento un bruciore sulla pianta di un piede... emetto delle urla... sì, mi stanno bruciando la pianta con una sigaretta accesa. Ridono, i porci, ridono e mi sbeffeggiano con frasi poco carine: "Cagna, non ti lamentare... sei tutta nostra questa sera... devi solo subire... subire e stare zitta... zitta, puttana". Poi ricevo bruciature anche sull'altro piede e il dolore si fa sentire. Nessuna parte delle piante dei piedi viene risparmiata: sotto le dita, sull'arco plantare e sul tallone la sigaretta accesa produce i suoi effetti deleteri. Intanto qualcuno mi strizza i capezzoli con un arnese metallico, che credo fosse una tenaglia. Altro dolore, ma non è tutto, perchè nell'arco della serata dovrò ancora soffrire molto. Ad un certo punto un grosso cazzo mi penetra nella figa, squassandomela, e contemporaneamente sento delle belle tette a contatto con le mie: probabilmente si trattava di un trans, ma la verità non la saprò mai. Comunque quella persona sapeva il fatto suo e mi ha fatto godere non poco con colpi di cazzo decisi e ben assestati. Io in quel momento godevo come una cagna in calore! Poi una raffica di uccelli mi pompano nella figa, mentre altri preferiscono il mio culo. Un uccello dopo l'altro davanti e poi ad un certo punto anche dietro: una doppia penetrazione, che continua per diverso tempo. Quando esce un uccello dalla figa, lo stesso viene subito rimpiazzato e così anche per il mio lato B. Insomma molte, molte doppie penetrazioni che non mi danno tregua. Poi è la volta della mia bocca, che mi viene spalancata e diventa una sorte di discarica di sborra: dieci o forse venti uomini hanno scaricato nella mia bocca il loro caldo tributo, che io ho ingoiato senza alcuna opposizione. Mi sentivo umiliata e offesa, stavo per essere trattata come uno straccio da latrina, senza alcun rispetto per la mia persona. Ero totalmente sottomessa ai loro voleri. Ad un certo punto tutti hanno smesso, come per incanto, di "occuparsi" di me. Niente mani, niente sfondamenti, niente versamenti di sperma, niente di niente! Io ero stesa sul letto, nuda e sentivo tante persone che bisbigliavano ai lati del letto. Ruppe il silenzio una voce dallo spiccato accento francese: "Tu sei il nostro giocattolo e noi abbiamo diritto di divertirci con te! Tu sei la nostra bambola e alle bambole a volte si vuole bene, a volte no". Ancora qualche minuto di silenzio, un tempo che mi raggelò. Non sapevo che cosa stava per accadere. Improvvisamente sentii un ago penetrare nel mio capezzolo. La sua punta premeva sul mio tenero capezzolo, che si spostava per rifiutare a quel corpo estraneo di penetrarlo... ma non più di tanto, perchè alla fine dovette cedere e fu trafitto da parte a parte. Urlai per il dolore. Sentii una voce che diceva: "E uno!". E contarono fino a dodici. Subito mi venne alla mente quel gioco che facevo con mio marito, che mi infilava ben sei aghi nel capezzolo, quattro a formare intorno un quadrato e due direttamente dentro il bottoncino. Il primo ago è doloroso, ma più ne vengono infilati e più il dolore aumenta, perchè come dicevo il capezzolo si sposta leggermente durante l'infilamento dell'ago e gli aghi già infilati lo seguono nel suo piccolo spostamento. Mio marito usa aghi dalla punta di plastica, lunghi qualche centimetro e questi mi sembravano proprio dello stesso tipo! Mah! Provai un dolore atroce quando i sei aghi furono infilati tutti nel capezzolo e poi qualcuno pensò bene di riservare lo stesso trattamento all capezzolo dell'altro seno. Per fortuna qualcuno penso anche a me, leccandomi la figa fuori e dentro e facendomi raggiungere l'ennesimo orgasmo. Mi agitavo come una biscia, perchè provo un intenso piacere a farmi leccare le labbra e l'interno della fighetta. Mi leccarono per bene anche tutto il buco dell'ano e mi introdussero diverse dita al suo interno. Piacere e dolore si fondevano insieme, in un'orgia dai contorni non più delimitati. Ma dopo il piacere, torna il dolore, questa volta sotto forma di bruciature di sigaretta sul seno, che rimase deturpato per alcuni giorni. Una sofferenza tremenda provai quella sera, perchè anche se la sigaretta viene appena appoggiata, la tenera pelle del seno si segna subito. A quel punto mi fecero scendere dal letto e dovetti fare un pompino a diversi uomini. Mentre spompinavo, c'era sempre qualcuno che mi premeva contro l'uccello di turno, facendomi sentire quasi soffocata da quelli più grossi e lunghi. E lì di grossi ce ne erano davvero tanti. Erano passate le ore, tra godimento e dolore, e sentii la voce del proprietario: "Signori, vi siete divertiti? Sonia è proprio una lurida e schifosa schiava, si concede a tutti e vi concede tutto. Guardate come l'avete ridotta! Una lavatina se la merita? Chi deve fare pipì, la può fare su Sonia! Così va a casa pulita e lavata per bene...". Un'altra umiliazione mi attendeva. Qualcuno mi fece la pipì addosso, lavandomi tutto il corpo, ma qualcuno pretese che io ingoiassi quella pioggia dorata. E io lo feci. Ero stata sottomessa, umiliata, sfondata davanti e dietro, avevo i piedi e i seni bruciacchiati e i capezzoli trafitti, avevo subito tante angherie di tutti i tipi... ero divenuta una donna oggetto. Telefonai ad un'amica, malgrado fosse notte fonda, e le chiesi di fare una doccia a casa sua prima di tornare da mio marito, almeno per salvare le apparenze. Ero stremata, ma avevo pagato il mio debito di vanità. Non feci l'amore con Mario per alcuni giorni, al fine di far guarire completamente i seni. Trovai però un biglietto da visita di quel club privè nella tasca interna della giacca di mio marito e mi venne un atroce dubbio: e se quella sera ci fosse stato anche lui a quella festa? 10858 1 12 years ago
- 10 years ago La giusta punizione Purtroppo anche una moglie fedele come me può cadere in tentazione e cedere alle lusinghe di un uomo giovane e attraente. Ero andata in un negozio di calzature del centro città per acquistare un nuovo paio di decolletè nere con tacco 12. Entrai nel negozio e poco dopo si avvicinò un giovane commesso, che mi chiese in che cosa poteva essermi utile. Lì per lì volevo rispondere che poteva essermi molto utile a letto, ma mi comportai da brava quarantenne e chiesi di provare qualche paio di scarpe. Al terzo paio trovai le scarpe che cercavo, ma non nel colore che volevo. "Non si preoccupi, signora. Tra qualche giorno mi arrivano e se mi lascia il suo indirizzo glele faccio recapitare direttamente a casa", mi disse il titolare del negozio. Pagai, lasciai l'indirizzo e il numero di telefono. Puntualmente qualche giorno dopo squillò il telefono e il titolare del negozio di calzature mi comunicò che le scarpe che avevo scelto erano arrivate. Me le avrebbe portate a casa il commesso... e io inizia a fantasticare! Il giorno pattuito per la consegna cercai di rendermi attraente con calze nere autoreggenti, biancheria intima nera e un vestitino attillato che metteva in mostra le mie forme. Ciabattine dal tacco alto completavano il mio abbigliamento. Quando il campanello suonò, avevo il cuore in gola. Avevo una voglia pazza di stuzzicare quel giovane commesso. Lui mi disse che era meglio provare quelle scarpe e io mi sedetti sul divano. Quel giovane bello e aitante mi infilò le decolletè, che mi stavano alla perfezione. Mentre lui mi infilava le scarpe, io cercai di aprire le gambe per cercare di interessarlo. Il commesso iniziò ad accarezzarmi le gambe, salendo con le mani fino alle mie mutandine: poi la sua mano finì nei miei slip e lui si accorse del mio stato di eccitamento. Ci spogliammo a vicenda e in pochi minuti finimmo a letto. Lui era veramente uno stallone, mi faceva impazzire di piacere, un piacere che io non avevo mai provato nei rapporti monotoni e usuali che avevo con mio marito. Lui era sopra di me, mi teneva le gambe sollevate ed allargate e mi dava con il suo uccello colpi decisi nella figa. Io gemevo, mi agitavo e godevo come una pazza. La sfortuna volle che in quel momento la serratura della porta d'entrata si mise... in movimento! Era ritornato improvvisamente Mario, mio marito, colpito da un tremendo mal di testa. Attirato dai miei gemiti si precipitò in camera da letto e potè "gustarsi" quello che per lui non doveva essere un grande spettacolo. Sua moglie a letto con uno sconosciuto! Uscì precipitosamente e non ritornò più fino alle cinque del pomeriggio. Il giovane commesso, spaventato ed atterrito, uscì dall'appartamento altrettanto di fretta, lasciandomi con un orgasmo a metà. Quando mio marito ritornò non proferì molte parola, se non una lapidaria frase: "Se vuoi essere perdonata, devi essere punita e purificata". Aprrezzai la rima, ma fui sconvolta da quelle parole. Risposi di sì, che avrei fatto tutto quello che c'era da fare per essere perdonata. Lui prese un collare da cane con guinzaglio da una borsa di plastica e mi disse: "Spogliati troia, spogliati completamente che ora ti perdonerò". Io mi tolsi tutti gli indumenti, rimanendo con le sole ciabatte. Lui mi fece togliere anche quelle e io