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sibilla30pegasus
sibilla30pegasus 49/49 anni
Coppia
Milano, Italia
Ultima visita: 9 anni fa
Varie Feticcio Cuckold Trio Scambisti

Sottili linee rosse. -prima parte-

Sottili linee rosse.
Prima parte.

Pietro era un uomo ricco.
La sua famiglia vantava antenati illustri, addirittura tra i Visconti.
Laureatosi in filosofia, non aveva mai lavorato; si occupava saltuariamente dei possedimenti di famiglia, affidati sapientemente a un pool di gestori, impiegando il suo tempo nelle due passioni che aveva: il dominio ed i viaggi.
Quarantacinque anni, alto, profilo affilato e capelli brizzolati sapientemente acconciati, elegantissimo.
Il suo incedere felino e lo sguardo ieratico, esercitavano un fascino magnetico a cui le donne, ed anche i maschi, non sapevano sottrarsi. La sua alterità lo rendeva detestabile e l’invidia era il sentimento che sgorgava frequentemente tra chi lo frequentava.
I suoi movimenti erano sempre ponderati e ogni parola soppesata, pronunciata con un tono cavernoso che tacitava gli interlocutori. Una solida cultura classica traspariva dal suo eloquio, talvolta lezioso ma mai noioso, mostrando profonda conoscenza nei più disparati campi.
Aveva molte case ma, durante l’inverno, risiedeva prevalentemente a Milano, unica città italiana che non gli facesse rimpiangere Londra, Berlino o Parigi.
Abitava in uno stupendo attico con volte a botte affrescate da pittori rinascimentali e dalle ampie bifore si rimiravano le svettanti guglie del Duomo.
Pietro era sempre accompagnato da 2 aitanti ragazzi, i cui compiti spaziavano dalla protezione ad altri… molto particolari.
Pietro li chiamava Castore e Polluce, sicuramente non i loro veri nomi, retaggio della sua passione per la mitologia.
Entrambi molto robusti, forgiati da costanti allenamenti, erano profondamente diversi in molti tratti:
Castore aveva capelli neri corti, corvini che incorniciavano un viso squadrato, volitivo ed occhi verdi, mentre Polluce era biondo, con un viso vagamente femmineo sui lati del quale scendevano dei capelli biondissimi fino alle spalle, e sulla carnagione chiara spiccavano degli occhi cobalto.
Per assurgere al ruolo di accompagnatori di Pietro, possedevano cultura e savoire faire oltre ad una spiccata devozione.
Vivevano sempre nelle vicinanze di Pietro, in appartamenti contigui.
Pietro adorava viaggiare e la sua ecletticità lo portava a passare da faticosi percorsi alla ricerca di qualche reperto archeologico, ad un concerto in Svezia , al volo acrobatico in amazzonia fino alle meditazioni nel deserto dei Gobi.
Tra un viaggio e l’altro, Pietro si dedicava alla sua strana passione: il dominio delle donne. Egli amava possedere la mente della donna a cui si dedicava, interamente, intimamente, senza limiti. Non accadeva spesso che trovasse la donna adatta essendo molto selettivo; fisicamente non aveva canoni prestabiliti, anche se prediligeva le donne mediterranee, ma era la mente che lo affascinava. Una donna doveva essere algida, altera, snob e, ovviamente, bella.
Le sceglieva durante i suoi peregrinaggi nelle capitali europee, a qualche vernissage o concerto.
La donna scelta veniva coinvolta in un tourbillon di viaggi, regali ed attenzioni che la rendevano in poco tempo dipendente. Solo a quella condizione, Pietro, iniziava a sottrarle la volontà, con metodici lievi ricatti, piccole disattenzioni, imperiose scenate di gelosia e, lentamente, la donna iniziava a concedergli tutto. Pietro non era eccitato dalla dipendenza sessuale bensì da quella psicologica, dove la mente predominante annulla quella più debole. La perversione dei corpi lo attraeva solo nella fase della scelta, poi le sue perversioni erano placate solo dal dominio totale.
