Le prime note del Morgenstimmung di Grieg avevano iniziato a diffondersi nella stanza, la piccola lampada sulla scrivania illuminava la tastiera e poco altro. La luce giallastra e calda serviva a contrastare quella violacea ed algida emanata dal monitor. Seduto di fronte al suo iMac, Federico osservava la pagina bianca riprodotta sullo schermo, con la barretta che lampeggiava, in attesa che iniziasse a riversare, sotto forma di byte, il fiume di parole che attendeva.
Le mani erano immobili sulla tastiera, sospese a pochi millimetri, la scena appariva irreale, congelata come in un fermo immagine. Gli occhi di Federico erano fissi, trapassavano il groviglio di plastica, metallo e silicio, perdendosi oltre, in un punto lontano, su un orizzonte che poteva appartenere a qualsiasi dimensione nello spazio e nel tempo. Non era la prima volta che gli accadeva di restare come paralizzato di fronte a quel nulla limitato ma immenso che era il foglio bianco. Nella sua mente, l’intera struttura del racconto era già ben chiara e delineata, mancava soltanto un incipit, quelle poche parole che avrebbero dovuto catturare immediatamente l’attenzione di chi legge.
Lo spunto gli venne, come spesso succede, osservando ciò che aveva intorno, ciò che accadeva.
Il Morgenstimmung era un ottimo inizio, nonostante fosse cosciente che non erano moltissimi quelli che avrebbero riconosciuto il Peer Gynt. D’altra parte, il protagonista avrebbe avuto, ovviamente, molto in comune con lui.
Iniziò a scrivere senza sforzo, le parole si affacciavano alla mente in maniera ordinata, in fila come scolaretti d’altri tempi, tenendosi per mano a creare un continuum perfetto. Nel racconto, Francesco, il protagonista, sedeva alla scrivania e, ascoltando musica classica, si accingeva a scrivere forse un romanzo, forse una novella, il particolare era irrilevante. Gli occhi della mente di Federico iniziarono a fondersi con quelli della sua creatura, vide ciò che egli vedeva; quella sorta di transfert si espanse in breve anche agli altri sensi.
Francesco si alzò dalla scrivania per cercare il suo cellulare, il suono di un sms in arrivo lo aveva distratto dalla sua attività. Il messaggio veniva da un numero a lui sconosciuto.
Altrettanto insolito era il testo: «Alle 19 al bar della Pace. Barbara».
Francesco sorrideva analizzando le possibilità che gli si offrivano. Poteva, naturalmente, essere uno scherzo di qualche amico, anzi era l’ipotesi più probabile analizzando razionalmente. Poteva essere, ipotesi anche questa da non scartare, semplicemente un errore, il destinatario avrebbe potuto essere chiunque. D’altronde, anche fra le sue conoscenze occasionali, non ricordava nessuna donna che si chiamasse Barbara.
Poggiò il cellulare sul tavolo della cucina, il gorgoglio ed il profumo che venivano dalla caffettiera lo distrassero dalle sue riflessioni, mescolando lo zucchero nella tazzina, s’affacciò alla finestra, il sole accendeva di verde intenso le chiome dei pini che si stendevano a perdita d’occhio. Nonostante ci fossero molti palazzi vicino a quello dove abitava, dalla sua mansarda poteva scorgere, verso un orizzonte non molto distante, la pineta che si interrompeva a ridosso della spiaggia, poteva respirare l’odore del mare portato dal maestrale.
Ogni giorno si rallegrava con se stesso per avere scelto di abitare a Ostia, nonostante dovesse affrontare qualche disagio per recarsi in ufficio, la vicinanza del mare lo ripagava ampiamente, era un’energia vitale che quotidianamente lo ricaricava.
Avvolto nel suo accappatoio verde, iniziò a pensare cosa avrebbe fatto di quel sabato di primavera, dimenticando per un po’ il messaggio sul telefono.