rimasi completamente nuda di fronte a quello che io avevo da sempre considerato l'unico mio grande amore. Sì, l'unico uomo della mia vita, prima di quel maledetto pomeriggio in cui avevo provato nuove ed intense emozioni. Mi mise il collare, mi infilò le scarpe appena acquistate e mi disse di mettermi quel cappotto lungo nero che avevo nell'armadio. "Ma sono nuda, devo vestirmi... e poi a che cosa serve questo collare?", dissi a mio marito che mi fissava con uno sguardo pieno d'odio. "Sei solo una misera puttana e se vuoi il mio perdono... mettiti il cappotto, senza fare tante domande", replicò mio marito. Io infilai il cappotto, che abbottonai con meticolosità. Con il cappotto chiuso e le scarpe non ero poi così sconvolgente. L'unica cosa che stonava era la mancanza delle calze nella stagione fredda. Salimmo in auto e lui iniziò a guidare, dirigendosi verso un luogo a me sconosciuto. Dopo mezz'ora circa arrivammo ad un grosso cancello di ferro chiuso, sul quale era affisso un cartello. Dietro quel cancello si celava un demolitore di autovetture. Alla vista dell'auto di mio marito, il cancello si spalancò, segno evidente che in quel luogo era conosciuto. Mi fece scendere dall'auto e io cominciavo ad agitarmi, perchè presumevo che la cosa stava prendendo un cattivo verso per me; lui mi lasciò ferma in un angolo e parlò con quello che doveva essere il proprietario della demolizione. Tornò verso di me e mi disse con voce austera: "Togliti il cappotto, inizia il tuo percorso di purificazione". "Mario, ma sotto sono completamente nuda, non posso...", balbettai io. "Davanti a quel figlio di puttana non avevi tanti problemi... eri nuda e in più ti scopava alla grande. E allora, che cosa aspetti? Fai quello che ti dico", disse mio marito. Mi tolsi il cappotto e lui afferrò il guinzaglio che avevo al collo. Mi tirò per un bel pezzo di viale, ai cui lati c'erano centinaia di auto in demolizione. Da diversi punti uscivano operai che assistevano increduli al passaggio di quellla donna nuda ed indifesa. Mio marito invitava tutti quelli che vedeva a seguirci, in quanto tutti avrebbero potuto assistere allo spettacolo che stavo per dare senza pudore. Ad un certo punto mi fece levare le scarpe e mi fece proseguire a piedi nudi. Lì il terreno era particolarmente insidioso, perchè era dove le vetture venivano schiacciate dal "ragno", prima di essere inviate alla pressa. Il terreno era cosparso da tracce di benzina ed olio e da piccoli frammenti di vetro, che si appiccicavano alle mie piante. "Fermati Mario, mi fanno male i piedi. Ahi, fammi togliere le schegge di vetro dai miei piedi, ti supplico", dissi a mio marito. Ma lui imperterrito mi tirava con il guinzaglio, non interessandosi minimamente ai miei problemi. Finalmente, con i piedi doloranti e tremante per il freddo, arrivammo davanti ad una struttura tubolare di ferro. Era una specie di croce: mi fece allargare le braccia e me le legò alla struttura metallica. Mi legò ai polsi e subito sotto le ascelle e poi legò anche i miei piedi a quella croce improvvisata. Intanto davanti a noi si era formata una piccola schiera dii operai incuriositi da quella donna nuda con guinzaglio. Mio marito afferrò una mia tetta, la strinse e mi mise una fascetta di plastica a strappo alla base della tetta. Strinse la fascetta, facendomi "esplodere" la mammella verso l'esterno. Anche l'altro seno subì lo stesso trattamento. Schiaffeggiò le mie tette, che in pochissimo tempo diventarono rosse per il freddo, gli schiaffi e la legatura che non permetteva una circolazione del sangue adeguata. Prese un cannello con una fiamma e scaldò la punta di un coltellino: quando la punta fu ben calda si avvicinò alle mie tette, bruciando la mia tenera pelle. Scaldava e incideva le mie tette, che in poco tempo furono completamente martoriate e piene di taglietti dolorosissimi. Poi prese la canna dell'acqua e mi lavò con il getto a pressione, da capo a piedi, insistendo sulla mia figa. "No Mario, ti prego, smettila... non resisto... non mi hai abbastanza umiliata e torturata davanti a tutti questi uomini?", dissi a Mario. Lui rispose di no, che non era abbastanza e rivolgendosi agli operai spiegò loro che l'avevo tradito con un altro uomo. "Ragazzi è tutta vostra, pisciatele addosso e riempitele la bocca di sperma. Non merita altro questa troia. E' una lurida vacca", disse mio marito con aria estermamente cattiva. A quel punto dalle tute uscirono tanti uccelli e tante mani iniziarono la masturbazione. Io ero veramente disperata per quel trattamento che ritenevo spropositato rispetto a quello che avevo fatto: ma il peggio doveva ancora venire! Gli operai salirono ad uno ad uno su un muletto e quello alla guida li sollevava fino a portare il loro uccello all'altezza della mia bocca: io aprivo la bocca e loro mi pisciavano dentro o mi riempivano la bocca di sperma, a loro piacimento. L'urina tracimava dalla mia bocca, in quanto non riuscivo ad ingoiarla tutta, per tanta che era e il mio corpo era ormai lavato dalla loro pipì. Ho ingoiato anche una quantità industriale di sborra: sembrava non avessero mai eiaculato! Alla fine di quel trattamento mi sentivo umiliata e offesa da tutti quei baldi giovani. Ero sempre legata e non potevo assolutamente muovermi. Mio marito si avvicinò con delle grosse forbici e invitò tutti gli operai a tagliarmi i capelli, dicendo: "Ora le facciamo un bel taglio, visto che lei è molto orgogliosa dei suoi lunghi capelli castani. Ah, ah, ah". Loro non se lo fecero dire due volte e si avvicendarono al taglio, riducendo la mia testa in un modo pietoso. Alcuni tagliavano i miei capelli in corrispondenza della cute, altri solo la parte finale, ma in poco tempo le mie orecchie si scoprirono e io rimasi con una montagna di capelli ai miei piedi. Come ero ridotta... i miei lunghi capelli erano diventati "mozziconi" insignificanti. Mio marito pensò poi bene di radermi con un rasoio, al fine di farmi diventare completamente calva. Calva, nuda e con le tette martoriate. Non ero più una donna, ero diventata un mostro! Tutti risero di me, mio marito mi slegò e mi fece camminare, tirata dal guinzagliio, fino ad un capannone dove erano stivati ricambi di auto. I miei piedi tagliuzzati dai vetri lasciavano piccole macchie di sangue sul terreno, ma lui non se ne preoccupò minimamente. Giunti al capannone mi fece stendere su un tavolo e chiese ai ragazzi, che nel frattempo ci avevano seguito, di sollevarmi le gambe e di allargarmele. Due di loro eseguirono gli ordini di mio marito, che chiese anche la collaborazione di altri per tenermi ferma. Ero immobilizzata da forti mani, senza la minima possibilità di muovermi. Mario afferrò le labbra della mia figa e le perforò con un ago da entrambe le parti. L'ago era seguito da un filo che serviva... a chiudermi la figa. Insomma, se non avete capito, me la cucì tutta, infischiandosene delle mie urla disumane e del dolore fortissimo che questa operazione mi provocava. Alla fine la mia figa era completamente chiusa e lui, ridendo beffardamente, disse: "Ecco avete visto tutti che cosa ho fatto, così questa puttana non potrà più tradirmi. Se proprio vorrrà lo potrà prendere nel culo, visto che le piace tanto farsi sodomizzare!". Ringraziò tutti e mi fece risalire in macchina completamente nuda. Giunti in prossimità di casa mi ridiede il cappotto e le scarpe, che infilai immediatamente. Poi però davanti al portone di casa incontrai un vicino, che mi guardò stupito per la mia testa completamente calva. Per fortuna non chiese spiegazioni, anche perchè sarebbe stato troppo imbarazzante darne. A casa mio marito mi riaprì la figa e io feci una lunga doccia, calda questa volta, ristoratrice. Ero stata purificata, secondo lui. Il mio corpo era martoriato e portò i segni di questa lezione per giorni. Per i miei capelli ci volle più tempo, visto che la ricrescita fu lunga e lenta. Fu un'esperienza che non auguro a nessun essere umano. 25594 0 12 years ago
