Io e mia moglie (d’ora in avanti “M”) siamo sposati da quasi 10 anni e, a distanza di 13 anni e due figli da quando abbiamo iniziato a frequentarci, continuo a provare una forte attrazione sessuale nei suoi confronti. Fisicamente incarna il mio ideale, quasi 1,70, mora, quinta di reggiseno, bei lineamenti del viso. Ma soprattutto quello che mi attrae è la sua carica erotica innata: il suo sguardo, il suo sorriso, la sua voce non finiscono mai di stuzzicare il mio appetito sessuale. Quanto ci siamo conosciuti aveva anche qualche fantasia saffica, cosa che, sì, come dire, consideravo la ciliegina sulla torta.
Ad essere sincero fino in fondo, mi piacerebbe che mettesse questo potenziale erotico al servizio di qualche divagazione dal consolidato spartito della nostra vita sessuale. Invece, direi che quello che oggi più ci avvicina oggi alla trasgressione è la frequentazione di spiagge naturiste. Una trasgressione che passa per tale solo perché viviamo in un Paese fondamentalmente perbenista e provinciale, che fa fatica a scrollarsi di dosso la coltre di bigotteria in cui è avvolto.
Pur non facendo fatica a riconoscere che la mia sfera sessuale ha una componente voyeuristica, posso anche tranquillamente affermare di vivere la spiaggia naturista alla stessa maniera della spiaggia ordinaria. Quindi, per me, nessun avanti e indietro lungo il bagnasciuga all'instancabile e affannosa ricerca di un po’ di pepe, nessun appostamento a cinquanta centimetri dall'unica donna che ha avuto la malaugurata idea di presentarsi da sola (e non lo farà più!), nessun bisogno insopprimibile di mostrare alle presenti che sono capace di masturbarmi. Chi ha un po’ di esperienza con le spiagge naturiste sa di cosa sto parlando.
L’unico “vizio” che mi concedo è quello di sbirciare di tanto in tanto qualche bella ragazza che passa; ma in fondo non lo si fa anche nelle spiagge comuni?
La storia che sto per raccontare ha a che fare proprio con una giornata passata in una spiaggia naturista del sud della Toscana. Una giornata davvero particolare, che ha finito per discostarsi nettamente dal quadretto semi-bucolico che ho appena tratteggiato.
Dunque.
Era un giorno d’estate, ma la spiaggia non era particolarmente affollata, anzi. Del resto le spiagge naturiste sono spesso abbastanza deserte, prima di tutto perché per raggiungerle occorre faticare – leggi camminare sotto il sole – un bel po’, poi perché la nudità mette a disagio la maggior parte delle persone (toh, ancora lui, il Medioevo!)
L’ambientazione era quella che piace a me: arenile selvaggio e incontaminato, mare trasparente, persona più vicina a 30 metri, niente stabilimenti, niente musica perfora-timpani, niente schiamazzi, niente cocco. Condizioni meteorologiche ideali completavano le premesse per una giornata di piacevole rilassamento.
E infatti quella giornata ce la stavamo godendo: un po’ di sole, un po’ di bagni, un po’ di ombra, un po’ di letture, un po’ di sonno… un po’ di sbirciate. Il solito.
“Peccato!” esclama a un certo punto M.
“Cosa?” le chiedo curioso.
“Quel ragazzo là, peccato che se ne stia andando”, aggiunge ridacchiando.
In effetti è appena passato un ragazzo molto attraente: sui 30 anni, fisico atletico, moro, occhi scuri e un bel viso. Non mi sono soffermato più di tanto sul versante centro-sud del corpo, ma ad occhio e croce direi che non lo facesse sfigurare.
Inciso. Facciamo spesso questo tipo di commenti, anzi andiamo pure oltre: lei richiama la mia attenzione se passa una bella ragazza, io se passa un bel ragazzo. Onestamente non ci vedo niente di corrotto in ciò: condividiamo pensieri che tutte le persone fanno continuamente (questo mi piace, quello proprio no, questo è bel seno, quello è un brutto culo, ecc.) e che, in coppia, spesso si tengono per sé per non innescare gelosie e risentimenti vari.