La giornata sembrava ottima per dedicarsi ad una delle attività che preferiva, uscire in mare con il windsurf oppure fare un giro in moto e, in effetti, l’una non escludeva necessariamente l’altra. Decise che la prospettiva di salire in sella alla sua Yamaha era, forse, più allettante, qualche scarica di adrenalina avrebbe contrastato meglio la pigrizia che stava per rapirlo. Con un paio di telefonate avrebbe certamente trovato qualcuno con cui organizzare in breve tempo il giro. Un secondo messaggio, però, tentò di mandare all’aria quell’abbozzo di programma. Il numero era il medesimo di prima: «Non rispondi, Francesco? Che tu accetti o meno il mio invito io sarò li questa sera. PS Verrai in moto, spero…»
Cadeva, perciò, l’ipotesi che il messaggio fosse arrivato a lui per errore; le possibilità che esistesse un altro Francesco, con un numero di cellulare simile al suo e che avesse anche la moto, erano decisamente scarse.
Certo, doveva per forza essere uno scherzo, chissà chi, fra i suoi amici, lo aveva organizzato.
Prese il casco ed i guanti, infilò il cellulare nella tasca interna del giubbotto e scese a prendere la moto. L’arrivo del secondo messaggio gli aveva fatto passare di mente l’intenzione di chiamare qualcuno per il giro e, in effetti, l’idea che fosse proprio uno di quelli che voleva contattare a fargli lo scherzo lo faceva esitare.
Chiamare, d’altra parte, avrebbe potuto essere un sistema per capire se era stato oggetto dello spirito degli amici; si accordò quindi con Enrico, Giorgio e Roberto per vedersi un’ora più tardi alla solita area di servizio sulla Flaminia, perciò aveva tutto il tempo per arrivare e, magari, prendere un altro caffè.
Istintivamente, ogni semaforo, controllava se fosse arrivato un nuovo messaggio pur sapendo che, non avendo lui ancora risposto, probabilmente non ci sarebbero state altre novità.
All’arrivo dei suoi amici, iniziò a squadrarli tentando di cogliere un cenno d’intesa, anche minimo, che confermasse i suoi sospetti, ma i tre si comportavano come se fossero realmente innocenti, all’oscuro di tutto.
Verso le 13 si fermarono per mangiare qualcosa nei dintorni di Terni dopo un certo numero di chilometri percorsi sorpassandosi a vicenda. Durante il pranzo, i discorsi erano incentrati come sempre su prestazioni, gomme e quant’altro riguardasse le moto, oltre, naturalmente, ad una buona dose di vanterie e battutacce nel più classico stile dei motociclisti.
Francesco, per tutto il tempo, continuò a cercare un accenno nei discorsi ma senza risultato.
Sulla via del ritorno, decise di correre il rischio e di andare a quello strano appuntamento, pensando che, nella peggiore delle ipotesi, avrebbe fornito materiale su cui essere preso in giro per qualche mese “Questa volta è toccato a me – diceva fra sé – in passato ad altri, ci sarà modo per prendersi una rivincita.” Era indeciso se passare da casa per cambiarsi oppure andare così come si trovava, per non offrire del tutto il fianco all’ilarità degli amici. Guardando l’orologio si accorse che non avrebbe avuto comunque tempo per tornare a Ostia, quindi, invece di prendere il raccordo anulare, salutò con un cenno gli altri tre e proseguì verso il centro.
Un paio di volte controllò negli specchi retrovisori per vedere se uno dei tre lo stesse seguendo, ma, a parte lo sciame di scooter che ronzava per le vie di Roma, non c’era traccia dei suoi amici.
Alle 18.45 era nei dintorni del Colosseo, aveva giusto il tempo di arrivare all’arco della Pace per l’ora fissata. Avrebbe comunque raggiunto il bar con la moto, posteggiandola vicino ai tavoli che occupano un lato della strada, un po’ per poterla tenere d’occhio, ma anche per quella dose di esibizionismo caratteristica dei motociclisti. Il rombo della R1 suonava cupo, amplificato, esaltato nei vicoli angusti del centro.