- 10 years ago Il gioiello nascosto Vacanze di Natale di parecchi anni fa a Vercelli. Io e una mia amica passeggiavamo per le vie luccicanti della città piemontese, ammirando le vetrine sfavillanti di un'Italia che allora non conosceva la profonda crisi di oggi. Ad un certo punto Maria, la mia amica, volle entrare in una gioielleria per chiedere le caratteristiche di un bellissimo orologio esposto in vetrina. Suonammo il campanello e un distinto signore ci aprì la porta. Maria fece domande sull'orologio che le interessava e successivamente lo acquistò con carta di credito. Il proprietario ci chiese se volevamo calendari dell'anno che si preparava a nascere dopo pochi giorni e noi dicemmo di sì. Andò nel retrobottega a prendere i calendari. Io vidi un bellissimo anello con una grossa pietra sfavillante "abbandonato" sul banco di vendita. Non riuscii a desistere dal prenderlo e, senza pensarci troppo, lo presi e me lo nascosi in un posto che ritenevo... il più sicuro della Terra! Maria vide quella mia repentina mossa e mi disse: "Ma sei pazza? Hai rubato l'anello?". Io risposi di sì a bassissima voce e lei si avviò verso la porta di uscita. Riuscì ad uscire, ma in quel momento il gioielliere tornò in negozio, attirato dal rumore della porta. Io tentai di fuggire, ma lui bloccò la porta, in quanto si era accorto della sparizione dell'anello. "Signorina, dove è finito l'anello?", mi disse. Io divenni rossa in volto e balbettai: "Di quale anello parla? Non capisco...". Lui ribattè in modo secco che l'anello era fino a pochi secondi sul bancone e che ora era misteriosamente sparito. "Dove è andata la sua amica? Come si chiama lei? Sicuramente è lei che ha rubato quel prezioso gioiello", incalzava l'uomo. Poi disse che avrebbe chiamato i Carabinieri e che loro sicuramente sarebbero stati in grado di farmi parlare. "No, la prego, non chiami i Carabinieri... Io sono una persona onesta... Come può pensare che io o la mia amica..." e qui la voce non mi usciva più, strozzata da un nodo che mi attanagliava la gola. "Ok, fanciulla, voglio crederti. Non chiamo le Forze dell'Ordine... chiamo i miei cugini che ti faranno una bella ispezione intima! Loro sanno come fare", disse il proprietario dellla gioielleria. Andò verso il telefono e dopo poco tornò, dicendomi che era tutto a posto. Passarono quindici minuti, eterni per me, rifugiata in un cantuccio del negozio. Quando suonarono alla porta mi si raggelò il sangue. Il gioielliere aprì ed entrarono nel negozio tre robusti omacci di mezza età. "Questa sgualdrina, o la sua lurida amica, ha rubato un anello. Pensate voi a lei e recuperatemi il gioiello, con qualsiasi mezzo, tanto la puttanella non si ribellerà... almeno che non voglia avere a che fare con i Carabnieri di questa bella città", disse ridendo il gioielliere. "Francesco, non ti preoccupare, la portiamo nel nostro casale in campagna e lì la faremo parlare... con qualsiasi mezzo... costi, quel che costi... E poi sarà un piacere per noi ispezionare una così bella ragazza!", disse il più vecchio dei tre. Mi bendarono e mi legarono le mani con una robusta corda, che mi procurava dolore ai polsi. Uno di loro mi caricò sulle sue spalle ed uscì dalla porta di servizio. Mi depose con poca grazia nel bagagliaio di una vettura, che mi sembrava di aver capito essere una station wagon. La benda sugli occhi, molto stretta, mi impediva di vedere. Dopo un breve viaggio, arrivammo a destinazione: si aprirono le porte dell'auto, un uomo mi tirò fuori dalla vettura e mi portò all'interno di quella che presumo fosse una casa di campagna. Lì ci aspettavano altri uomini, ma la benda sugli occhi mi impediva di capire quanti fossero. Un uomo mi disse: "Ora ci divertiamo un po' con te... faremo una bella caccia al tesoro e vedremo se alla fine riusciremo a trovare l'anello scomparso. Poverina, non sai quello che ti aspetta. Sei uomini contro una sola donna... ah, ah, ah, ah". Io ero terrorizzata da quelle parole decise e beffarde, ma il peggio doveva ancora venire. Uno di loro mi si avvicinò e, alitandomi in volto, sghignazzando disse: "Troia, togliti quelle belle scarpe da ginnastica... magari hai nascosto lì l'anello che cerchiamo". Mi slegarono le mani, mi levarono il giubbotto e io mi tolsi le scarpe. Subito dopo ricevetti l'ordine di togliermi anche i calzini: consegnai le scarpe e le calze all'uomo che mi aveva impartito l'ordine e rimasi a piedi nudi. Il pavimento era grezzo, forse di cemento, e molto freddo: un brivido mi attraversò la schiena. Capii che l'uomo esaminò le scarpe e le calze al loro interno, non trovando però nulla di quello che cercava. Mi tolsero la benda dagli occhi e io potei avere un quadro chiaro della situazione: gli uomini erano in tutto sei, tre più giovani e tre di mezza età. Si avvicinò a me un ragazzone e mi apostrofò in modo insolente: "Cagna, lurida cagna, dimmi dove hai nascosto il gioiello. Altrimenti i tuoi jeans di marca diventeranno degli splendidi hot pants!". Fui sottoposta ad un estenuante interrogatorio, dove mi si chiedeva ripetutamente dove avessi nascosto l'anello; era chiaro che loro erano giustamente convinti che l'anello l'avessi rubato io e ogni volta che non rispondevo alle loro pressanti domande, loro mi tagliavano un pezzo dei jeans. In poco tempo i miei jeans vennero fatti a pezzi e le mie gambe rimasero nude; ormai solo la parte superiore dei miei calzoni era rimasta al suo posto e alcuni dei sei si complimentarono con me per le mie belle gambe. Uno dei miei aguzzini, il più vecchio, si avvicinò a me e con modi bruschi mi strappò di dosso il maglione, riducendolo ad uno straccio per pavimenti . Poi fu la volta della mia camicetta, alla quale fecero "saltare" tutti i bottoni, che schizzarono per la stanza. Ero rimasta con il reggiseno e gli improvvisati hot pants. "Togliti quel brandello di calzoni... non vedi che fai schifo, puttana! Come sei ridotta... dove e è andata la tua tracotanza, lurida cagna!", fu una delle frasi più carine che mi vennero rivolte. Mi tolsi quello che era rimasto dei miei poveri jeans, poi mi slacciarono il reggiseno e mi sfilarono le mutandine. Ora ero completamente nuda e tremante per il freddo e la paura davanti ai sei uomini. MI stesero su un tavolaccio di legno ruvido e mi fecero nuovamente la solita domanda: "Dove hai messo l'anello?". Io non risposi e loro mi fecero aprire la bocca. Mi fecero tirare fuori la lingua e l'afferrarono con due dita, spostandomela in tutti i punti possibili; era però chiaro che l'anello non potevo averlo in bocca, altrimentii avrei faticato a parlare. Poi a turno mi sputarono in bocca, in segno di disprezzo e io dovetti ingoiare la loro schifosa saliva. Ricevetti molti schiaffoni in viso e alla fine mi sentivo rintronata, come se avessi avuto lì vicino delle campane che suonavano a festa. "Ok, vi dirò dove ho nascosto l'anello. L'ho messo davanti...", dissi io, piangendo per l'umiliazione e il dolore. A quelle mie parole tre uomini mi afferrarono e mi girarono a pancia in giù. "Aprile le natiche, che io cerco il gioiello", disse uno all'altro. "No, l'ho messo davanti... lasciatemi stare... non è lì che dovete cercarlo", replicai io. Loro però fecero finta di non sentire quello che io continuavo a dire e mi aprirono il culo. Iniziarono ad infilare le loro dita dentro il mio buco, me lo dilatarono a dismisura, facendomi un male terribile. Ma ormai il mio culo era violato e all'appello mancava solo un grosso bastone, che mi fu infilato poco dopo, producendomi un dolore lancinante. Loro si divertivano a infilarlo e sfilarlo nel mio povero culo e io soffrii le pene dell'inferno. "Puttana, devi soffrire... sei solo una schifosa ladra e prega di non essere messa in galera. Meglio avere il culo rotto, che rimanere a marcire in galera! Ah, ah, ah, ah", disse uno dei sei energumeni. Era chiaro che avevano capito che l'anello era nella mia figa, ma volevano divertirsi a rompermi il culo. Venni poi sodomizzata da tutti e sei, che con i loro grossi attributi finirono l'opera di sfinimento del mio ano, che alla fine risultò con un buco dai contorni alquanto slabbrati. A quel punto mi girarono a pancia in su e mi misero delle tenaci mollette alle grandi labbra della figa. Poi le tirarono verso l'esterno e le labbra seguirono il movimento delle mollette, allargandomi il buco della patatina e mettendo in evidenza l'interno della mia figa. "Ma che bella figa rosa hai, puttana" fu il complimento migliore che ricevetti. Non vi dico i commenti volgari che mi umiliarono in quei momenti. Le mollette si staccarono dalle labbra ormai tirate allo spasimo, producendomi dolore, e io sentii che la mia figa si richiuse velocemente. Ma gli uomini non avevano finito di divertirsi con me. Le loro dita frugavano dentro la mia figa e uno di loro estrasse finalmente l'agognato anello. Era tutto bagnato, perchè ormai io stavo godendo del trattamento subito. "Leccalo, lurida vacca, leccalo e puliscilo con la lingua", disse uno. Io ubbidii e leccai l'anello dal mio umore vaginale, sentendo tutto l'acre sapore prodotto dalla mia figa. Ora l'anello splendeva come quando era sul bancone! I sei abusarono di me ancora per più di un'ora. A turno mi scoparono con grande ferocia e io sentivo i loro uccelli che mi procuravano colpi secchi e decisi, sbattendo con violenza sul fondo della mia patatina. Ebbi un orgasmo, che non seppi trattenere. Uno di loro mi dissse allora: "Guarda come gode la troia, le abbiamo fatto un favore a scoparla... non si è mai divertita così... deve essere in astinenza da parecchio tempo". Alla fine anche loro erano stremati da quel prolungato atto sessuale e mi infilarono un vibratore nelle figa e poi, con poca fatica, anche uno nel culo. "Visto che ti piace avere qualcosa dentro, andrai a casa così... con questi nostri regalii!", disse, ridendo, uno dei sei. Mi infilarono le mutandine e gli "hot pants", che stretti come erano impedivano l'uscita dei due vibratori e gettarono nel camino il mio giubbotto, le mie scarpe, i calzini, i resti del maglione e i pezzi di jeans tagliati. Mi misero la camicetta, che rimase sbottonata, priva come era di tutti i bottoni e mi diedero con le dita varie strizzate ai capezzoli. Uno di loro, non pago di quello che avevo subito, si divertì a prendere a schiaffi le mie tette, che si arrossarono in pochissimo tempo. Mi riportarono in macchina ai bordi del bosco, rivestita così in modo sommario. Ero scalza e la rigida temperatura mi faceva tremare in continuazione. A piedi nudi, tra rovi, sassi, arbusti e tronchi, arrivai alla strada asfaltata, dove chiesi aiuto agli automobilisti di passaggio. Uno di loro si impietosì, vedendomi in quelle condizioni, e si fermò. Venni accompagnata alla nostra casa di vacanza a Vercelli. Nel vedermi mio marito fu colto quasi da un colpo, ma non seppe mai che cosa mi era accaduto e perchè. A lui dissi di avere subito violenza sessuale da un gruppo di balordi. Non volevo che pensasse di avere una moglie ladra! 6252 0 12 years ago