Ma vado oltre: l’esserci affrancati dall'ipocrita “amore, non ho occhi che per te”, io lo trovo addirittura un piccolo elemento di vanto.
Il copione ha una prima scossa quando, nel primo pomeriggio, quel ragazzo (di seguito QR) appare di nuovo, proveniente dalla direzione opposta.
Beh, e quindi? Si sarà fatto le sue ore di mare e ora starà andando via. E invece ci passa davanti, prosegue per altri 20 metri e poi si ferma di nuovo: appoggia per terra la sua roba, stende il telo, si toglie il costume e si sdraia al sole.Ancora: niente di inquietante, capita di cambiare posizione in spiaggia, ci possono essere mille motivi plausibili ed innocui.
O anche no.
“Sei contenta ora?” faccio io.
Lei si volta, realizza quanto accaduto, sorride. “Eh beh sì!” ribatte divertita.
Poi si gira di nuovo e riprende tranquillamente a leggere il suo libro. Ma che lui si sia avvicinato non le dispiace affatto. Infatti, guarda caso, qualche istante dopo si sistema i capelli e coglie l’occasione per dare un’altra occhiata nella sua direzione.
Il regno dell’ozio inizia a scricchiolare, ma per il momento resta in piedi, anche perché QR non fa molto altro che cambiare lato del corpo da esporre al sole.
Già, il sole. Comincia a darmi fastidio agli occhi, cerchiamo un po’ di sollievo negli occhiali. Apro la tasca dello zaino, li prendo ma, un momento… non doveva esserci anche il portafoglio lì? Frugo ovunque, niente. Arriva l’illuminazione: l’ho lasciato in macchina nel porta-bibite. Impreco un po’, mi interrogo sul da farsi e concludo che non ho scelta: devo andare a prenderlo perché non voglio ritrovarmi senza portafoglio e con il finestrino rotto. Sempre che tutto ciò non sia già successo.
Ne parlo con M, le dico che tra andare e tornare mi ci vorrà quasi un’ora.
“Ma non è meglio se andiamo direttamente via?” chiede.
“No, le ultime ore del pomeriggio sono le migliori in spiaggia, non voglio rinunciarci. Per le 5 sarò di nuovo qui”, rispondo.
E mi incammino.
Qui finisce la parte della storia che ho vissuto in prima persona. Quello che segue è il racconto di ciò che M, a distanza di mesi, mi ha confidato essere successo nei destabilizzanti successivi 45 minuti.
M, rimasta da sola, continua a leggere per un po’, poi posa il libro e appunta la faccia contro il telo su cui è distesa. Sta per appisolarsi.
Io nel frattempo sono un puntino in lontananza.
Poi, improvvisamente.
“Scusami se ti disturbo, posso chiederti un favore?”
M si gira e con un certo stupore vede QR in piedi a due passi da lei. “Cosa vuole?” si interroga inquieta. Va bene non essere troppo pudichi, ma uno sconosciuto che in una spiaggia semi-deserta ti si presenta davanti nudo mentre anche tu sei nuda, normalmente un po’ di disagio te lo crea.
“Dimmi”, gli risponde, cercando di non mostrarsi turbata.
“Dovrei proprio mandare un messaggio, ma ho la batteria completamente scarica. Mica me lo faresti mandare dal tuo telefono?”
M rimane un po’ interdetta, il tempismo è sospetto, ma tutto sommato non si tratta di una richiesta così bizzarra. E poi c’è altra gente nei dintorni, non si sente particolarmente minacciata. Gli porge il telefono.
QR digita rapidamente qualcosa e subito dopo glielo riconsegna. Ringrazia con garbo e, senza dilungarsi in altre chiacchiere, torna diligentemente al suo posto.