Stava ancora slacciando il casco, quando si accorse dello sguardo e del sorriso di una ragazza seduta ad un tavolo poco distante, apparentemente sola.
Con studiata lentezza si dedicò alle poche operazioni necessarie a bloccare la moto, senza distogliere lo sguardo, in attesa di un cenno, di un invito.
Si guardò attorno, cercando fra la gente qualche viso conosciuto, aspettandosi, da un momento all’altro, un coro di risate di scherno.
Nessuno, solo lo sguardo di quella ragazza fisso su di lui.
Avvicinandosi, iniziò ad osservarla meglio; gli occhi chiari, luminosi, non si staccavano dai suoi, aveva capelli castani e lisci, che cadevano appena oltre le spalle, labbra sensuali, carnose che scoprivano un largo sorriso; l’insieme era, allo stesso tempo, innocente e malizioso.
La camicetta bianca sottolineava un seno generoso che la scollatura appena accennata non consentiva di apprezzare meglio.
“Ciao Francesco, per un attimo ho temuto che non venissi e, in fondo, non avrei potuto darti torto, il mio messaggio era piuttosto insolito, per non dire poco credibile”.
“In effetti ho combattuto una piccola battaglia con me stesso, ma, alla fine, la curiosità ha avuto la meglio”
La voce di Barbara era calda, avvolgente, persino un po’ roca, apparentemente in contrasto con il suo aspetto.
“Immagino ti stia chiedendo come potessi sapere chi sei, il tuo nome, il tuo numero”
“Ti confesso che non avevo ancora riflettuto su questo aspetto, nonostante, forse, sarebbe stata la prima domanda da porsi”
“Ho visto alcune tue foto a casa di una comune amica, qualche giorno fa, e ieri le ho chiesto il tuo numero. Dapprima aveva qualche dubbio, ma poi ha ceduto, non so ancora come mai.”
“Sono lusingato e sorpreso ed ho qualche sospetto su chi possa essere la comune amica” disse Francesco con un sorriso fintamente scocciato.
Il sorriso di Barbara si allargò di nuovo.
“Cosa fai ancora in piedi? Spero proprio tu non abbia bisogno di un invito a sedere e, per oggi, credo proprio di avere fatto abbastanza!”
Scoppiarono a ridere insieme, mentre Francesco, appoggiato il casco, si sedette.
La luce del tramonto rendeva ancora più caldi i colori dei palazzi intorno che, come quinte di un palcoscenico, facevano da sfondo ai due che iniziavano a conoscersi, parlando con leggerezza ed intensità insieme.
Lo sguardo di Francesco correva dagli occhi alla bocca, dalla scollatura alle mani della ragazza, che accompagnavano le parole con larghi gesti.
Barbara continuava a parlare senza interruzione di qualsiasi cosa, cercando inconsciamente di nascondere l’emozione e l’imbarazzo.
Lui, al contrario, dopo i primi momenti di comprensibile nervosismo, aveva recuperato la calma e il controllo di sé; per un volta assaporava il gusto di sentirsi preda piuttosto che cacciatore, con i vantaggi che questa posizione indubbiamente recava.
Non era lui, infatti, a dover mantenere la tensione a un certo livello, né a dover interessare la sua interlocutrice per conquistarla, era rilassato, a suo agio.
Barbara fece una piccola pausa per sorseggiare l’aperitivo e lui colse al volo l’occasione.
“Vieni a cena da me?”
L’invito, diretto, senza inutili giri di parole, arrivò improvviso, con una chiara intenzione provocatoria.
Barbara rimase per un istante con le labbra incollate al bicchiere, il tempo necessario, però, per dissimulare la sorpresa e analizzare sia le possibili risposte che le ovvie conseguenze; lo fissò dritto negli occhi e rispose, con il sorriso più naturale di cui era capace.
“Verrei volentieri, ma non ho con me il casco.”
Sperava in questo modo, inutilmente, di non concedere a Francesco una vittoria troppo facile, di lasciarsi una piccola via di fuga.