- 10 years ago Una donna per due Quella che vi sto per raccontare è la storia che può accadere ad una donna che ama moltissimo suo marito e non vuole "dividersi" con altri, neanche per qualche interessante giochetto a tre. Il marito di Sonia invitò a casa un amico con l'intento di punire la moglie, che riteneva troppo casta e pura. Mario, il marito, sapeva che il suo amico Paolo era pratico di teorie ipnotiche e volle provarle sulla moglie. Così una sera Mario telefonò a Paolo, dicendogli: "Ti andrebbe di venire settimana prossima a casa mia per giocare un po' con me e Sonia?". Paolo rimase stupito dell'invito, poichè conosceva bene le idee di Sonia, ma accettò con curiosità. La domenica sera successiva Paolo arrivò alle 21,45 e Sonia, ignara di quello che sarebbe accaduto poco dopo, lo accolse con grandi feste. Taglio della torta, caffè d'obbligo e liquore e poi... Paolo chiese a Sonia come andasse la sua collezione di oggettini, che lei custodiva gelosamente in una vetrinetta in sala. Lei si alzò e si diresse alla vetrinetta, seguita dai due uomini. Mostrò a Paolo gli ultimi acquisti (Swarosky, animaletti in pietre dure, ecc) e lì Paolo la "colpì". Paolo doveva ipnotizzare Sonia, come stabilito in precedenza con Mario. Mario si mise alle spalle di Sonia, perchè doveva afferrarla al volo quando sarebbe caduta all'indietro. Pochi attimi dopo Sonia perse l'equilibrio (non so se colpita dallo sguardo o dalle gestualità di Paolo) e cadde all'indietro, come previsto. Mario la sorresse per le ascelle, mentre Paolo l'afferrò per i piedi. Sonia perse una scarpa (non so se volutamente tolta da Paolo o persa in modo fortuito) e i due uomini la trasportarono in cucina, dove la stesero dolcemente sul tavolo. Mario ritornò in sala a prendere la scarpa e la infilò al piede di Sonia. Paolo gli disse: "Non dovevamo spogliarla, ora la rivesti?". Mario rispose che non si era pentito, che lui la doveva spogliare come previsto: voleva solo che Sonia partisse da una condizione completa, con tutti i capi di abbigliamento addosso. Paolo gli chiese: "Da dove inizio a spogliarla?". "Da dove vuoi, è tutta tua", rispose il marito di Sonia, che già pregustava lo spettacolo di vedere la moglie alla mercè dell'amico. In quel momento Mario vedeva Sonia come una bambola vivente o, se volete, come una schiava da usare a suo piacimento (e forse a piacimento anche del suo amico). Sonia non era più rigida come quando la portarono in cucina e Paolo la sollevò per toglierle il golfino. Mario pensava poi che Paolo togliesse le scarpe a Sonia e invece l'amico proseguì slacciandole la camicetta rosa di seta. Gliela tolse e il marito pensò che la moglie era ancora presentabile, malgrado fosse rimasta con il reggiseno di pizzo. "Sai che tua moglie ha delle belle tette? Non me ne ero mai accorto", disse Paolo, ridendo. Mario ringraziò con un sorriso. Poi Paolo sfilo' la scarpa sinistra di Sonia e con fatica le sollevò la gonna che era alquanto attillata, dicendo: "Volevo vedere se aveva le autoreggenti per toglierle una calza. Ma ha le collant e non si può... quasi, quasi gliele strappo!". "No Paolo, non puoi farlo, ricordati che poi la dobbiamo rivestire completamente", ribattè il marito di Sonia. Paolo tolse a Sonia l'altra scarpa, le sbottonò la gonna e gliela sfilò. Ora la poveretta aveva solo il reggiseno, le calze e le mutandine. Dopo averle tolto con cura le calze, Paolo disse: "Se vuoi smetto, non c'è problema". Mario lo esortò a proseguire, dicendo che la voleva nuda. L'amico non se lo fece dire due volte e il slacciò reggiseno, che finì sulla sedia a far compagnia agli altri indumenti. Paolo strinse Sonia a sé, le cui tette erano ormai a contatto del suo corpo. "Ed ora il pezzo forte!", disse Paolo togliendo le mutandine a Sonia. Sonia era lì sul tavolo, completamente nuda, inerme e incapace di resistere ai voleri dei due amici. Mario temeva che la moglie si svegliasse, ma Paolo lo rassicurò ed estrasse dalla tasca un accendino. Lo accese e passò la fiamma sul palmo delle mani della "sventurata" e poi, con il permesso del marito, lo fece anche sui seni. Mario impazziva, vedendo la fiamma lambire il capezzolo e la pelle morbida del seno della moglie. "Puoi farlo anche sotto i piedi?", disse Mario. Paolo rispose di sì e cominciò a lambire con la fiamma le piante dei piedi di Sonia, che non sembrava soffrisse per quel trattamento apparentemente doloroso. Insistette parecchio con la fiamma sulle sue piante. Lei non si lamentava e Paolo disse che volendo poteva fare il giochetto anche in mezzo alle gambe. Mario però non glielo permise, avendo paura che il pelo della fighetta prendesse fuoco. A questo punto era stato deciso di fare un lavoretto nel culetto di Sonia. Ma Paolo, sorprendendo l'amico, disse: "Ti faccio una proposta indecente. Che ne direste di infilarle la bottiglia anche davanti? So che sicuramente la cosa ti costa, visto che Sonia è tua moglie, ma a me piacerebbe molto. Sai, sono molto eccitato". Il marito della donna rispose all' amico che, se lui riteneva di avere ancora autonomia e di poter controllare la moglie, per lui andava bene. Mario era eccitato nel vedere la moglie sottoposta a tutti questi giochetti erotici e l'idea che Sonia fosse completamente "annullata" lo rendeva felice ed enormemente eccitato. "Anzi, fallo tu", disse. Paolo prese una bottiglia da 0,75 litri piena di acqua minerale e cercò di infilarla nella bernardina di Sonia. Ma non ci riuscì. Tentò invano anche la seconda volta, ma non ci fu nulla da fare. Paolo ridendo, disse: "Ma tua moglie ha il buco davanti o è una bambola?". Mario rispose che il buco l'aveva eccome e che solitamente si dilatava molto con l'introduzione del pene. Inoltre aggiunse che quando faceva spogliare Sonia durante i loro reportages fotografici, la sua fighetta si bagnava parecchio e lui la immortalava puntualmente bagnata. Aprì le labbra della patatina di Sonia e si accorse che era completamente asciutta. I due decisero allora di sollecitare il clitoride, le labbra e l'interno della figa insieme. Sonia si ritrovò con dentro le dita di Mario e di Paolo e questa tecnica portò i suoi frutti. Sonia però non gemette e non sussultò come al solito. Era come non se ne fosse accorta. Mario divaricò le gambe a Sonia e Paolo prese la bottiglia e gliela infilò, senza tanti complimenti e senza tanti problemi, nella patatina. La bottiglia, era stata ben lavata all'esterno,ma non era stata svuotata, perchè così il tappo e il suo anello in plastica sarebbero stati un ostacolo all'introduzione nella fighetta della donna (per la filosofia più dolore, più piacere). Inoltre il peso dell'acqua avrebbe acuito la possibilità di entrare. Ora Paolo infilava e sfilava la bottiglia ripetutamente e, quando la bottiglia andava giù, la fighetta di Sonia si dilatava fino a ricevere tutto il collo della bottiglia. Alla fine del gioco, Paolo spalancò la figa di Sonia, le infilo' tre dita (che poi si mise in bocca)e disse a Mario: "Ora sì che è bagnata la porca, ma non si ricorderà di nulla, te l'assicuro". Il marito di Sonia rispose all'amico con un sorriso e gli chiese di aiutarlo a girarla. Lui disse che era in un momento particolare e che doveva tenerla sotto controllo. Con le mani sfiorò tutto il corpo di Sonia e poi dette il via alle future "operazioni". I due uomini girarono la loro "preda" a pancia in giù. Ora il culetto di Sonia era lì, pronto ad essere sodomizzato dalla bottiglia. Lei non ha un buco molto grande e Mario quantificò in circa 9 centimetri la larghezza della bottiglia, là dove finisce il collo. Nove centimetri di diametro... praticamente era come romperle il culo! Paolo allargò le natiche di Sonia e Mario versò dell'olio fino all'orlo del suo buchetto. Quando la prima quantità di olio scese nell'ano, ne versò altro e attese che anche questo venisse "assorbito". Poi Mario e Paolo infilarono nel buco dell'ano a turno prima un dito, poi due e alla fine tre, girandoli a mo' di trivella. Ma il buco resisteva e sembrava non volersi allargare. "Non ce la faremo mai", disse sconsolato Paolo. Il marito della donna