M è sollevata e ora che è tutto finito le piace anche pensare che, sì, forse QR doveva mandare un messaggio, ma forse è anche vero che ha scelto lei perché gli piaceva. Nel dubbio si sente comunque un po’ lusingata.
Si rimette giù, indecisa se riprendere il libro o provare a riaddormentarsi. Dubbio sciocco: l’interazione che c’è appena stata, per quanto banale e minimale, è stata più che sufficiente a far evaporare ogni torpore. “È proprio bello e mi piace anche il suo timbro di voce”, pensa. “Niente male anche quella cosa che gli ciondola tra le gambe”, prosegue licenziosa.
Certe sensazioni da adolescente alle prese con i primi tormenti ormonali iniziano a disturbarla, meglio riprendere a leggere così forse la mente rientrerà nella strada maestra.
E invece no.
Il telefono squittisce: è arrivato un messaggio. Non ha voglia di rialzarsi per prenderlo, allunga la mano per cercare di arrivare allo zaino da sdraiata, altrimenti lascerà perdere.
Ci arriva.
Sblocca il telefono, apre il messaggio. Stupore. Disorientamento. Quasi panico.
“Ciao, sono il ragazzo qui accanto. Non dovevo mandare un messaggio, ho fatto una chiamata dal tuo telefono al mio in modo da avere il tuo numero. Prima di tutto voglio scusarmi per averti ingannata. Sicuramente ho fatto una cazzata, ma morivo dalla voglia di stabilire un contatto con te perché ti trovo bellissima e sensuale. Non voglio apparirti presuntuoso, ma mi è parso di notare anche alcuni tuoi sguardi, quindi mi sono fatto coraggio. In ogni caso, non ti allarmare: ho sentito che tra un po’ tornerà tuo marito e voglio assicurarti che non ho nessuna intenzione di crearti problemi, anzi: me ne andrò appena lo vedrò apparire in lontananza.
Se ti sto infastidendo, smetto di scriverti, cancello il tuo numero e me ne vado subito. Non serve nemmeno che tu me lo dica, metti solo il telefono nello zaino e io capirò che quello è il segnale che me ne devo andare”.
M è arrabbiata, odia essere ingannata. M è impaurita, uno che è capace di fare una manovra del genere, cosa altro può avere in serbo? M è preoccupata, cosa succederà quando tornerò io? Ma M è anche gratificata. QR non ha affatto l’aria del reietto o dello psicolabile, e non è un vecchio pervertito. QR è un bellissimo ragazzo che certamente riscuoterà un enorme successo presso l’universo femminile e che pare sia molto attratto proprio da lei! Forse è un collezionista di donne, forse è la situazione che più di tutto lo intriga, ma che diamine, è così solleticante pensare che davvero la desideri a tal punto da azzardare una mossa così rischiosa.
Passato lo shock iniziale, si interroga su come uscire da quella situazione. Perché ne vuole uscire, giusto? Non vuole parlargli perché ha paura che la imbarazzerebbe. Non sopporterebbe di trovarsi a balbettare qualcosa di incomprensibile.
Però potrebbe semplicemente percorrere la strada suggeritagli, mettere il cellulare nello zaino. Il segnale.
Ma è esitante.
È esitante perché per principio non vuole sottostare alle regole di un gioco che le è stato imposto con un raggiro.È esitante perché non vuole correre il rischio di essere ingannata di nuovo per poi doversi sentirsi stupida. Ma soprattutto: è esitante perché la sua testa vuole finire il gioco prima possibile, ma un’altra parte di lei, una parte che sta molto più in basso, questo gioco inizia a trovarlo interessante.
Rimane immobile, con il telefono in mano e lo sguardo basso.