Pietro riteneva questa pratica estrema un naturale diritto aristocratico, come un feudatario nei confronti delle mogli dei vassalli. Per questo motivo non sceglieva mai le donne nel suo ambiente, perché le donne ricche, per quanto debosciate, non gli suscitavano quel complesso di superiorità che era alla base della sua perversione. Evitava accuratamente donne dimesse che, anche se belle, appartenevano ai ceti più bassi, perché la povertà gli risultava fastidiosa.
Le donne ideali erano quelle della borghesia, magari arricchite ma non discendenti da antichi potentati, donne colte attratte dal lusso.
Svariate figure s’erano piegate ai suoi voleri: artiste, manager, politici, ma anche segretarie di funzionari o sportive. Evitava le donne sposate o molto giovani per non rimanere invischiato in patetici e pericolosi strascichi.
Non aveva mai fretta nella ricerca che richiedeva molta pazienza; le candidate erano poche e i numerosi canoni richiesti non facilitavano il successo.
Passavano lunghi periodi tra una donna e l’altra, come se lo sforzo per svuotare la mente della vittima avesse inciso anche sulla sua. Doveva ricaricarsi e, non raramente, doveva fronteggiare l’ira o gli scongiuri di donne che aveva lasciato dopo averle completamente rese succubi. Infatti Pietro perdeva ogni interesse quando la donna era completamente asservita, pronta a sopportare dolorose torture pur di non perdere le sue attenzioni.
Pietro vedeva la sua vittima come un quadro non ancora concepito, da abbozzare, creare, dipingere, velare, incorniciare e mostrare sulla maestosa parete d’una magione.
I suoi pennelli lasciavano il colore non sulla tela bensì sulla psiche; egli dalla tela bianca insignificante, faceva sorgere lentamente la materia, la forma, le ombre. Plasmava ogni dettaglio come Michelangelo plasmava le Sibille o Monet esaltava le ninfee.
Una volta creato il capolavoro, egli lo abbandonava senza mai più rivederlo.
L’ultima opera gli aveva richiesto un anno intero, e dopo la fatica, aveva viaggiato per il globo sopendo la sua aristocraticità e cimentandosi in rischiose esplorazioni.
Placata la vena errabonda, era ritornato a Milano dove aveva trascorso svariati mesi per occuparsi di problemi d’eredità e d’affari.
In questo periodo nessuna donna lo aveva ispirato ed egli aveva attribuito il fatto all’età che aveva accentuato la sua selettività.
Una sera Pietro presenziò alla prima alla Scala della “Carmen” di Bizet. Finita l’opera, s’intrattenne nel foyer con personaggi dell’aristocrazia milanese e poi, scortato da Castore e Polluce, si avvio sotto le volte della galleria, illuminata dalle lanterne ottocentesche.
Era molto tardi e poche persone s’affrettavano sulla via di casa. Milano pareva un mostro assopito; il frastornate rumore di fondo del giorno era sparito, ed il rumore secco dei tacchi, sui preziosi mosaici, rimbalzava tra le balconate . Il Biffi e il Savini dai quali una folla di turisti gorgheggia ogni giorno, bui e silenziosi. Giunti nel centro ottagonale della galleria videro una donna poco più avanti correre scompostamente inseguita da due uomini. La donna stranamente non urlava e nemmeno chiedeva aiuto ai pochi passanti che c’erano. Gli uomini la raggiunsero poco prima della piazza del Duomo e con una violenta spinta la gettarono a terra. Castore stava per intervenire quando fu trattenuto da Pietro. Uno dei due tentava di strappargli la borsetta tirando forsennatamente mentre l’altro le sferrò un pugno sul viso e un calcio su una gamba, colpo che la fece ruotare su sé stessa. La tracolla resisteva e lei anche, senza gridare e senza che nessuno avesse il coraggio d’intervenire.
Uno dei due la colpì ancora, e a quel punto Pietro liberò Castore e Polluce, che indignati dalla violenza accorsero come lupi. I due richiamati dal rumore dei veloci passi e inquadrata la stazza dei soccorritori, lasciarono la donna dileguandosi. Lei giaceva scomposta, sanguinante; dalla gonna sollevata spiccavano due lunghe gambe fasciate da autoreggenti nere sfibrate dai colpi. Stringeva ancora la borsetta come fosse un figlio e non si rilassò nemmeno quando Castore e Polluce l’aiutarono ad alzarsi. L’immagine di quella donna dal viso sanguinante, con le gambe escoriate che aveva resistito stoicamente ad una violenta aggressione, aveva incuriosito molto Pietro. La donna fissò Pietro brevemente e poi si dedicò alla camicetta strappata, dalla quale si intravedeva il taglio d’un seno generoso orlato da un reggiseno nero. Mentre Pietro la guardava rivedeva la scena mentalmente ed era convinto che la strenua difesa non fosse causata dal contenuto della borsetta ma da un perverso godimento causato dalla violenza stessa. Lo sguardo della donna e la mancanza d’ogni reazione, l’avevano convinto che quella sarebbe stata la prossima opera d’arte.