chiese a Paolo di tenerla aperta il più possibile e iniziò a premere con la bottiglia. Fu difficilissimo. Provarono poi a versare dell'olio lungo il collo della bottiglia al fine di lubrificare bene il retto della donna. Di questa operazione ne beneficiò anche il tavolo!!! Ad un certo punto il tappo e l'anello di plastica furono inghiottiti dal buco ormai dilatato e slabbrato di Sonia e Mario fu assalito da alcuni dubbi. "Facendo così non le procureremo qualche ferita interna?", disse. Paolo, che opera nel campo medico, lo rassicurò e Mario continuò a inserire e disinserire la bottiglia, senza però estrarla completamente. Sonia emetteva qualche gemito, cosa che non aveva fatto prima quando le sollecitarono la figa. "Aiutami, voglio spaccare il culo a questa schiava che ha osato tradirmi! E' una puttana, va punita!", disse Mario. Paolo lo guardò stupito e gli chiese se amava i giochi SM e i rapporti padrone/schiava. Mario si riprese: stava involontariamente confessando i suoi gusti in campo sadomaso e poi non era vero che la moglie l'aveva tradito. Alla fine il buco di Sonia cedette completamente, sfinito dal continuo lavoro della bottiglia, il cui collo (e forse anche qualche cosa in più...) penetrò completamente nel suo ano. Il buco era gigantesco ora e per ottenere questo i due amici le avevano sicuramente anche fatto non poco male. Quando estrassero la bottiglia il buco rimase spalancato per alcuni istanti (o forse minuti) e Paolo infilò nel culo di Sonia prima un righello e poi il tacco di una scarpa. Poi il buco lentamente si richiuse. Pulirono il culetto di Sonia dall'olio, che era penetrato anche davanti ungendo il pelo della patatina. Il pelo era unto e Paolo propose di tagliarlo. "Ok, va bene, ma solo quello che non sembra volersi pulire dall'olio. Sonia non se ne deve accorgere", disse Mario. Passò le forbici all'amico che tagliò le ciocche più unte e le ripose in un sacchettino, che poi Mario gli diede con preghiera di buttarlo via. Non dovevano rimanere tracce! Poi Paolo iniziò ad asciugare la figa di Sonia con troppo trasporto, soffermandosi sulle labbra e anche sulle parti interne. "Aho, il gioco è finito, metti via i giocattoli!", disse Mario, ridendo. E tutti e due scoppiarono in una risata. Entrambi rivestirono la povera Sonia e poi la trasportarono sul divano. Per fortuna durante il "trasporto" l'occhio di Mario cadde sulle mutandine che erano cadute accidentalmente sul pavimento della cucina e allora... via di nuovo scarpe, gonna e calze e su le mutandine. Non esiste delitto perfetto! Poi Paolo risvegliò Sonia, che lì per lì apparve confusa. "Bella compagnia hai fatto a Paolo", disse Mario. Lei si scusò dicendo che durante la notte non aveva dormito! Il giorno seguente Sonia si lamentò di avere uno strano dolore al buchetto dell'ano e Mario diede la colpa ai suoi jeans troppo stretti. Poi Sonia non disse più niente e Mario se ne guardò bene dal chiedere notizie del buchetto del culo della moglie. Meglio dimenticare in certi casi! 11808 0 12 years ago
- 10 years ago Matrimonio con sorpresa Era la fine degli anni Ottanta e avevo circa vent'anni, quando partecipai ad un matrimonio di mia cugina in Emilia Romagna. Non conoscevo ancora Mario (mio attuale marito) e partecipai da sola, in quanto allora ero single. Io ero vestita con un tailleur di colore grigio, camicetta bianca e scarpe nere con tacco abbastanza alto. Ricordo che a quel matrimonio c'erano tanti ragazzi e solo quattro ragazze, tra cui una ero io. Alla fine del pranzo ci sedemmo su un muretto per prendere un po' di quel sole caldo che la fine di agosto sa ancora riservare. Il pranzo di nozze si tenne in un ristorante molto sofisticato di un altro nostro lontano parente, non ricordo se in provincia di Modena o di Reggio Emilia. Stavamo tranquillamente conversando quando uno stuolo di ragazzi uscì dal ristorante. Otto di loro passeggiavano sul prato ai bordi della piscina con aria del tutto tranquilla ed indifferente. Aggirarono il muretto su cui noi ragazze eravamo sedute e si posero alle nostre spalle. Ricordo che all'improvviso ognuna di noi venne "bloccata" e trattenuta per le braccia un po' all'indietro. Praticamente avevamo due ragazzi ognuna che ci trattenevano, bloccandoci le braccia. Con mossa fulminea altri quattro si avventarono sulle nostre scarpe e ce le levarono: alle due ragazze con i calzoni tolsero solo una scarpa, mentre a me e ad un'altra ragazza tocco' la sorte peggiore, in quanto ci tolsero entrambe le scarpe. Poi i quattro assaltatori buttarono le loro prede in piscina! Le nostre povere sei scarpe finirono in acqua... Malgrado le nostre urla, nessuno uscì dal ristorante per venire in nostro soccorso. Ricordo che le scarpe galleggiavano sull'acqua e allora i quattro pensarono bene di dare dei colpi fino a farle andare a fondo. Oggi non ricordo più quanto pagai quelle scarpe, ma, come tutti, anch'io avevo comprato quelle scarpe per l'occasione del matrimonio e vederle prima in acqua e poi sul fondo della piscina... mi stringeva il cuore. Ognuna di noi fu spinta fino al bordo della piscina... per mostrare la fine indegna delle proprie scarpe. Io e l'altra con la gonna camminammo scalze con le calze a contatto del terreno (calze chiare, quasi invisibili), mentre quelle con i calzoni camminavano con una scarpa sì e l'altra no. Poi gli otto "amici" (ma quali amici? Chi li conosceva?) ci riportarono a sedere sul muretto, mentre gli altri quattro energumeni rientrarono al ristorante. Uscirono poco dopo con le forbici in mano e non paghi della bravata precedente, tagliarono ad ognuna di noi una calza all'altezza della caviglia. Ora tutte avevamo un piede completamente nudo, le più fortunate avevano l'altro con la scarpa. Era la prima volta in assoluto che mostravo forzatamente i miei piedi nudi (e per di più ad estranei). I quattro portarono all'interno del ristorante il loro bottino di guerra che fecero girare per i tavoli al posto del taglio della cravatta... chi dava qualcosa riceveva un piccolo pezzo di calza. Noi quattro ragazze venimmo portate, quasi a forza, all'interno del ristorante e assistemmo al giro delle calze. A ogni commensale veniva indicato il nome della proprietaria del feticcio, al fine che ognuno poteva scegliere la migliore (vi lascio immaginare... erano calze indossate dal mattino!). Alla fine del giro pro-calze, colui che dirigeva l'orchestra chiese a noi ragazze di sedere davanti al palco, in attesa di non so che... Si avvicinò a lui lo sposo, che gli parlò bisbigliando all'orecchio. Poco dopo il direttore d'orchestra disse, rivolgendosi a noi ragazze: "Lo sposo è stato molto contento delle "offerte" ricevute per le vostre calze e vi vuole premiare! La prima di voi che accetterà di togliersi il reggiseno verrà premiata con la cifra di venticinquemila lire". Noi quattro ci guardammo in faccia, allibite e basite per quelle parole. Nella sala piombò il silenzio, in attesa di una nostra risposta, che però tardava a venire. "Se non volete mostrare i seni... potete mostrarne solo uno... per dodicimilacinquecento lire", disse lo sposo. Silenzio assoluto. A quel punto il direttore d'orchestra alzò l'offerta a cinquantamila lire, poi a settantacinquemila ed infine a centomila. Io pensavo con rabbia alle mie scarpe, che probabilmente sarebbero state inutilizzabili una volta fuori dalla piscina, e con orgoglio misto ad un pizzico di esibizionismo, dissi: "Ok, mi spoglio io! Ma solo il reggiseno sia chiaro". Nella sala eccheggiò un brusio di approvazione. A dire il vero non dovevo essere il massimo, con un piede nudo e con la calza tagliata e l'altro scalzo, ma velato ancora dalla calza. "Vieni al centro della sala. Ti spoglia lo sposo!", disse il direttore d'orchestra. Io raggiunsi scalza il centro della sala e lo sposo mi si avvicinò. Mi tolse la giacca del tailleur, che diede ad un amico vicino e poi passò a sbottornarmi la camicetta. Ad ogni bottone che veniva slacciato, io mi sentivo sempre più tesa. Mi chiedevo se ce l'avessi fatta a portare a termine la mia prova di coraggio, davanti a circa duecento occhi! E oplà, la camicetta era stata completamente slacciata dallo sposo, che si accingeva a togliermela. Anche questa fu data al solito amico, che fungeva da attaccapanni. "E ora signori e signore, la qui presente Sonia sarà "privata" del reggiseno per la gioia dei vostri occhi", disse lo sposo. MI abbassò le spalline e io sentii i miei capezzoli diventare duri e turgidi. Ero imbarazzata al massimo, ma anche fiera di essere al centro dell'attenzione (e pensare che io sono tendenzialmente timida). Lo sposo mi slacciò il reggiseno e lo lanciò verso la platea. Un ragazzo lo prese al volo e tutti lo indicarono come sposo del futuro anno. Ma non era il bouquet... era il mio reggiseno! In quel momento io ero a seno nudo, con le mie tettine erette e con i capezzoli in evidenza. Mi fecero girare su me stessa più volte, per dare a tutti la possibilità di vedere lo spettacolo (uno spettacolo "minimo" visto che non porto la quinta misura!). Applausi e ancora applausi, poi mi vennero resituiti gli indumenti e potei rivestirmi. Inutile dire che più di uno dei presenti immortalo' il mio mini streap tease. E una foto a corpo intero finì anche sull'album degli sposi. Che cattivo gusto... una donna seminuda nel giorno del matrimonio! Poi tutti i ragazzi andarono a ripescare le nostre scarpe finite sul fondo della piscina con lunghi tubi, forse fatti con la canna. Rimisi le scarpe completamente bagnate e poi, non ricordo con precisione, forse le buttai arrivata a casa. Che scherzo stupido! Forse era complice anche il vino bevuto, che in Emilia Romagna scorre a fiumi, ma sta di fatto che io non gradii affatto questo scherzo. 10764 2 12 years ago