Il cellulare pigola di nuovo. Altro messaggio, ovviamente stesso mittente: “ok, non hai messo via il telefono. Potrei ricavarne che non vuoi che me ne vada, ma potrebbe anche essere che semplicemente non vuoi degnarmi di considerazione. Visto che, ti ripeto, non voglio essere un fastidio, facciamo così: se vuoi che resti, passati una mano sulla fronte. Se non lo farai nei prossimi 30 secondi, me ne andrò”.
Ben giocata.
“E ora cosa faccio?” si domanda M.
Ci sono molti motivi per non fare il gesto. Primo: la vergogna. Secondo: suo marito, cioè io. Terzo: la paura di un salto nel buio. Quarto: non fare è molto più facile che fare.
Ma se davvero QR se ne andrà, lei non potrà fare a meno di dispiacersene. Questo inizia ad esserle sufficientemente chiaro.
Magari non esattamente allo scadere del 30esimo secondo, ma comunque poco dopo, QR, non avendo ricevuto il segnale, inizia a effettivamente a raccogliere le sue cose.
Se ne sta andando, stavolta è stato di parola.
Purtroppo.
Sul volto di M immediatamente cala un velo di delusione. Non può fare a meno di lanciare un’occhiata alle le operazioni di smontaggio del suo gioco (sì, ora lo sente anche un po’ suo) ed è in quel momento che gli sguardi si incrociano: QR si sofferma un attimo, sorride e poi, mentre sta staccando lo sguardo per riprendere il suo lavoro, con la coda dell’occhio scorge… la mano di M sfiorarsi la fronte.
L’ha fatto!
“Come è potuto succedere? Come posso essere stata così scema?” si chiede in un’eruzione di vergogna.
In effetti questo è ciò che può accadere quando il basso ventre prende il comando. Sì, ma ora? Beh, da quelle parti non si fanno programmi a lungo termine: la situazione era troppo intrigante ed irripetibile per farla finire, tanto è bastato per agire.
Mentre il cervello cerca di elaborare una qualche strategia sensata, QR, ancora sorridente, si siede di nuovo, prende il telefono e digita un nuovo messaggio.
“Sono felice di non esserti indifferente. Anzi, penso proprio di piacerti se, nonostante l’inganno iniziale e tuo marito prossimo a tornare, vuoi che tutto questo continui”.
Poi la vera deflagrazione, il terzo messaggio.
“Senti, perdonami la sfacciataggine, ma non c’è molto tempo e questa è l’unica occasione che ho. Allora, te lo dico senza girarci intorno: ho un desiderio irrefrenabile di toccarmi pensando a te. Voglio andare in acqua e farlo. Se tu mi guardassi sarebbe stupendo, ma mi basta anche sapere che tu sappia cosa sto facendo. Poi prendo le mie cose e me ne vado. Passati ancora una mano sulla fronte se ci stai. Ma se ci stai, fallo subito”.
M è spiazzata; negli ultimi 20 minuti di cose, soprattutto a livello interiore, ne sono successe, ma questo è un uragano che si abbatte su di lei. Se glielo avessero raccontato, avrebbe pensato che solo una poco di buono avrebbe assecondato una simile impudenza e che lei mai e poi mai avrebbe anche solo preso in considerazione di farlo.
Eppure il segnale che le arriva dal basso è inequivocabile e di tutt'altro verso: una vampata di calore tremenda, il sesso già traboccante di umori, un brivido che le sale sulla schiena.
E inoltre ora c’è persino un simulacro di via di uscita: lui si tocca e se ne va, no? (Questo invece è il cervello che, un po’ pateticamente, si ingegna a razionalizzare, illudendosi di avere ancora voce in capitolo nella decisione).
La mano vola sulla fronte.
QR sorride compiaciuto ma non tronfio, e si avvia verso l’acqua. M non può fare a meno di notare che il suo sesso, benché ancora non erezione, ha abbandonato la posizione di riposo. Il calore avanza.
QR entra in mare, percorre circa quindici metri e l’acqua gli arriva già al collo, solo la testa spunta fuori. Il divertimento può cominciare.