“Credo che questo possa andar bene” disse lui prendendo il secondo casco che aveva fissato alla sella.
Il tragitto dal centro sino a Ostia fu, per Francesco, un leggero piacere, l’impostazione sportiva della moto, infatti, costringeva Barbara in una posizione sbilanciata in avanti, perciò, nonostante il giubbotto attutisse molto, poteva avvertire perfettamente il seno della ragazza sulla schiena.
Lei cercava, poggiando le mani sul serbatoio, di mantenere una minima distanza, ma con scarsi risultati, soprattutto quando la moto rallentava bruscamente, si chiedeva, quindi, se fossero necessarie o intenzionali tutte quelle frenate. Se avesse potuto vedere il sorrisetto del pilota, avrebbe avuto conferma dei suoi sospetti.
Il gioco, si disse, non la disturbava, anzi, dopo qualche minuto realizzò, senza sorprendersi più di tanto, che non erano la temperatura o la velocità a causarle quel leggero brivido…
Francesco, dal canto suo, non sapeva se prolungare quella piacevole tortura o se, invece, cercare di arrivare a casa il più presto possibile.
Appena scesi, mentre Barbara armeggiava con il casco, lo sguardo di Francesco fu attirato dalla camicetta sulla quale, nonostante il reggiseno, si disegnavano perfettamente i capezzoli turgidi. Non distolse lo sguardo nemmeno quando capì che lei s’era accorta di come la stesse guardando, alzò gli occhi solo dopo un lungo istante, giusto per cogliere un eventuale rossore sul viso di Barbara che, però, non sembrava affatto imbarazzata, al contrario, gli sorrideva con aria di sfida.
Guardò, quindi, ancora un momento in basso, prima di farle strada verso il portone.
Salendo in ascensore, iniziò a pensare al disordine che regnava nella sua mansarda, tipico di un single trentenne, concludendo poi, fra sé, che probabilmente Barbara poteva aspettarselo.
Aprì la porta e notò, con sollievo, che la situazione era meno drammatica di quanto avrebbe potuto essere, a parte la tazzina sporca nel lavabo e qualche camicia spiegazzata sul divano.
Le prese il casco dalle mani, invitandola a sedersi dove preferiva, anche se la scelta era piuttosto limitata, quattro sedie intorno al tavolo e il divano che era, appunto, occupato in parte dagli abiti.
Prese due flute e, dal frigo, una bottiglia di prosecco.
“Grazie.” gli disse Barbara sorridendo e guardandolo dal basso, mentre lui le porgeva il bicchiere.
“Preparo qualcosa per la cena.”
“Posso aiutarti? Non amo stare con le mani in mano.”
“Potresti sgusciare qualche noce, facendo attenzione a non frantumarle troppo.”
Il tono ironico non mancò di cogliere nel segno, Barbara si avvicinò al tavolo indispettita.
“Ora ti faccio vedere – pensava – razza di presuntuoso.”
Nonostante la sua intenzione di dimostrargli quanto fosse vana la sua provocazione, un dito le finì nello schiaccianoci, strappandole un’esclamazione di dolore.
“Porc…!”
Francesco si voltò di scatto per capire cosa fosse successo e, appurato che non era nulla di grave, a parte l’orgoglio ferito, scoppiò a ridere, subito imitato anche da Barbara.
In pochi minuti finì di preparare della pasta con gamberetti e zucchine e un’insalata cui aggiunse degli spicchi di mela verde e le noci sgusciate.
Prese dal frigo una bottiglia di Vermentino di Gallura e la poggiò sulla tavola che Barbara, nel frattempo, aveva preparato.
Cenarono chiacchierando sempre più rilassati, finché, nel piatto di Francesco, non rimase che un pezzetto di noce, che Barbara tentò di rubare.
Lui le bloccò rapidamente la mano, prese la noce e gliela avvicinò alla bocca.
Guardandolo dritto negli occhi, Barbara dischiuse le labbra e, dopo aver preso la noce, indugiò un istante, gli prese la mano fra le mani facendosi scivolare in bocca un dito di Francesco.