“Vuole che la accompagnamo al pronto soccorso?” chiese Pietro con voce metallica senza nessuna dolcezza.
“No grazie, sono solo dei graffi!”
“Meglio così! Ci permetta di accompagnarla a casa, quei due potrebbero essere ancora nei paraggi.”
Il tono perentorio dissuase la donna dal rifiuto e zoppicando raggiunse con gli uomini l’auto; la donna si accomodò dietro con Pietro mentre Castore e Polluce davanti.
Mentre l’auto scorreva silenziosa tra le vie deserte, Pietro non parlò e si limitò ad osservare con la coda dell’occhio le reazioni della donna. Essa era come rapita dal susseguirsi delle costruzioni e dalle fioche luci dei curvi lampioni; sembrava assorta in pensieri insondabili, come una bambina che fantastichi sull’universo.
Era sorprendente come, nonostante tutti i colpi ricevuti, non tradisse il minimo disagio e non si muovesse per lenire qualche dolore.
Per la prima volta Pietro era così coinvolto da una donna; le modalità dell’incontro e le reazioni lo avevano affascinato oltremodo. La sua fisicità contrastava con il suo comportamento. Era una donna molto alta, con i capelli rossi poco ondulati che gli scendevano lunghi sulla schiena. Un seno generoso sovrastava dei fianchi tondi, molto aggraziati dai quali si allungavano delle gambe affusolate, dai polpacci tesi verso caviglie perfette.
Il viso tondo dalla carnagione bianchissima, spiccava tra la corona della rossa capigliatura come fosse una dama del Tiziano. Gli occhi verdi, grandi, divisi da un naso pronunciato, lineare che donava al tondo del viso una caratterizzazione precisa, netta. La generosità degli zigomi e la purezza delle guance che racchiudevano delle splendide labbra carnose dalle carni vermiglie.
Quella donna era una prodigiosa mistura tra le razze nordiche e quelle mediterranee ed i suoi algidi colori erano mitigati da quella fisionomia formata da morbide curve, come fossero i lineamenti d’una Madonna di Raffaello.
Arrivarono in Corso Sempione dove abitava la donna senza che nessuno proferisse verbo.
La donna ringraziò e accompagnata da Castore, sparì nell’elegante androne d’un palazzo settecentesco.
I giorni successivi furono per Pietro un calvario; continuava a ripensare a quella donna e quella condizione lo imbestialiva. La superiorità, cardine della sua esistenza, scricchiolava sotto la ponderosa spinta dell’immagine di quella creatura.
Decise di partire!
Destinazione Namibia tra le fluttuanti dune che s’inabissano nel nervoso atlantico. L’eterna lotta tra la terra matrigna e gli esseri assetati che si trascinano sugli ondivaghi rilievi alla ricerca d’una stilla d’umidità. Pietro quando era in difficoltà dimenticava le lenzuola di seta ed il caviale Beluga e affondava in zone inospitali e disabitate, prive d’ogni confort dove il tempo giaceva immoto da ere. Questi stenti fungevano da lavacro, servivano ad azzerare i numerosi privilegi donatigli dal ceto sociale, come una sorta d’espiazione. Quella volta era diverso però, non era lì per sfuggire alla noia o a petulanti femmine lasciate, bensì per non pensare ad una di esse.
Non servì a molto e pochi giorni dopo rientrò a Milano.
Ripercorse invano, come un liceale innamorato, la galleria a svariate ore della sera incurante dei sorrisini di Castore e Polluce.