- 10 years ago Una moglie in mostra Ecco quello che può capitare ad una moglie innamorata in una calda notte di fine estate. Io e Mario, mio marito, siamo andati a fare un giro a piedi e poi a bere qualcosa in centro a Milano e alla una e trenta siamo risaliti in macchina per far ritorno a casa. Mio marito non metteva in moto e io gli chiesi il motivo di questa sua pausa. Lui mi disse: "Togliti una scarpa, voglio baciarti un piede". Io gli risposi di no, in quanto c'era ancora troppa gente in giro, e lui insistette fino a farmi piangere. Dopo poco smisi di piangere, consolata in tutti i modi da mio marito. Erano intanto venute quasi le due e io accettai la sua proposta. Lui mi tolse la scarpa destra, una decollete nera, e la depose in bella mostra sul cruscotto. "Ma sei matto", gli dissi, "tutti vedranno la scarpa sul cruscotto". Lui rispose: "Beh, che male c'è, è solo una scarpa, non un paio di mutandine!". E iniziò a baciarmi il piede nudo e senza calza. Mi leccò le dita con grande passione, poi la pianta nella zona sotto le dita e alla fine il calcagno. I passanti passavano a tre/quattro metri dalla macchina, in quanto una striscia di verde divideva il marciapiede dal bordo strada. Poi Mario mi chiese di togliere le mutandine. Io dapprima risposi di no, ma poi accettai un po' a malincuore... credete, più per amore che per esibizionismo! Ad un certo punto un ragazzo di fermò poco più avanti e iniziò a guardarci insistentemente. Io me ne accorsi e avvertii Mario che, tutto intento nel "leccaggio" del mio piede, non aveva notato il ragazzo. Il giovane estrasse il telefonino dalla tasca e si mise a parlare. Poco dopo si avvicinò alla macchina, salendo sulla zona verde e arrivò a pochissima distanza dal finestrino di destra. Mio marito smise di leccarmi il piede, ma continuò a tenermi la gamba sollevata e me la portò verso il finestrino, per "facilitare" al ragazzo la visione delle mia parte intima. Io avevo il sedile con lo schienale un po' abbassato e il ragazzo potè gustarsi tutta la scena da vicino. Io tentai di abbassare la gamba, ma lui mi tenne ferma per la caviglia. Ci chiese un'informazione stradale e io, rossa di vergogna, gli indicai la strada, ma non feci in tempo ad abbassare la gamba e tantomeno a rimettermi la scarpa. Mio marto reputa "grezzone" le ragazze che appoggiano i piedi nudi sul cruscotto mentre la macchina è in movimento. E io che figura ho fatto? Quante cose faccio per amore! Sono proprio una brava schiava... 19664 1 12 years ago
- 10 years ago Uno strano medico Io amo le scarpe con il tacco alto, che trovo molto erotiche e sexy, specie se abbinate a pantaloni neri e calze chiare molto trasparenti. Purtroppo tutti sappiamo che le scarpe alte non fanno molto bene, specialmente se calzate più ore al giorno. Forse è anche per questo che sono soggetta alla formazione di duroni sotto le piante, che tengo sotto controllo con una buona pedicure. E questi maledetti duroni mi hanno fatto "vivere" un'esperienza del tutto particolare. Ero andata dal medico della ASL per un banale controllo della pressione e mi ero stesa sul lettino senza scarpe. Fortuitamente il medico ha visto i duroni che, come dicevo, a volte si formano sulle mie piante. Mi ha consigliato la visita da un medico posturologo, suo amico, per capire quale fosse la causa della formazione dei duroni. Mi presentai dal posturologo con mio marito e lui ci fece sedere alla scrivania, chiedendomi di esporre i miei problemi. Poi mi invitò a spogliarmi in un angolo della stanza, dove era stato ricavato uno spogliatoio. Io mi ero vestita con camicetta, gonna e calze autoreggenti per essere disinvolta nella visita, pensando erroneamente che la visita si limitasse ai piedi. Mi tolsi scarpe e calze e raggiunsi il lettino. Il medico mi chiese di togliermi anche la gonna e la camicetta e io ritornai nello spogliatoio, dove eseguii l'"ordine". Ritornai al lettino, questa volta in reggiseno e mutandine. Il medico mi fece sedere sul lettino e poi girò dietro lo stesso e dopo avermi slacciato il reggiseno, me lo tolse. Rimasi sbigottita.... non avevo mai visto un medico che spogliasse le pazienti! Mi fece stendere sul lettino e afferrandomi ora per le caviglie, ora per i piedi, mi fece roteare le gambe in tutte le posizioni. Poi mi sfilò le mutandine, lasciando sia me, che mio marito senza parole. Le depose con grazia vicino al lettino e ricominciò a muovermi le gambe, persino ripiegandomele sui seni. Mio marito mi disse che la mia patatina si allargava e si bagnava e che il medico-porco si era accorto di questo. Poi mi fece stendere a pancia in giù e mi chiese di aprirmi le natiche. Chiesi il perchè e lui mi disse che doveva tratteggiarmi la colonna vertebrale con un pennarello nero. Io mi allargai e lui iniziò a tratteggiarmi dal buco dell'ano (ma era necessario iniziare proprio da lì?). Mi tratteggiò tutta la schiena e alla fine mi spostò i capelli da una parte, concludendo il tratteggio sulla nuca. In effetti quel trattamento particolare eccitò anche una timida come me, che lasciai una bella macchia di bagnato sul lettino. Che vergogna! Poi mi fece camminare in lungo e in largo nella stanza, anche con il telefonino in mano, in quanto asseriva che il cellulare obbliga ad una postura sbagliata. Mi fece salire su una pedana collegata ad uno schermo appeso al muro, dove si vedevano le mie piante colorate di rosso, verde e blu (a seconda delle parti di appoggio del piede). Alla fine disse che doveva operarmi alle caviglie (10/15 mila euro!). Pagammo la visita, alquanto salata e... a mai più rivederci! Ora quando sento al Telegiornale notizie di medici strani non penso più all'esagerazione dei cronisti! Anche se non ha toccato le mie parti intime... è capitato anche a me di trovare un medico che andrebbe radiato dall'Albo! 8061 1 12 years ago
- 10 years ago Un pomeriggio diverso dal solito L'appuntamento era fissato per lunedì alle ore quindici e l'annuncio era molto chiaro: "Siamo tre amici e disponiamo di sala per giochi erotici attrezzata con strumenti adatti a dare piacere alle donne sottomesse. Diamo la possibilità all'eventuale compagno di partecipare alla festa del sesso. Garantiamo che la donna non avrà rapporti intimi con alcuno". Io risposi all'annuncio e mi presentai, insieme a mio marito, all'indirizzo convenuto. Ero tutta vestita di nero, il colore che prediligo: camicetta, gonna, stivali, calze, reggiseno e mutandine erano rigorosamente neri, per accendere gli istinti più repressi. Ci aspettavamo due o tre uomini, che si sarebberio aggiunti a mio marito e avrebbero fatto di tutto per darmi piacere come schiava, con giochi erotici, ma senza sesso esplicito. Grande fu la sorpresa quando ci accorgemmo che gli uomini che ci aspettavano erano ben sette! L'annuncio parlava di tre uomini, ma comunque la cosa non mi spaventava più di tanto: più mani ti toccano e più libidine ti danno! Percorremmo un lungo corridoio, sul quale si affacciavano diverse stanze, alla cui fine c'era una porta che dava accesso ad un cortile interno, attraversato il quale finimmo in uno squallido capannone dall'alto soffitto. Lì c'erano varie attrezzature: una ruota, un cavallo per ginnastica, un lungo tavolo, un letto, un verriccello con catena in ferro attaccato al soffitto, vari attrezzi (vibratori, manette, corde, clips con pesi e altro) su un mobile e altre diavolerie di cui non conoscevo l'utilizzo. "Questo è il paradiso del sesso. Tu sei una donna sottomessa al genere maschile? Una slave, intendo dire. Qui ci divertiremo insieme e tu godrai come una pazza. Togliti la camicetta e la gonna, troia!". disse uno dei sette. Il linguaggio non era certo degno di Oxford, ma di solito è quello che piace alle schiave come me. Io mi levai la camicetta e la gonna e rimasi in reggiseno e mutandine. Mio marito già pregustava il dopo, che però per lui sarebbe stato diverso da quello che si pensava. Tre uomini lo presero a forza e lo portarono verso una poltrona, dove, malgrado il suo divincolarsi, fu legato saldamente, senza possibilità di muoversi. Gli abbassarono la cerniera dei pantaloni e gli tirarono fuori l'attributo, che però al momento risultava molto depresso. "Lasciatemi, questi non erano i patti", gridò lui, ma i sette risero all'unisono dicendo che in quel luogo solo