Lentamente iniziò a succhiarlo, senza staccare lo sguardo, muovendo impercettibilmente la testa.
Francesco sentì il sangue correre più veloce, lentamente si alzò per avvicinarsi a Barbara, cercando di non interrompere quel momento.
Quando fu a pochi centimetri, tolse il dito dalla bocca e lo fece scivolare sul mento e, seguendo la linea del collo, arrivò a carezzarle il solco fra i seni.
Alzando gli occhi, Barbara fissò per un attimo i pantaloni di Francesco, decisamente più stretti di quanto fossero sino a pochi istanti prima.
Le sue mani si avvicinarono alla cintura e la slacciarono, aprirono a uno a uno, lentamente, i bottoni, lo sguardo fisso in quello di Francesco.
Fece scivolare in basso i jeans e i boxer, liberando il sesso duro che strinse nella mano. Delicatamente ne scoprì il glande e avvicinò il viso, inspirò l’odore, ne sfiorò l’asta con la lingua, prima di accoglierlo fra le labbra.
Francesco osservava la ragazza eccitato, ma non sorpreso, stava accadendo ciò che aveva sperato, anzi, immaginato accadesse da quando l’aveva invitata a cena.
Con due dita aveva slacciato quasi completamente la camicetta e le stringeva il seno liscio e morbido con un capezzolo grande e ancora più turgido di quanto fosse appena scesi dalla moto.
Passati pochi istanti, le prese il viso fra le mani, la fece alzare, l’attirò a se per baciarla; la bocca di Barbara era morbida, calda, aveva il sapore del suo sesso mescolato con quello del vino, la lingua gli sfiorava le labbra, giocava a rincorrersi con la sua, si ritirava per poi tornare prepotente a riempirgli la bocca.
Senza staccare le labbra, iniziarono a spogliarsi, dapprima con calma, poi sempre più in fretta, ansiosi di scoprire, di conoscere, di lasciare che fosse la pelle a parlare.
Francesco la prese fra le braccia e la adagiò sul divano, le sfilò il perizoma nero scoprendo una sottile striscia di peli, appena più scuri dei capelli.
Scese fino alle caviglie, liberandole le gambe da quella delicata costrizione di pizzo, le prese un piede e se lo avvicinò alle labbra. Barbara ebbe un primo leggero sussulto.
Disegnò con la lingua un sentiero invisibile dalla caviglia al polpaccio, all’incavo del ginocchio, alla coscia fino all’inguine, guidato da quel profumo intimo, dolce, indescrivibile.
Si soffermò a leccarle accanto alle grandi labbra per un tempo che a Barbara sembrò eterno, senza sfiorarla mai nel mezzo; allontanò poi il viso, improvvisamente, per godere della visione di quel sesso lucido, bagnato, di un colore che andava dal rosato chiaro al rosso scuro.
Federico fece scivolare due dita nella vagina, a fondo, muovendole poi verso l’alto, mentre avvicinava di nuovo il viso.
Quella penetrazione e il primo tocco della lingua sul clitoride fecero aprire ancora di più le gambe di Barbara e la sua bocca si socchiuse in grido muto.
Protese il bacino per farsi possedere ancora più profondamente e allo stesso tempo poggiò una mano sulla testa di Francesco, spingendola fra le sue gambe.
Lui lambiva con passione quel clitoride gonfio, profumato, lo succhiava, lo stringeva delicatamente fra i denti, senza fermare le dita.
L’orgasmo arrivò a scuoterla intensamente e un getto di umori esplose sul viso e sulla lingua di Francesco, che se ne dissetò, sempre più eccitato.
Barbara respirava sempre più in fretta, il piacere sembrava non volersi arrestare, continuava ad aumentare e, con esso, cresceva il suo desiderio di essere posseduta.