Ormai esasperato ordinò a Castore e Polluce d’appostarsi nelle vicinanze dell’abitazione della donna. L’impegno si prorogò svariati giorni e quando tutto sembrava inutile, i due riuscirono a intercettarla e con qualche indiscreta domanda e conseguente mancia, riuscirono a carpire qualche informazione alla maliziosa portinaia.
Con quella spiata Pietro, forte delle sue conoscenze in questura, ebbe ben presto una dettagliato report sulla donna.
37 anni, nubile, madre scozzese padre napoletano; era la segretaria d’un amministratore delegato d’una multinazionale farmaceutica. Parlava 5 lingue, laureata in filosofia, non aveva nemmeno una multa per divieto di sosta. Amava l’arte e frequentava circoli cinofili.
Non praticava sport ma amava la vita all’aria aperta e spesso faceva lunghe camminate nei parchi nazionali. Una vita molto controllata, apparentemente priva d’ogni emozione.
Si chiamava Helen.
Una sera Pietro decise di rompere gli indugi: in seguito agli appostamenti di Castore e Polluce, aveva saputo che il mercoledì sera Helen andava ad un cineforum con un’amica.
Al rientro, Helen s’avvide di Castore appoggiato ad una grossa auto nera che gli sorrideva. L’uomo aprì la porta posteriore senza parlare invitandola con un inchino ad entrare.
Non passarono che pochi secondi e la porta si richiuse dietro Helen.
La potente auto si mosse nella città coperta da uno scuro mantello sbrecciato da piccole stelle.
Un cristallo inpenetrabile divideva castore e polluce da Helen e Pietro. Quella donna continuava a stupirlo; era entrata in quell’auto senza esitazione ed ora sembrava noncurante della destinazione e delle intenzioni di quei sconosciuti..
Ancora una volta Pietro dovette cedere e gli rivolse la parola per primo:
“Mi chiamo Pietro.” Disse velocemente senza guardarla.
“Io Elen.” Rispose la donna con calma, senza nessuna inflessione nervosa.
“ Un film che valeva il biglietto?”
“Sì molto bello anche se molto cruento. Malik è uno dei registi da me preferiti.”
“Concordo; se avesse un decimo della pubblicità dei film di Spielberg, sarebbe molto più apprezzato.”
“Dei film francesi cosa ne pensa?” chiese Pietro, non perché interessato alla risposta ma per non interrompere quel canale che s’era aperto tra di loro.
“I giovani registi non mi esaltano. Adoro Truffaut, Lelouch e Godard.”
Pietro dovette porle numerose domande alle quali Helen rispondeva concisamente, mostrando una notevole cultura, senza mai porne a sua volta.
Sembrava una donna già addentro il mondo della dominazione, altera e servile, fiera e docile, magnetica e umile.
L’auto si fermò dinanzi al Carlton dove uno chauffeur aprì prontamente lo sportello. Un ossequioso maitre li accompagno nella dining room dove si accomodarono su delle poltroncine damascate rosse con nel mezzo un tavolino ricoperto da un drappeggio di seta ocra. Il locale, vista l’ora era deserto, ed era rimasto aperto per non irritare un cliente molto importante come Pietro.
Dai gessi bianchi del soffitto pendevano grossi lampadari di cristallo Swarovski che emanavano una luce diffusa e tenue.
“Una bottiglia di Dom Pérignon Rosé OEnothèque!” ordinò Pietro
Era la prima volta che si guardavano; Helen aveva un maglione d’angora leggermente scollato, una gonna nera sopra il ginocchio e dei stivali neri con un tacco 8. Nessun trucco eccetto un lievissimo strato di fard. Gli occhi verdi sprigionavano magnetismo come se all’improvviso quella placida donna potesse trasformarsi in una virago. Sulle lunghe gambe erano appoggiate delle affilate mani, candide, lisce con unghie ben curate. Era tranquilla come sempre e Pietro stentava a mantenere il consueto aplomb.
“Verreste con me a Portofino per il week end?” domandò di getto Pietro cercando di mantenere una parvenza di distacco.
“Sì!” rispose mentre lo champagne frizzava nei calici.

Fine prima parte.


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Commenti

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  • rotterdam19, 69
    Avvincente come la pagina di un romanzo, cerebrale e sofisticato premette ad una crudeltà degna di un De Laclos... e..m'intriga!!!!
    Leggi di più arrotolare