loro comandavano. Io a quel punto cercai di scappare per chiedere aiuto, ma dopo pochi metri venni riacciuffata da due uomini che mi trascinarono di nuovo davanti a mio marito. Mi tennero sollevata da terra e altri mi tolsero gli stivali e le calze. Ora avevo solo la biancheria intima e i sette scrutavano il mio corpo. "Togliti il reggiseno e facci vedere le tette", disse uno e io ubbidii. Un altro mi prese un capezzolo tra le dita e me lo strizzò, facendomi urlare dal dolore. "Senti come urla questa cagna. Ora ci divertiremo con te, puttana. Farai tutto quello che vogliamo. Ormai sei in mano nostra e hai fatto male ad accettare l'invito. Guarda quel poveretto di tuo marito: è impotente e non ti può difendere", disse quello che io avevo pensato fosse il capo della banda. "Ora togliti le mutandine, che iniziamo a giocare", disse un altro. Io mi levai le mutandine e cercai di coprirmi come potevo con le mani. Avevo il presentimento che la cosa si stesse mettendo male e che potesse uscire da quei limiti che erano fissati sull'annuncio. Mi chiesero di portarmi sotto il verricello e di stendermi a terra; io mi rifiutai di farlo, in quanto in quel punto non c'era pavimento, ma solo terra battuta. Al mio rifuito tre di loro mi presero di forza e mi fecero stendere nel punto da loro indicato. Poi mi alzarono le gambe, divaricandomele e fissarono le mie caviglie all'estremità di una sbarra di ferro. Vidi che fecero scendere la catena di ferro del verricello fissato al soffitto e agganciarono la sbarrra a quest'ultima: avevo capito che volevano appendermi per le gambe, a testa in giù. E così fecero. Nel sollevarmi la mia schiena strisciò nella terra battuta, provocandomi dolore, e i miei capelli si sporcarono. Mi sollevarono da terra e io rimasi appesa, con le gambe allargate, ad un'altezza di un metro e mezzo; presero un vibratore e senza tanti complimenti me lo infilarono nella figa, accendendolo alla terza velocità. La mia bernarda non era pronta, ma ben presto l'iniziale fastidio si tramutò in piacere e allora uno di loro, vedendo che stavo quasi godendo, sentenziò: "Lurida cagna, ti sei sporcata la schiena con la terra e ora verrai frustata a dovere, così te la puliremo noi la schiena". E iniziarono a frustarmi la schiena e il culo, che dopo poco si arrossarono. Ricevetti molte frustate sulla schiena e sul sedere, a tal punto che in qualche zona della schiena affiorò anche il sangue. Il mio corpo oscillava per le frustate e loro mi rimandavano in posizione di partenza, ora con le mani, ora con la frusta. Qualche frustata mi venne data anche sul seno e sulla pancia, ma in misura nettamente minore. Mio marito chiese pietà per me, ma più lui invocava di smetterla e più loro ci davano dentro, in numero e intensità delle frustate. Io ero decisamente confusa: soffrivo perchè le caviglie mi cominciavano a fare male, soffrivo per le frustate sempre più decise e gioivo per il lavoro del vibratore. Un mix di dolore e gioia, mai provato fino ad allora. Poi smisero con la frusta, mi levarono il vibratore e mi fecero scendere ad un'altezza più bassa. I sette si denudarono e si misero in fila con gli uccelli in mano, masturbandosi. Poi il primo della fila mi disse: "Ora, lurida schiava farai a tutti noi un bel pompino, senza tanti indugi". Guardai mio marito e notai che anche il suo uccello era diventato duro e rigido. Iniziai a spompinare i sette, mentre a turno uno stava dietro di me e spingeva la mia testa contro l'addome dello spompinato di turno, infilandomi l'uccello in gola. Uno dietro l'altro, accontentai tutti; alcuni avevano degli uccelli veramente lunghi e grossi di sezione, altri meno. Quando vedevano che non avevo più saliva, mi sollevavano la testa e non esitavano a sputarmi la loro in bocca e in gola. Quando ebbi accontentato tutti, calarono la catena fino a farmi toccare terra. Ero sfinita per la posizione alquanto incomoda, ma per iniziava allora un percorso di grande godimento, in quanto mi sollevarono e mi portarono su un letto poco distante, dove tutti e sette mi scoparono a turno con grande frenesia. I miei torturatori si divertivano a sbeffeggiare mio marito con frasi offensive: "Guarda la tua troia come scopa bene... è tutta bagnata... è una vera puttana e finalmente con noi gode davvero! La sbattiamo davanti a te... te la sfondiamo davanti agli occhi... le spacchiamo la figa... senti come geme, la lurida vacca". Dopo aver accolto nella mia figa quattro uccelli, qualcuno pensò bene di interessare contemporaneamente anche il mio ano e mi ritrovai con una doppia penetrazione, davanti e dietro. Non avevo mai provato una cosa così, ma era veramente una situazione eccitante, che mi faceva impazzire di piacere. Mi ritrovai anche un uccello in bocca e fui così costretta anche a fare pompini, mentre i miei buchi si dilatavano a dismisura. Tutti e sette continuavano in questo pazzo gioco, alternandosi ora davanti, ora dietro e ora in bocca, mentre mio marito si disperava sulla poltrona nel vedermi in quella condizione disperata... che però per me tanto disperata non era! Forse soffriva più lui nel vedere sua moglie sbattuta da sette energumeni, che io che dovevo tenere testa alla situazione. La cosa durò forse un'ora e alla fine ero veramente sfinita, con la figa e il buco del culo devastati. Tre di loro vennero nella mia bocca e mi fecero ingoiare il caldo nettare, mentre due mi vennero nella figa e uno nel culo. Il settimo mi sborrò in faccia e poi mi sparse con la mano lo sperma, quasi mi volesse lavare il viso. Mio marito a quel punto venne slegato e io potei rivestirmi per far ritorno a casa. Durante il tragitto verso casa mio marito mi chiese se avevo provato gioia nell'essere scopata dai sette ragazzoni e io, con una faccia tosta non da poco, negai di aver goduto durante i vari rapporti avuti. Ma mentivo... o sì, se mentivo! 9575 0 12 years ago
- 10 years ago Forse ho osato troppo! Forse ho osato troppo quella volta che mi sono presentata a casa di un tizio che aveva messo un annuncio su un giornale. L'annuncio era molto garbato, davvero fatto bene e lasciava intuire che quel tizio di nome Gianluca fosse un gentile signore sulla quarantina molto esperto delle pratiche sadomaso. La cosa mi incuriosì a tal punto, che lo contattai e fissai un appuntamento a casa sua. Il giorno previsto, all'ora prevista mi presentai a casa sua vestita di tutto punto. Suonai al campanello e mi venne ad aprire un bell'uomo, dall'aspetto curato che mostrava circa quaranta/quarantacinque anni. Mi fece accomodare su un comodo divano in una bella sala, dai mobili antichi e lussuosi. Gianluca iniziò a parlare della situazione politica italiana e poi di altri mille argomenti, senza arrivare al motivo per cui io ero andata da lui. Passò più di mezz'ora e sembrava che non dovesse succedere nulla di ciò che mi aspettavo... quando ad un tratto si spalancò una porta del corridoio e apparvero quattro robusti giovanottoni dai sorrisi un po' "furbetti". Gianluca mi disse: "Ecco, ti presento i miei amici che mi daranno un aiuto nella tua educazione da slave". "Ma scusa, l'annuncio parlava di un solo uomo", ribattei io. Gianluca a quel punto si rabbuiò e mi apostrofò in modo piuttosto burbero: "Ora sei qui e non fare tante storie, puttana! Una brava donna non accetta mai appuntamenti con sconosciuti". Gianluca doveva essere il capo della banda, tanto è vero che ad un suo gesto i quattro mi sollevarono dal pavimento e mi portarono in una stanza in fondo al corridoio. Gianluca ci seguì. Io mi agitavo, perchè volevo tentare di fuggire, ma più lo facevo e più sentivo la morsa ferrea delle mani dei quattro. Mi adagiarono sul un lungo tavolo e due mi bloccarono le braccia, mentre altri due si dedicarono a slacciare i cinturini delle mie scarpe, sfilandomele con abbastanza grazia. Poi mi sfilarono i pantaloni e successivamente le calze. Uno dei quattro mi spostò leggermente le mutandine e sentenziò: "Ha la figa pelosa, rasiamogliela". Gianluca si assentò e apparve poco dopo con l'occorrente per la rasatura intima, che fece personalmente, dopo avermi strappato le mutandine quasi con rabbia. Quelli che mi tenevano ferme le braccia mi levarono la camicetta e subito dopo il reggiseno. Ora ero completamente nuda davanti ai cinque energumeni e mi sentivo un po' in imbarazzo, visto che era la prima volta che rimanevo nuda davanti ad estranei. E poi avevo realmente paura di quello che mi sarebbe potuto succedere. In quei momenti mi maledivo per essere stata curiosa ed aver risposto con troppa frenesia a quell'annuncio. Gianluca comandava il piccolo branco e ordinò di strizzarmi i capezzoli: senza farsi pregare due di loro mi strizzarono i capezzoli con molta forza, facendomi gridare per il dolore. Poi mi voltarono a pancia in giù e mi infilarono nel didietro un plug anale non proprio piccolo e lo fecero con molta sicurezza, cosa che mi fece pensare che erano pratici di queste tecniche. Io però sentii molto dolore, perchè non ero abbastanza rilassata e l'introduzione senza