Il viso e il petto di Francesco erano irrorati da quell’orgasmo e, come se avesse percepito la muta richiesta della ragazza, a malincuore si staccò da lei, si spostò a sedere sulla parte ancora libera del divano e, presala per mano, la attirò sopra di sé.
Con gli occhi semichiusi per il piacere, Barbara, a cavalcioni guidò il sesso eretto dentro di sé, assaporando finalmente la sensazione che le sembrava aver atteso da sempre.
Il primo contatto con le labbra grondanti procurò a Francesco una scossa che gli giunse al cervello come un fulmine, serrò le mani sul seno, stringendole i capezzoli, guardandola negli occhi, ora spalancati, e assecondandone il movimento dei fianchi.
Barbara gettò la testa all’indietro sporgendo in avanti il seno e si portò le mani al ventre, aprendosi per sentirlo dentro di sé ancora più profondamente, poi con un dito iniziò a sfiorarsi il clitoride.
Francesco osservava ipnotizzato la ragazza che si masturbava, mentre lui si muoveva sempre più veloce, sentendo d’essere vicinissimo a godere in lei.
Un nuovo orgasmo colse Barbara quando sentì quel sesso gonfiarsi ancora di più, gemendo, aumentò il ritmo dei fianchi e del dito che massaggiava il clitoride e, di nuovo, un getto riempì il ventre e le gambe di Francesco che, per quanto avesse cercato di resistere, percepì il suo seme risalire prepotentemente e, proprio nel medesimo istante, lei si staccò per accoglierlo ancora in bocca.
Le labbra si serrarono sul glande e scesero lungo l’asta mentre il piacere usciva a riempirle la bocca e la gola.
Francesco inarcò la schiena, i muscoli tesi, i pugni serrati, gli occhi chiusi, un grido soffocato in gola.
La luce della mattina gli illuminava il viso mentre guardava la ragazza addormentata nel letto accanto a lui e, si accorse solo in quel momento, si rese conto di non sapere nulla di lei, ma, anche, che non era affatto importante, ciò che contava davvero era che lei fosse lì e che sperava rimanesse ancora a lungo.
Federico si stiracchiò sulla poltroncina, aveva scritto di getto tutto il racconto come non gli capitava quasi mai e ne era piuttosto soddisfatto.
Stava salvando il file nel computer, quando il trillo di un messaggio sul cellulare, nel silenzio del suo appartamento, lo fece sobbalzare.
Non avrebbe saputo spiegare la ridda di sensazioni che si affollavano alla mente mentre leggeva quell’unica riga di testo:
«Alle 19 al bar della Pace. Barbara».
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Mia moglie confessa finalmente
Allora,non so da che parte cominciare, c'è tanta carne al fuoco.Siamo una coppia di 47 e 46 anni, insieme da sempre, sposati e con un figlio.Come succede a tutte le coppie prima o poi, anche noi dopo tanti anni abbiamo subito un calo di desiderio reciproco dovuto alla routine,alla monotonia e ai problemi quotidiani che ti assorbono tutte le energie.In questi ultimi anni per cercare di venirne fuori e ritrovare la nostra intesa ho cercato di capire quali erano le sue fantasie e cosa la faceva eccitare avvicinandomi anche alle tematiche cuckold per cercare di coinvolgerla.Naturalmente il pensare a lei mentre veniva presa da un'altro mi eccitava parecchio e anche lei mentre scopavamo e le raccontavo le mie fantasie godeva da matti.Purtroppo al di fuori dell'atto sessuale di questi discorsi si parlava poco e anche se poi sono riuscito a farle promettere che avremmo realizzato qualcuna di queste fantasie, in concreto successe ben poco.Sentivo che c'era qualcosa che la bloccava ma in cuor mio speravo si sbloccasse lavorondola ai fianchi con continui imput.Invece qualche giorno fà è successo quello che non mi aspettavo più anche se lo sapevo senza certezza.Partiamo dalla confessione, come spesso accade le stavo scrivendo qualche porcata su whatsapp, le solite cose, quanto sei porca, chissà se con un'altro cazzo lo saresti di piu ecc..Ad un certo punto il fulmine a ciel sereno, mi scrive: "comunque posso dirti che uno stretto lungo l'ho gia preso, scusami", potete immaginare come mi sono sentito, un conto è saperlo senza prove, un'altro è sentirselo confessare cosi candidamente.Stranamente non mi è montata la rabbia, anzi il mio cazzo si è svegliato in un attimo e lo ho risposto "cioè?".E lei: "in quel periodo ho scopato con uno, al motel,mi sono sempre sentita in colpa a tal punto che non sono piu riuscita".Io: "con chi, troia, lo sapevo, devi raccontarmi tutto".Lei: "questa sera ma giura che mi perdoni".io: "mi stai facendo eccitare come un porco e ti perdono solo se lo 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accetto.Lui era di Torino e una sera si incontrarono, andarono a mangiare e parlarono molto, si creò una bella sintonia e decisero di rivedersi ancora.La seconda volta, vista la lontananza decise di prendere una camera in albergo per non dover fare la strada di ritorno la notte, lei si fermò in pezzeria, prese due pizze e mangiarono in camera sul letto.Dopo mangiato iniziarono a baciarsi e toccarsi, lui la leccò e la masturbò facendola godere molto e lei fece altrettanto, un bel pompino, aveva un cazzo stretto di diametro ma molto lungo e mi ha confessato che aveva un buon sapore e le è piaciuto molto.Arrivati al culmine dell'eccitazione lui le ha chiesto di poterla scopare, lei era bagnatissima e ne aveva una gran voglia ma non avevano i preservativi e non se l'è sentita(non prendeva la pillola).Allora giusto per farlo comunque godere si è dedicata al suo cazzo con la bocca facendolo impazzire fino a farlo godere, lui stava per veniree continuava dirglielo pensando di toglierlo dalla sua bocca ma lei non lo ascoltò e lo fece sborrare in bocca continuando a pomparlo finchè non uscì l'ultima goccia.Aveva la bocca piena di sborra di uno che non era suo marito ed era eccitata come la più grande delle troie, lui era in estasi e le disse che non aveva mai goduto in questo modo fantastico.Per quella sera finì così ma naturalmente non la storia.Si incontrarono ancora una volta, stessa procedura, cena e poi a letto, mi ha raccontato che era in accappatoio, lo aprì e lui era già eccitato, lei si tuffò sul cazzo e inizio a spompinarlo, lui la spogliò e la leccò per bene infilandole qualche dito nella figa fradicia.E fu così che arrivò il momento, mise il preservativo e la penetrò, mi ha detto che non capiva più nulla, era in estasi, quel cazzo sguazzava nei suoi umori, lo sentiva entrare e uscire in tutta la lunghezza e si sentiva troia ma libera, l'unico problema è che era troppo lungo e quando le sbatteva in fondo le faceva male.La prese in diverse posizioni e alla fine lei volle cavalcarlo, è la sua posizione preferita, ma mi ha detto che non riuscì a prenderlo tutto per via del dolore ma che ebbe un orgasmo da paura.Lo fecero per tre volte quella sera e godette come mai aveva goduto, purtroppo come spesso succede lui si innamorò e lei invece si riempì la testa di sensi di colpa e decise di interrompere la relazione.Questo è quanto, ora ditemi,cosa pensate ora della mia signora?Ora sembra più serena e anche se non ci siamo ancora arrivati la vedo molto decisa e più complice nel voler realizzare le mie fantasie, speriamo presto.
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11 anni fa
pillinca,
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petali di rosa. Passa il vento e vi solleva o petali di rosa che a terra vi adagiate come ali di farfalle stanche mentre il giallo diseccato dei pistilli resta inerme a guardare le rosse bianche spoglie che in volo verso l'alto più non san tornare. Ma l'uccellino dalla nota lieve canta ed esulta sù quel caldo candido tappeto di petali di rosa. Eh! la vita eterno effluvio di gioia nella sua breve fragilità. un bacio a tutte Valerio1000
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valerio,
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