Si gira verso la spiaggia, guarda diritto verso M e inizia a toccarsi, come si può intuire osservando bene i piccoli movimenti dei muscoli facciali.
M si rende conto che sta partecipando ad un’attività sessuale di un altro uomo. Sta forse tradendo? Non potrebbe essere un po’ come guardare un film hard? No, non prendiamoci in giro, non lo è. Affatto.
L’imbarazzo dura pochissimo, le inibizioni si dissolvono come ghiaccio al sole e, finalmente decisa a godersi appieno la trasgressione, ricambia lo sguardo di QR.
Il livello di eccitazione dei due si alimenta a vicenda e ormai per M è quasi una tortura non potersi toccare. Sa che basterebbe sfiorarsi qualche secondo per raggiungere il piacere e la mano incontrollabilmente va ad appoggiarsi sul suo sesso, provocandole un gemito di piacere. Un’improvvisa folata di vento, incendiaria, si incarica di amplificare l’effetto.
In quel momento i freni inibitori producono l’ultima eroica resistenza: “non posso farlo qui con altre persone a pochi metri!”, si dice ritraendo la mano.
QR, forse capendo cosa sta succedendo, azzarda l'ennesima impertinenza della giornata e con un ripetuto gesto della mano la invita ad entrare in acqua.
Ad M viene chiesto di salire un altro gradino della scala del peccato e stavolta ci impiega veramente poco a farlo. Quasi niente, perché deve assolutamente avere un orgasmo, non è solo più una questione di piacere o trasgressione, è un bisogno fisico.
Si alza guardandosi intorno, si chiede se qualcun altro ha realizzato ciò che sta succedendo, ma ormai non le importa più di tanto: nessuno la vedrà sott'acqua e che ognuno poi faccia le supposizioni che vuole.
Entra, avanza fino a che non è immersa fino al collo e si ferma a circa cinque metri da QR.
L’acqua fredda le calma un po’ i bollori e la vicinanza del ragazzo le fa risalire un po’ l’imbarazzo; il pensiero di essere solo una stupidina in calore torna ad affacciarsi, così inizia a prendere in considerazione l’idea di uscire e ricomporsi.
Ma prima che possa dar seguito al proposito di ritirata, QR si fa avanti con decisione. M rimane impietrita, un po’ intimorita ma con l’adrenalina di nuovo in circolo.
Arriva a pochi centimetri da lei e con voce bassa e suadente le sussurra all'orecchio “ti prego, toccami. Fammi venire tu”.
Un altro smottamento interiore.
M non sa bene come considerare quello che è successo finora; non ha avuto tempo di deciderlo, forse nemmeno voglia.
Se lo tocca però non ci sono più dubbi: è tradimento. E lei non tradisce, non ha mai tradito.
Ma l’uragano spazza via ogni pensiero razionale, mentre il desidero continua a raggiungere nuovi picchi, ognuno dei quali impensabile solo pochi istanti prima.
E allora sì, quasi in stato di ebbrezza gli afferra il membro duro e pulsante e prende a masturbarlo con energia e trasporto. E voluttà.
Non si sente più stupida. Si sente viva, si sente sicura di sé. Lo guarda dritto negli occhi. Ha voglia di godere. Ha voglia di farlo godere, ha voglia di vederlo godere. Niente altro sembra contare in quel momento.
Lui geme sempre più rumorosamente e, con la voce disturbata dal piacere, la incita a continuare. “È la cosa più eccitante di tutta la mia vita, non la dimenticherò mai e non ti dimenticherò mai”, le mormora infine.
Questo è troppo, ora anche M si DEVE toccare, o altrimenti impazzirà.
Avvicina la mano al suo sesso, ma non fa in tempo a sfiorarsi che sente il contatto un corpo estraneo. È la mano di QR, che con delicatezza, ma anche con decisione, le sposta la sua. Si fa largo tra le sue cosce ed inizia ad accarezzarle le labbra e poi il clitoride.