alcun preliminare fu per me dolorosa, a tal punto che emisi un urlo, soffocato da uno dei cinque che mi ficcò in bocca quello che rimaneva delle mie mutandine, tappandomi successivamente la bocca con una mano. Mi rivoltarono a pancia in su e ogni volta che mi facevano cambiare posizione lo facevano con molta energia, facendomi sbattere violentemente sul tavolo, ora le tette e la pancia, ora il culo e la schiena. Uno di loro mi disse: "Troia, ora che il tuo culo è servito, penseremo alla tua bella figa depilata", e prese una bottiglia dal lungo collo. Infilò la bottiglia nella mia figa, spingendo come dovesse farla penetrare tutta... ma è chiaro che ad un certo punto la bottiglia non potè entrare più di tanto e allora il tipo si arrabbiò, quasi fosse colpa mia della mancata introduzione totale della bottiglia. Gianluca disse: "Ma è possibile che una vacca simile abbia una bernarda così stretta?" e aiutò l'amico nello spingere la bottiglia. Io supplicai i due di smettere, perchè provavo troppo dolore e loro mi sbeffeggiavano con termini scurrili. Solo quando mi vennero le lacrime agli occhi, i due smisero di spingere e cominciarono a far scorrere avanti e indietro la bottiglia... a quel punto il dolore si tramutò in piacere ed emisi vari mugolii di soddisfazione. Poi, dopo questa pausa di piacere, tornò il buio più nero, perchè fu la volta di cinque lunghi aghi in ogni tetta. Con il primo mi trapassarono il capezzolo da parte a parte, mentre gli altri quattro furono infilati ai lati del capezzolo, due per parte. Stesso trattamento subì anche l'altra tetta. A me piace soffrire con questa tecnica, anche se non la consiglio, se non si adottano le giuste precauzioni. A quel punto mi sentivo completamente sottomessa e umiliata di fronte a cinque sconosciuti. Leggevo sui loro visi una beffarda soddisfazione, per poter usare una donna (e il suo corpo) a loro piacimento. Mi chiesero poi di leccare il tacco delle mie scarpe, ma io non volevo e non aprivo la bocca. Fu allora che Giovanni (uno dei cinque) mi aprì forzatamente la bocca e mi infilò un tacco in bocca. "Lecca, cagna", mi disse. Ma io non lo volevo assolutamente fare e allora mi sfilò il tacco dalla bocca e sempre tenendomela aperta, si avvicinò e mi sputò in bocca. Invitò poi anche gli altri a fare lo stesso: nessuno si fece pregare e io mi ritrovai la bocca e la gola invase dalla loro schifosa saliva. Penso che questo sia un gesto estremo di disprezzo per qualsiasi donna e in più umilia a dismisura l'essere umano, riducendolo a rango di una fogna. Non avevo scelta e non volevo che i cinque energumeni adottassero ancora quella tecnica orrenda e mi convinsi a leccare buona buona i tacchi delle mie scarpe. Poi mi fecero leccare anche la parte superiore delle scarpe, cinturini compresi. Io chiesi a quel punto di essere lasciata libera e Gianluca acconsentì alla mia richiesta. Mi sfilarono gli aghi dalle tette e successivamente il plug anale, che ormai aveva fatto il suo lavoro, allargandomi per bene il buco dell'ano. MI rivestirono completamente ad eccezione delle mutandine che erano semi strappate e che tennero come "trofeo di caccia". Mi fecero promettere che tutte le settimana sarei tornata per una "sana" lezione di sottomissione, Io risposi che sarei regolarmente tornata tutte le settimane. Secondo voi l'ho fatto? 24292 0 12 years ago
- 10 years ago Monopoli, che passione! La nostra compagnia è composta abitualmente da sei coppie, che si ritrovano spesso e volentieri al sabato sera per fare quattro chiacchiere in allegria. A volte usciamo per il solito drink in centro o il solito cinemino, ma a volte rimaniamo anche in casa dell'uno o dell'altro. E sì, perchè siamo tutti appassionati del vecchio e caro Monopoli, un gioco ormai decisamente fuori moda. Noi dodici siamo molto affiatati, ma non pratichiamo mai scambi di coppie o orge comuni. Il sesso rimane una cosa intima e privata. Però quella sera abbiamo voluto dare una svolta alla nostra vita di gruppo, mettendoci un po' di "peperoncino": il tutto era stato architettato ad arte dai maschietti, che ci avevano proposto di indossare capi di vestiario non importanti, che si potessero rovinare... Noi donne eravamo all'oscuro di tutto, ma mai pensavamo che gli arguti uomini avessero pensato ad una cosa simile! Ci siamo ritrovati dopo cena, come tante altre volte a casa di Erika e, dopo un caffè con qualche pasticcino, un "ometto" ci ha proposto il solito, ma appassionante, Monopoli. Sì, però con una leggera modifica... Quella sera avrebbero giocato solo gli uomini e ai capi di vestiario di ogni donna spettatrice sarrebbero state abbinate le caselle del percorso del Monopoli (ad esempio Parco della Vittoria abbinato alle mie scarpe, Vicolo Corto al mio reggiseno e via dicendo). Quando uno finiva su quella casella poteva acquistarla, facendo togliere alla donna l'indumento abbinato. A quella proposta noi donne rispondemmo dapprima con poco entusiasmo, ma poi vista l'insistenza degli uomini accettammo tutte di buon grado. Ma c'era un problema! Come si faceva a conquistare il reggiseno, se sopra avevamo la camicetta e il golfino? Gli uomini avevano pensato anche a questo. Chi fosse capitato sulla casella abbinata al reggiseno... avrebbe sollevato il golfino e la camicetta alla "malcapitata" e con le forbici lo avrebbe tagliato, riducendolo a brandelli. Al primo tiro un nostro amico capitò sulla casella abbinata alle calze della padrona di casa e a quel punto, senza toglierle la gonna (solo sollevandola) e le scarpe, gliele tagliò con le forbici, facendole a pezzi. Al primo colpo io persi la gonna, ma dopo qualche giro fu la volta del mio reggiseno e allora dovetti sentire le mani di un amico (fino allora sconosciute) sul mio corpo. Mi sollevò il golfino e mi slacciò solo l'ultimo bottone della camicetta e poi salì con le mani fino al reggiseno, che tagliò in più pezzi e buttò sul pavimento, tra gli applausi generali. Poi fu la volta delle mie mutandine, che vennero anch'esse tagliate, in quanto indossavo ancora le calze. Rimasi con il golfino, la camicetta, le calze e le scarpe, ormai senza gonna, reggiseno e mutandine. Fu poi per me la volta delle calze, che vennero impietosamente tagliate in quanto avevo ancora le scarpe. Per fortuna persi poi le scarpe, il golfino e successivamente la camicetta, che venne risparmiata dall'essere fatta a pezzi. Ma ci fu anche Marilena che fu molto fortunata, in quanto fu spogliata quasi con metodo (la sorte le fu amica!) e potè andare a casa con tutti gli indumenti integri. Io avevo invece perso calze, reggiseno e mutandine e dovetti subire un po' di freddo. Alla fine, con l'acquisto delle case e degli alberghi, tutte noi donne rimanemmo nude, tra le approvazioni (nascoste e non) dei signori uomini. Fu un po' (molto) imbarazzante, ma anche molto divertente. Per fortuna nessuno degli uomini palpò più del dovuto, ma si limitarono a fare il loro lavoro! 6740 0 12 years ago
- 10 years ago A piedi nudi tra la gente Qualche anno fa giocai a Monopoli con amici e decidemmo che chi avrebbe perso per primo sarebbe stato sottoposto ad una punizione. Io persi per prima e i miei amici si riunirono per decidere a quale punizione sottopormi. Dopo poco ci fu il verdetto: "Sonia dovrai levarti le scarpe in mezzo alla pubblica via, mostrare le piante dei tuoi piedi ancora pulite e poi camminare per più di un chilometro e mezzo tra la gente a piedi nudi. Ti prenderanno per pazza e tu ti vergognerai della tua condizione". Il giorno fissato per la punizione mi presentai con mio marito e poco dopo un amico mi ordinò di togliermi una scarpa. Dovetti mostrare all'obiettivo della macchina fotografica la mia pianta pulita e poi dovetti togliere anche l'altra scarpa. Un amico si portò via le mie scarpe e a quel punto io non avevo altra scelta che quella di camminare scalza tra la gente. La gente che mi passava accanto mi guardava con sospetto, con compatimento e qualcuno cercava invano con lo sguardo le mie scarpe, pensando forse ad un tacco rotto. Io camminavo a piedi nudi tra tre uomini e le mie piante divennero nerissime in poco tempo. Mi fecero camminare su sassini aguzzi di un giardinetto e su macchie d'olio lasciate dai veicoli. Mi trovai in totale imbarazzo e provai una vergogna indescrivibile. Ma non avevo scelta... ormai avevo dato la mia parola e dovevo scontare la punizione! Dopo alcuni mesi persi ad un altro gioco di società e questa volta la punizione fu ancora più tremenda. Mi incappucciarono e mi fecero togliere la camicetta ed il reggiseno. Poi, non contenti di questo, mi fecero schiacciare le tettine contro il vetro di una finestra di un appartamento che si trovava a pian terreno. Per far sì che la gente si accorgesse di me, due amici uscirono in strada guardando verso la finestra e commentando a voce alta la situazione. Fu così che richiamarono l'attenzione di molti passanti. Rimasi in quella scomoda posizione per ben un quarto d'ora... un quarto d'ora che non dimenticherò facilmente! 4092 2 12 years ago