M si lascia travolgere dal piacere che si moltiplica quando lui le infila prima uno e poi due dita dentro. Per la prima volta in vita sua si sente veramente una troia e la cosa sorprendentemente la inebria.
Pochi istanti e sente QR strozzare tra i gemiti il fatidico “sto per venire”. Il ragazzo la tira verso di sé e le esplode tre getti copiosi di sperma sulla pancia, mentre con le dita continua a penetrarla.
E così M si trova in mezzo al mare avvinghiata a questo sconosciuto, le cui dita sono dentro il suo sesso, il cui membro è tra le sue mani e il cui seme caldo è spalmato sul suo corpo. È un attimo prima che la corrente si occupi di scomporre irrecuperabilmente il quadro e consegnarlo al passato.
E in quell'attimo parte l’orgasmo.
L’orgasmo più forte di tutta la sua vita, impetuoso, scuotente, infinito, tanto che deve aggrapparsi a QR per sorreggersi e schiacciare la sua faccia contro il suo petto per non urlare. Ansima per quasi un minuto, semi-incosciente e apparentemente priva di energia.
È stata la sua onda anomala, quella che arriva inaspettatamente e sovrasta, sommerge e spazza via tutto quello che trova sulla sua strada. Ma anche l’onda anomala più devastante, una volta schiantatasi sulla riva, si ritrae e lascia nuovamente il posto a ciò che c’era prima. O quello che ne è rimasto.
E così la parte razionale di M si rimpossessa del corpo. Vergogna, senso di colpa, disagio, prendono rapidamente il posto lasciato dall’imperiosa fiammata di desiderio appena consumatasi.
Si accerta che il mare si sia portato via i segni del tradimento e poi rapida si dirige verso la spiaggia, senza proferire una parola.
QR si trattiene qualche minuto in acqua, giusto per evitare imbarazzi, poi esce. Come concordato raccoglie le sue cose e si prepara ad andare. Prima di farlo, riprende il telefono: “manterrò l’impegno. Grazie. Addio”. È l'ultimo messaggio.
Si mette lo zaino in spalla e parte, senza voltarsi. Game over.
M rimane seduta sul telo, inquieta ma immobile. Scruta intorno. Improvvisamente cosa possa aver pensato la gente non le sembra più un dettaglio, ma si rincuora vedendo che ormai erano rimaste poche persone, tutte ragionevolmente lontane.
Più prende coscienza di quello che è successo più, inaspettatamente, la vergogna si dissolve.
Aveva sempre pensato che le “botte e via” fossero squallide, ma quest’esperienza non lo era stata affatto. Anzi, se non fosse stata sentimentalmente impegnata sarebbe stata felicissima di aver sperimentato questa dimensione dell’erotismo.
Ma lei sentimentalmente impegnata lo è, lei è sposata, lei non tradisce. O almeno così credeva.
È decisamente stranita, non sa nemmeno se è pentita. Non sa se ne è valsa la pena, perché ci saranno delle conseguenze, non è ancora chiaro quali, ma ci saranno. Quello che è certo è che ha realizzato di conoscersi molto meno bene di quanto pensasse.
Mentre si perde in questi pensieri, io faccio finalmente ritorno.
“Per fortuna il portafoglio era ancora lì”, annuncio trionfante.
“Bene”, mi risponde flebilmente, alzando appena lo sguardo e con un abbozzo di sorriso che rimane intrappolato tra i denti.
“Ehi, ma stai bene?” le chiedo un po’ interdetto.
Ecco, esattamente la domanda che le serviva.
Tutto il nostro vissuto di essere umani controversi se non contraddittori, gli stati d’animo conflittuali, la tensione tra istinto e ragione, tra inclinazioni individuali e convenzioni sociali, ebbene tutta questa complessità ridotta a una semplice domanda: “Stai bene?”
Ci pensa un attimo, mi guarda, sorride più convinta. “Sì”.
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